Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32526 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32526 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
Oggetto
Lavoro – mansioni –
inquadramento
R.G.N. 3038/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 10/10/2024
CC
ORDINANZA
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 585/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 08/10/2020 R.G.N. 114/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Catania, con sentenza n.585/2020, ha riformato la decisione del Tribunale di Catania del 13 febbraio 2018, che aveva rigettato il ricorso proposto da COGNOME NOME, dipendente della società RAGIONE_SOCIALE, con il quale il lavoratore chiedeva il riconoscimento delle mansioni superiori di ‘coordinatore tecnico della sosta’ rispetto a quelle formalmente ricoperte, di ‘ispettore’, e il conseguente inquadramento nel primo livello retributivo del CCNL Terziario.
Nel merito, la Corte territoriale ha accertato, a seguito dello scrutinio delle risultanze istruttorie, anche acquisite d’ufficio in quanto ritenute indispensabili alla decisione (in particolare il mansionario e l’organigramma aziendale), la corrispondenza delle mansioni svolte dal lavoratore al superiore inquadramento rivendicato.
All’esito, la Corte accogliendo il gravame proposto da COGNOME, ha ritenuto fondate le deduzioni relative allo svolgimento delle mansioni di “coordinatore della sosta” e di “responsabile di area”, quali sussumibili nel primo livello retributivo del CCNL Terziario, riconoscendo al lavoratore il diritto all’inquadramento in tale livello.
Per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso la società RAGIONE_SOCIALE con 7 motivi, cui resiste con controricorso il lavoratore.
Entrambe le parti hanno depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza .
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 343 e 346 c.p.c. In particolare sostiene che la Corte d’Appello abbia erroneamente affermato la necessità della proposizione di un appello incidentale da parte della società su questioni rimaste assorbite nella sentenza di primo grado. Secondo la ricorrente, la questione riguardante le rinunce del lavoratore negli anni 2012, 2013 e 2014, sollevata sin dal primo grado, non avrebbe dovuto essere nuovamente proposta in appello tramite appello incidentale, ma semplicemente richiamata nella memoria difensiva di appello, poiché rimasta assorbita e non delibata in primo grado (richiamando, la ricorrente, sul punto la pronuncia adottata a Sezioni Unite da questa corte con sentenza n. 7940/2019, relativa ai casi in cui l’appello incidentale è necessario).
7. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c. e degli artt. 1362, 1363, 1364 e 1366 c.c. In particolare, la società ricorrente contesta l’interpretazione errata della Corte d’Appello circa la volontà di rinuncia espressa negli atti sottoscritti dal lavoratore negli anni 2012, 2013 e 2014; la corte avrebbe errato nel valorizzare l’omesso riferimento al giudizio, all’epoca già pendente, s enza considerare adeguatamente la circostanza che la prima rinuncia era stata effettuata prima della notifica del ricorso introduttivo e che tutte le rinunce, formulate in cambio di incentivi o concessioni economiche, avevano comunque ad oggetto proprio il medesimo oggetto del giudizio pendente. Avrebbe errato, in particolare, la corte di merito disattendendo la consolidata giurisprudenza di questa corte che prevede come (Cass. civ., n. 19831/2013 e Cass. civ., n. 1657/2008), la dichiarazione di rinuncia deve essere valutata in base all’interpretazione complessiva del documento e della consapevolezza del lavoratore di abdicare ai propri diritti
(correlata al quadro complessivo probatorio e a pregressi accordi anche dell’anno 2010).
8. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 100 del CCNL Terziario e dell’Accordo Nazionale per il settore delle attività ausiliarie della sosta e dei parcheggi. In particolare sostiene che la Cor te d’Appello abbia erroneamente ritenuto che le mansioni del lavoratore fossero riconducibili alla figura del “responsabile di area” di cui al livello I del CCNL, in violazione delle regole di ermeneutica contrattuale (art. 1362 c.c. e ss.), nonostante non fosse rinvenibile, nelle attività concrete svolte dal ricorrente, l’elemento distintivo del primo livello quale l’elevato contenuto professionale delle mansioni svolte ma soltanto le mansioni di direzione esecutiva che, nella prospettazione della ricorrente, non caratterizzerebbero il primo livello ma sarebbero riscontrabili anche nel livello secondo (di pacifico inquadramento). In tale operazione ermeneutica, svolta non intrepretando correttamente le norme contrattuali, anche quanto al riferimento ai conc etti di ‘area’ e di ‘sosta’ che, secondo la ricorrente non coinciderebbero, e nella conseguente fuorviante interpretazione delle deposizioni, la corte avrebbe erroneamente ravvisato i requisiti caratteristici del livello attribuito, di controllo ispettivo, permissivo, propositivo, disciplinare, che difettavano nelle attività dell’Impellizzeri. Pertanto avrebbe contravvenuto la giurisprudenza consolidata di questa corte (Cass. civ., n. 30580/2019 e Cass. civ., n. 10961/2018), secondo la quale l’interpretazione dei contratti collettivi deve rispettare i criteri di chiarezza letterale e sistematica.
Con il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. In particolare, contesta il mancato utilizzo del cosiddetto “procedimento trifasico” richiesto per la determinazione dell’inquadramento lavorativo (che, invece, era stato correttamente utilizzato dal giudice di primo grado). Secondo la ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe omesso di analizzare compiutamente il contenuto delle declaratorie contrattuali, peraltro neppure allegate dal lavoratore nei due gradi di merito, corrispondenti sia alle mansioni formalmente svolte che a quelle superiori rivendicate come concretamente svolte, e pertanto non avrebbe operato concretamente la sussunzione delle mansioni allegate e provate nei due livelli di riferimento, per svolgere la doverosa comparazione ( tra le mansioni e il livello di inquadramento), eventualmente anche applicando i concetti di prevalenza, in caso di mansioni promiscue, in contrasto con la giurisprudenza di questa corte (Cass. civ., n. 30580/2019), che definisce il metodo da seguire per la corretta determinazione dell’inquadramento professionale.
10. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 437 , comma 2 e 3 c.p.c. e 111 Cost. in cui sarebbe incorsa la corte territoriale, ammettendo d’ufficio la produzione di documenti tardivi (mansionario e organigramma) senza giustificare la loro indispensabilità, in violazione dell’art. 437 c.p.c., in contrasto con la giur isprudenza di questa corte (Cass. civ., n. 26843/2020, secondo cui l’ammissione di nuovi documenti in appello deve essere limitata ai casi in cui essi siano indispensabili per risolvere l’incertezza sui fatti controversi), senza fissare una apposita udienza per garantire il contraddittorio in relazione a tale decisione e giustifican do la propria decisione sulla base ‘dell’esame del sito
della società sollecitato dall’appellante’ (pag. 4), ossia tramite una mera ricerca sul web.
11. Con il sesto motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 18 del D.L. n. 112/2008 e dell’art. 19 del D.Lgs. n. 175/2016. Nella sua prospettazione, la Corte avrebbe erroneament e disposto l’attribuzione della qualifica superiore in violazione di norme imperative che avrebbero imposto l’applicazione di procedure selettive. Si tratterebbe, secondo la ricorrente, di un obbligo normativo derivante dal carattere pubblico della società “in house” interessata, interamente partecipata da capitale pubblico. In particolare, il riferimento è all’applicabilità di criteri selettivi per l’attribuzione del superiore livello di inquadramento, come delineato nella giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., n. 4175/2020; Cass. civ., n. 14809/2020). Si denuncia, dunque, che la decisione della Corte si ponga in contrasto con tali norme imperative, rilevabili d’ufficio, con conseguente nullità della statuizione adottata.
12.Con il settimo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la ricorrente censura la sentenza di secondo grado per l’omesso esame e mancata ammissione di documenti ritenuti decisivi, in violazione degli artt. 2697 c.c., 437 , comma 2, c.p.c., e dell’art. 111 Cost. In particolare, si lamenta il rigetto, da parte della Corte d’Appello, della richiesta di ammissione dei documenti depositati con le note del 15.05.2020 (documenti 6 e 7, fascicoletto), costituiti dallo Statuto della società RAGIONE_SOCIALE e dalla Visura Camerale.
Secondo la ricorrente, tali documenti erano indispensabili per comprovare la natura giuridica della società RAGIONE_SOCIALE quale società “in house” interamente partecipata dal Comune di Catania, aspetto centrale ai fini dell’eccezione di inammissibilità della domanda di inquadramento in un livello superiore. In
particolare, i documenti erano volti a dimostrare l’applicabilità alla società della disciplina di cui agli artt. 18, comma 1, del D.L. n. 112/2008 e 19 del D.Lgs. n. 175/2016, che impongono il rispetto di procedure selettive per la progressione dei dipendenti.
La decisione della Corte territoriale, che ha dichiarato inammissibili i documenti senza esaminarne il contenuto, in contrasto con la giurisprudenza consolidata (Cass. civ., sez. II, 30 settembre 2020, n. 20870), secondo cui il rifiuto di ammissione di prove documentali indispensabili configura un “error in procedendo, avrebbe comportato la violazione di disposizioni imperative e principi costituzionali (art. 97 Cost.).
13. Il ricorso è infondato.
13.1. Preliminarmente valutando, in applicazione della ragione cd. ‘più liquida’ (Cass. 30745/19; Cass. 20718/24), il secondo motivo, con il quale il ricorrente si duole che la corte abbia errato nella interpretazione della volontà di rinuncia del lavoratore espressa negli atti del 2012, 2013 e 2014, senza considerare il contesto e la consapevolezza del lavoratore circa le conseguenze delle rinunce, lo stesso è inammissibile.
Come infatti ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, l’interpretazione degli atti negoziali tra le parti è riservata al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, qualora essa sia congruamente argomentata, come nel caso di specie, in cui la Corte d’Appello ha correttamente valutato l’assenza ‘ di alcun espresso riferimento al giudizio pendente ‘ (al 1° capoverso sub p.to 4 pag. 2 della sentenza), iniziato nel 2012, negli atti di rinuncia del 2012, 2013 e 2014 sottoscritti dal lavoratore; avendo in realtà la censura ad oggetto il risultato interpretativo finale, per la valutazione contrappositiva dell’interpretazione del ricorrente a quella della Corte,
comunque plausibile (Cass. 10131/06; Cass. 24539/09; Cass. 6125/14; Cass. 34703/23, in motivaz.).
13.2. Dall’inammissibilità del motivo scrutinato consegue l’assorbimento del primo.
13.3. Con il sesto motivo, ora da esaminare per ragioni di pregiudizialità logico -giuridica, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 18 del D.L. 112/2008, 19 del D.Lgs. 175/2016, 1418 e 1421 c.c., sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe dovuto rilevare d’ufficio ‘la nullità’ dell’inquadramento superiore disposto (rectius l’inapplicabilità del disposto di cui all’art. 2103 c.c.), derivante dalla mancata applicazione delle procedure selettive per l’attribuzione di un livello superiore di inquadramento in una società ‘in house’.
Esso è infondato. Ed infatti, come ha chiarito questa corte (Cass. 35421/22, in motivaz. sub p.ti da 7.1 a 7.6) il rapporto di lavoro con una società in house a controllo pubblico non è disciplinato dal d.lgs. n. 165 del 2001, bensì, in assenza di una disciplina derogatoria speciale, dalle norme del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro alle dipendenze di privati; ne consegue che l’art. 18 del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif, dalla l. n. 133 del 2008, e la legislazione della Regione Sicilia che fa divieto alle società a partecipazione totale o maggioritaria della Regione di procedere all’assunzione di nuovo personale, imponendo il contenimento della spesa per il personale, non comportano una deroga all’applicazione, quanto alla disciplina delle mansioni, dell’art. 2103 c.c.
E’ stato anche affermato, da Cass. 2590/23, che il rapporto di lavoro che si instaura tra una società per azioni partecipata da un ente locale che gestisce una farmacia e il proprio personale ha natura privatistica, con la conseguenza che ad esso trova applicazione la disciplina dettata dal codice civile e dalle leggi sul rapporto subordinato di lavoro alle dipendenze delle imprese
private; sicché, l’assegnazione a mansioni superiori disciplinata dall’art. 2103 c.c.
13.4. L’inammissibilità del precedente motivo comporta l’assorbimento de l settimo.
13.5. I motivi terzo, quarto e quinto di ricorso sono in parte inammissibili e in parte infondati.
In via di premessa devono essere ribaditi i seguenti principi, secondo cui:
l’acquisizione di un documento da parte del giudice del lavoro in sede di appello attiene, ai sensi degli artt. 421 e 437 c.p.c., ai suoi poteri discrezionali in ordine alla indispensabilità o comunque necessità di tale produzione ai fini del decidere; sicché, l’esercizio di quei poteri si sottrae, per la natura discrezionale, al sindacato di legittimità, anche quando manchi un’espressa motivazione al riguardo (avendola peraltro la Corte fornita, al 2° e 3° capoverso di pag. 4 della sentenza), dovendo ritenersi implicita nell’ammissione della produzione del documento la valutazione della sua opportunità ai fini del processo (Cass.13186/03; Cass. 14820/15; Cass. 22175/18 in motivaz.; Cass. 18361/20 in motivaz. sub p.to 4.3);
il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte, nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra i risultati di tali due indagini. Ai fini dell’osservanza di tale procedimento, è necessario che, pur senza rigide formalizzazioni, ciascuno dei suddetti momenti di ricognizione e valutazione trovi ingresso nel ragionamento decisorio, configurandosi, in caso contrario, il vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., per l’errata applicazione dell’art. 2103 c.c.
ovvero, per il pubblico impiego contrattualizzato, dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 (Cass. 8589/2015; Cass. 30580/2019); c) in sede di interpretazione delle clausole di un contratto collettivo relative alla classificazione del personale in livelli o categorie, ha rilievo preminente, soprattutto se il contratto abbia carattere aziendale, la considerazione degli specifici profili professionali indicati come corrispondenti ai vari livelli, rispetto alle declaratorie contenenti la definizione astratta dei livelli di professionalità delle varie categorie, poiché le parti collettive classificano il personale non sulla base di astratti contenuti professionali, bensì in riferimento alle specifiche figure professionali dei singoli settori produttivi, che ordinano in una scala gerarchica ed elaborano successivamente le declaratorie astratte, allo scopo di consentire l’inquadramento di figure professionali atipiche o nuove (Cass. 27430/05; Cass. 3216/16).
La Corte d’Appello ha applicato correttamente il procedimento trifasico di individuazione, in assenza di rigide formalizzazioni e con preminente valorizzazione degli specifici profili professionali indicati come corrispondenti ai vari livelli, della qualifica corrispondente alle mansioni in concreto svolte dal lavoratore, in riferimento alla declaratoria del I° livello rivendicato (richiamata al 1° capoverso pag. 5 della sentenza) diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale in ordine alla medesima declaratoria (dal penultimo alinea pag. 1 al 3° alinea pag. 2 sentenza), in esito ad un accertamento in fatto insindacabile, se come nel caso di specie congruamente argomentato (dal 5° capoverso pag. 4 al 1° pag. 6 della sentenza), in sede di legittimità (Cass. 26234/08; Cass. 28284/09; Cass. 2172/22, in motivaz. sub p.to 16; Cass. 14413/24 in motivaz. sub p.to 3).
14. Il ricorso deve essere quindi rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, da distrarsi in favore del difensore del controricorrente, come da dispositivo Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge con attribuzione al procuratore della controricorrente, avv. COGNOME per dichiarato anticipo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 10 OTTOBRE