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Inquadramento superiore: quando è un diritto del lavoratore

La Corte di Cassazione conferma il diritto di un lavoratore all’inquadramento superiore per aver svolto mansioni di maggiore responsabilità. L’ordinanza chiarisce che anche nelle società a partecipazione pubblica “in house”, il rapporto di lavoro è di natura privatistica e si applica l’art. 2103 c.c. Viene respinto il ricorso dell’azienda, che contestava la decisione basandosi su presunte rinunce del dipendente e sulla necessità di procedure selettive per le promozioni. La Corte ribadisce la validità del procedimento trifasico per l’accertamento delle mansioni e la corretta interpretazione delle norme contrattuali e di legge.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Inquadramento Superiore: La Cassazione Conferma il Diritto del Lavoratore Anche nelle Società Pubbliche

Il riconoscimento del corretto inquadramento superiore è una questione cruciale nel diritto del lavoro, poiché garantisce che la retribuzione e la qualifica di un dipendente siano allineate alle effettive responsabilità assunte. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico, confermando il diritto di un lavoratore a vedersi riconosciuto un livello più alto per aver svolto mansioni superiori, anche all’interno di una società a partecipazione pubblica. Questa decisione offre importanti chiarimenti sull’applicazione dell’art. 2103 del Codice Civile e sui limiti delle normative pubblicistiche nei rapporti di lavoro di natura privatistica.

I fatti del caso

Un dipendente, formalmente assunto con la qualifica di ‘ispettore’, ha citato in giudizio la propria azienda, una società di servizi, chiedendo il riconoscimento delle mansioni superiori di ‘coordinatore tecnico’ e ‘responsabile di area’. Sosteneva, infatti, di aver svolto in modo continuativo compiti di maggiore complessità e responsabilità rispetto al suo livello contrattuale, rivendicando il conseguente inquadramento superiore nel primo livello del CCNL Terziario.

Mentre il Tribunale di primo grado aveva respinto la sua richiesta, la Corte d’Appello ha riformato la decisione. Dopo un’attenta analisi delle prove, inclusi documenti come mansionari e organigrammi aziendali, i giudici di secondo grado hanno accertato la corrispondenza tra le attività concretamente svolte dal lavoratore e il livello superiore richiesto, riconoscendogli il diritto alla riqualificazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La società ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, presentando sette motivi di ricorso. Tra le principali argomentazioni, l’azienda sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel non considerare valide alcune rinunce firmate dal lavoratore, nell’interpretare il contratto collettivo e, soprattutto, nel non applicare le norme pubblicistiche che, per le società ‘in house’ come la sua, imporrebbero procedure selettive per le promozioni. La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato in ogni sua parte e condannando l’azienda al pagamento delle spese processuali.

Le motivazioni: l’analisi dei punti chiave

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su principi giuridici consolidati, fornendo chiarimenti su aspetti procedurali e sostanziali.

L’inquadramento superiore nelle società ‘in house’

Uno dei punti più rilevanti della sentenza riguarda la natura del rapporto di lavoro nelle società a controllo pubblico. La Corte ha ribadito che, salvo discipline speciali derogatorie, il rapporto di lavoro con una società ‘in house’ non è regolato dal diritto pubblico (D.Lgs. 165/2001), ma dalle norme del codice civile e dalle leggi sul lavoro privato. Di conseguenza, le normative che impongono procedure selettive per l’assunzione e la progressione di carriera nel pubblico impiego (come l’art. 18 del D.L. 112/2008) non impediscono l’applicazione dell’art. 2103 c.c. Questo articolo stabilisce che il lavoratore che svolge mansioni superiori ha diritto al trattamento corrispondente e, dopo un certo periodo, all’assegnazione definitiva della qualifica. Pertanto, il diritto all’inquadramento superiore sorge automaticamente quando ne ricorrono i presupposti di fatto, a prescindere dalla natura pubblica del capitale sociale.

L’interpretazione delle rinunce e il corretto procedimento di valutazione

La Corte ha inoltre confermato la corretta interpretazione data dai giudici d’appello riguardo alle rinunce sottoscritte dal lavoratore. Poiché tali atti non facevano alcun riferimento esplicito alla causa già in corso, non potevano essere considerati come una rinuncia al diritto rivendicato in giudizio. L’interpretazione degli atti negoziali, se congruamente motivata dal giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità.
Infine, è stato validato l’operato della Corte d’Appello per aver applicato correttamente il cosiddetto ‘procedimento trifasico’, il metodo logico-giuridico essenziale per determinare il corretto inquadramento. Questo processo consiste in tre fasi: l’accertamento delle attività concretamente svolte dal lavoratore, l’individuazione delle qualifiche previste dal contratto collettivo e, infine, il confronto tra i due per stabilire la corretta collocazione del dipendente.

Le conclusioni: implicazioni pratiche

L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale del diritto del lavoro: la prevalenza della sostanza sulla forma. Il diritto del lavoratore a un corretto inquadramento dipende dalle mansioni effettivamente svolte e non può essere limitato né da accordi di rinuncia generici, né dalla natura giuridica del datore di lavoro, anche quando si tratta di una società a partecipazione pubblica. Per le aziende, questa decisione sottolinea l’importanza di allineare costantemente le qualifiche formali alle responsabilità operative dei dipendenti, per evitare contenziosi e garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori. Per i lavoratori, rappresenta una conferma della tutela offerta dall’ordinamento nel veder riconosciuto il proprio valore professionale.

Un dipendente di una società a partecipazione pubblica (‘in house’) ha diritto all’inquadramento superiore se svolge mansioni più elevate, anche senza una procedura selettiva?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che il rapporto di lavoro con una società ‘in house’ è di natura privatistica e regolato dal Codice Civile. Pertanto, si applica l’art. 2103 c.c., che prevede il diritto alla qualifica superiore in base alle mansioni effettivamente svolte, a prescindere dalle normative pubblicistiche sulle procedure selettive.

Come deve essere interpretata una rinuncia a diritti firmata da un lavoratore mentre è in corso una causa contro l’azienda?
La rinuncia deve essere interpretata valutando la reale volontà del lavoratore. Se l’atto di rinuncia non contiene un riferimento esplicito e specifico al giudizio pendente, non si può presumere che il lavoratore abbia inteso abbandonare l’azione legale già intrapresa per quel diritto.

Qual è il metodo corretto che un giudice deve seguire per decidere sull’inquadramento di un lavoratore?
Il giudice deve utilizzare il ‘procedimento trifasico’: 1) accertare in fatto le attività lavorative concretamente svolte dal dipendente; 2) individuare le qualifiche e i gradi previsti dal contratto collettivo di categoria; 3) confrontare i risultati delle prime due fasi per determinare il corretto livello di inquadramento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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