Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27716 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 27716  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21673-2021 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
 avverso la sentenza n. 228/2021 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 26/02/2021 R.G.N. 709/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/04/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Brindisi accoglieva il ricorso di NOME COGNOME, infermiera professionale (D/5), limitatamente alla domanda di  inquadramento economico dichiarando il diritto al livello
Oggetto
PUBBLICO
IMPIEGO DIFFERENZE RETRIBUTIVE
INQUADRAMENTO
R.G.N. 21673NUMERO_DOCUMENTO2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 16/04/2025
CC
DS con decorrenza 01/09/2003. Il Tribunale, premesso che la ricorrente inquadrata nella categoria C fino al 31/08/2001, transitata  in  quella  D  dall’1/9/2001,  non  poteva  aspirare all’esercizio di funzioni di coordinamento stante la soppressione del reparto di chirurgia presso cui lavorava dal 30/09/2003  né  alle  differenze  retributive,  accoglieva  la domanda di superiore inquadramento ex art 19 lettera B del CCNL 2001, ritenendo non necessaria la partecipazione alla procedura selettiva.
La Corte di appello di Lecce rigettava l’appello principale della  RAGIONE_SOCIALE  e  accogliendo  quello  incidentale  della  dipendente con il riconoscimento delle funzioni di effettivo coordinamento in epoca precedente al 31 agosto 2001 e negli anni successivi.
La sentenza di appello veniva impugnata in Cassazione che cassava con rinvio richiedendo di verificare in punto di fatto se le reali funzioni di coordinamento cui si riferisce l’articolo 10, comma 3 del CCNL del 20 settembre 2001 erano state conferite  con  atto  formale  da  coloro  che ‘ secondo le  linee organizzative  dell’ente  avevano  il  potere  di  conformare  la prestazione lavorativa del dipendente e non necessariamente degli organi di vertice … . ‘.
In particolare, nell’ordinanza di rinvio si era affermava che ‘ i requisiti per il riconoscimento del livello chiesto sono per relationem identificabili oltre che nello svolgimento effettivo delle funzioni anche nel formale conferimento dell’incarico di coordinamento; al riguardo è stato altresì precisato che ai fini del riconoscimento dell’indennità di cui all’articolo 10 comma 7 (attribuzione al personale proveniente dalla categoria C) il tenore letterale della clausola innanzi riportata non lascia adito a dubbi di sorta circa la necessità o di un incarico di
coordinamento o in alternativa di un atto formale che, previa verifica, ne riconosca l’avvenuto concreto svolgimento alla data del 31/08/2001; perché sussista il presupposto del conferimento formale dell’incarico di coordinamento si richiede che: a) vi sia traccia documentale di tale incarico; b) l’incarico sia stato assegnato da coloro che hanno il potere di conformare la prestazione lavorativa del dipendente; c) lo stesso abbia ad oggetto le attività dei servizi di assegnazione e gestione del personale ‘.
La Corte di Appello in sede di rinvio procedeva ad accertare che alla data del 31/8/2001 la lavoratrice era in categoria C, e che transitava nella categoria D dal  1/9/2001, nonchè che nel 2006 l’unità di chirurgia era stata già soppressa .
La Corte inoltre accertava che la delibera n. 1225 del 2006 con cui fu corrisposta con effetto dal 1/9/2001 l’indennità per le funzioni di coordinamento e la relativa indennità al personale già inquadrato in categoria D dal 31/8/2001 che le avesse disimpegnate anche negli anni successivi era stata revocata con successiva delibera n. 52 del 2010, con cui era stata riconosciuta la indennità con effetto dal 1/9/2001 al solo personale già inquadrato in categoria C, tra cui non compariva la odierna ricorrente stante la avvenuta soppressione del l’unità operativa di chirurgia .
Infine, la Corte non riconosceva alcun valore probatorio alla attestazione datata 21/3/2006 trattandosi di nota proveniente  dall’aiuto  responsabile  con  funzioni  di  vicario primario  privo  del l’incarico  di  conformare  la  prestazione lavorativa in ordine al conferimento dell’incarico di coordinamento escludendo pertanto il  riconoscimento  della posizione DS  alla lavoratrice in quanto alla data del
31/8/2001 era inquadrata in categoria C e non risultava aver svolto le funzioni di coordinamento.
Ricorreva per cassazione la dipendente con due motivi cui resisteva con controricorso l’amministrazione. La dipendente depositava altresì memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’ articolo 10 del C.C.N.L. 20/9/2001- II biennio economicoe dell’art. 19 C.C.N.L.  19/4/2004;  nonché  degli  artt.  115-416  c.p.c.,  in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c..
Ad  avviso  della ricorrente, risulterebbe provato  in atti l’espletamento  della  attività  di  coordinamento,  viceversa, negata dalla Corte distrettuale.
La Corte di Appello non avrebbe accertato in fatto in modo corretto se vi era stato l’effettivo svolgimento delle funzioni al 31/8/2001  e se vi era stato o  meno  un  formale conferimento dell’incarico da parte di chi aveva il potere di conformare la prestazione lavorativa.
In particolare, la ricorrente evidenzia che l’incarico formale era stato conferito sulla base di quanto richiesto dal primario del reparto sulla scorta di una formale richiesta pervenutagli dalla  direzione  aziendale,  avente  il  potere  di  conformare l’incarico.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Orbene, il ricorso per cassazione deve contenere, invero, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede  la  cassazione  della  sentenza  impugnata,  aventi  i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione  impugnata  (Cass.,  25/02/2004,  n.  3741;  Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009,  n.  18421;  Cass.  24/02/2020,  n.  4905).  In
particolare, è necessario che venga contestata specificamente, a pena di inammissibilità, la «ratio decidendi»  posta  a  fondamento  della  pronuncia  oggetto  di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n. 19989).
1.2. Ciò posto, è evidente che la censura non tiene conto del decisum, non confrontandosi specificamente con lo stesso nella misura in cui non aggredisce la motivazione, laddove la Corte territoriale rappresenta che alla dipendente non era stata conferita da un soggetto legittimato una funzione di coordinamento che, peraltro, non poteva spiegare comunque gli effetti invocati, stante la soppressione del reparto di chirurgia in cui la dipendente stessa svolgeva la propria attività lavorativa.
Tali profili non vengono  specificamente aggrediti nella censura che, invero, è finalizzata a richiedere a questa Corte un diverso accertamento delle emergenze probatorie in senso favorevole alla dipendente.
C on il secondo motivo si fa valere la violazione dell’articolo 36 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c..
2.1. Anche tale motivo è inammissibile.
Qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa. (Cass Sez. 5, Ordinanza n. 3473 del 11/02/2025).
2.2  Ed  invero,  nella  sentenza  impugnata  non  vi  è  alcun riferimento alla questione e la censura difetta del requisito dell’autosufficienza ,  non  indicando  specificamente  in  quale atto del giudizio di merito tale questione sia stata dedotta. In conclusione, il ricorso è inammissibile, con conseguente condanna alle spese secondo il principio della soccombenza. P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna la ricorrente al rimborso di € 2.500,00, a titolo di compensi,  oltre  €  200,00  per  esborsi,  nonché  al  rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei  presupposti  processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  IV Sezione Civile, il 16 aprile 2025.
Il Presidente NOME COGNOME