Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9740 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9740 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18336-2022 proposto da:
REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso gli UFFICI DELLA DELEGAZIONE ROMANA DELLA REGIONE PUGLIA, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
Oggetto
Altre ipotesi pubblico impiego
R.G.N. 18336/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 19/03/2025
CC
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 227/2022 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 23/02/2022 R.G.N. 559/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
la Corte d’ appello di Bari ha respinto l’appello proposto dalla Regione Puglia avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che, in accoglimento del ricorso di NOME COGNOME aveva accertato il diritto di costui all’inquadramento nell’area I , livello 1, del C.C.N.L. per gli operai agricoli e florovivaisti con decorrenza dal 21.1.2002 e sino al 31.5.2010 e (per l’effetto) condannato la Regione Puglia al pagamento delle corrispondenti differenze retributive;
la Corte distrettuale ha ritenuto inammissibile il motivo di appello con il quale la pronuncia era stata censurata per non avere rilevato che nel livello 2 è incluso anche il personale addetto alle manovre di impianti irrigui, termici, elettrici e ad aria compressa e per non avere tenuto conto dell’efficacia temporale del CCPL del 2005, destinato a produrre effetti solo sino al 31 dicembre del 2007; quindi ha richiamato il divieto di nova in appello ed ha evidenziato che lo stesso si riferisce anche alle contestazioni, in quanto nel giudizio di appello non possono essere modificati i temi di indagine;
ha osservato che l’appellato faceva parte del «personale regionale operaio salariato con contratto di natura privatistica, riveniente alla Regione ai sensi del d.P.R. 10.4.1979 e già utilizzato dalla Regione nei servizi irrigui e preferibilmente presso gli stessi», menzionato dall’art. 5 della legge regionale n. 15 del 1994 , e,
pertanto, in ragione della natura privatistica del rapporto e dell’applicabilità dei contratti collettivi nazionali e provinciali di diritto privato, non poteva la Regione Puglia invocare, per contrastare la domanda di inquadramento nella qualifica superio re, l’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001;
ha condiviso il giudizio trifasico espresso dal Tribunale, perché tutti i testi escussi avevano dichiarato che il lavoratore aveva svolto mansioni di irrigatore addetto alla distribuzione dell’acqua agli utenti ed era stato anche preposto al coordinamento di una squadra composta da operai stagionali, curando la predisposizione dei turni di lavoro; ha ritenuto che le mansioni accertate (comportanti la programmazione dei turni di irrigazione, la manutenzione degli impianti, la verifica degli interventi eseguiti dalle ditte appaltatrici, la redazione di rapporti giornalieri, la richiesta del materiale necessario per gli interventi da eseguire) non fossero elementari, come sostenuto dall’appellante, e dovessero essere ricondotte alla declaratoria del livello rivendicato, superiore a quello di inquadramento;
per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Regione sulla base di sei motivi, ai quali ha opposto difese con controricorso il lavoratore; entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE:
la prima critica, ricondotta al vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ. e rubricata in termini di «violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., dell’art. 35 e dell’art. 52 T .U. n. 165/2001 e ss.mm., dell’art. 5 L.R. 15/1994, dell’art. 4 L.R. 16/2000, dell’art. 11 L. 349/1971, dell’art. 112 c.p.c.», reitera la tesi, non condivisa dalla Corte territoriale, dell’applicabilità del d.lgs. n. 165/2001, facendo leva sulla natura pubblica del datore di lavoro e addebitando al giudice del merito di avere
erroneamente valorizzato l’art. 5 della l egge reg. n. 15 del 1994, che non contiene alcuna deroga al principio sancito dall’art. 97 Cost. dal quale deriva, come imprescindibile conseguenza, l’impossibilità di acquisire l’inquadramento superiore sulla base dell’assegnazione di fatto di mansioni diverse da quelle proprie del livello stabilito al momento della assunzione; aggiunge che il COGNOME era stato assunto dalla Regione Puglia a tempo indeterminato nel 1994 e, pertanto, non apparteneva al contingente previsto dal d.P.R. 18 aprile 1979, che aveva disciplinato il trasferimento parziale alle Regioni Puglia, Basilicata e Campania dei beni e del personale dell’Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e della trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania; richiama, infine, giurisprudenza di questa Corte che, sia pure in relazione ad altre Regioni, ha ritenuto la natura pubblica dei rapporti di lavoro instaurati da enti pubblici non economici per l’esecuzione di attività irrigue e forestali;
in via subordinata, la Regione Puglia, con il secondo motivo, eccepisce la nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 5 della legge reg. n. 15/1994 ed addebita alla Corte territoriale di avere contraddittoriamente, da un lato, dato atto dell’assunzione risalente al 1995, e, dall’altro , ritenuto che il lavoratore rientrasse nel personale transitato alle dipendenze della Regione ai sensi del richiamato d.p.r. del 1979;
in via ulteriormente gradata (terzo motivo) la Regione Puglia si duole, ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ravvisato, appunto, nella circostanza che il Rapio era stato assunto direttamente dalla Regione Puglia, il cui statuto all’art. 11 prevede che rientra fra
le competenze regionali la «rilevazione e utilizzazione delle risorse idriche per l’irrigazione e per gli usi civili nelle campagne »; parte ricorrente afferma, quindi, che ha errato il giudice d’appello nel richiamare giurisprudenza di questa Corte relativa a fattispecie, non assimilabili a quella oggetto di causa, di assunzioni disposte per finalità diverse da quelle istituzionali del l’ente;
con il quarto motivo è denunciata la violazione dell’art. 434 cod. proc. civ. e si assume che la Corte territoriale doveva ritenere inammissibile la produzione documentale effettuata dal COGNOME solo in appello, perché già nella memoria difensiva depositata nel giudizio di primo grado la Regione aveva dedotto che la natura pubblica del datore di lavoro impediva l’attribuzione della qualifica superiore, sicché la produzione documentale in questione doveva essere integrata in occasione della prima difesa utile;
con il quinto motivo è dedotta la violazione degli artt. 434 e 421 cod. proc. civ. ed è censurato il capo della sentenza che ha ritenuto inammissibili le deduzioni inerenti alla declaratoria dei profili professionali ed alla vigenza del contratto provinciale; sostiene la Regione che ha errato il giudice d’appello nel ritenere che il motivo sviluppasse nuove contestazioni implicanti l’estensione del tema di indagine perché si trattava, in realtà, di difese finalizzate a dimostrare l’erroneità delle conclusioni alle quali il Tribunale era pervenuto e la non correttezza del giudizio trifasico espresso;
infine, con la sesta critica la Regione Puglia lamenta, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c od. civ ., dell’art. 28 CCNL operai agricoli e florovivaisti del 2002, dell’art. 8 CCPL Bari del 28.02.2005 e dell’art. 41 CCPL Bari 28.02.2005» e, trascritte nel ricorso le declaratorie del CCPL Bari del
2005, assume che la qualifica di operaio specializzato super può essere riconosciuta solo qualora emergano una spiccata autonomia ed una elevata competenza professionale, non provate nella fattispecie; aggiunge che il coordinamento, sempre sulla base della classificazione dettata dalla contrattazione provinciale, deve riguardare più squadre e non, come ritenuto dal giudice del merito, un’unica squadra; addebita, ancora, alla Corte distrettuale di avere errato nella valutazione delle dichiarazioni testimoniali, incorrendo nella violazione dell’art. 2697 cod. civ. perché dall’istruttoria espletata non erano emerse l’autonomia e la competenza professionale che caratterizzano il livello rivendicato; deduce che la domanda è stata erroneamente accolta sulla base di un contratto provinciale che spiegava effetti solo sino al 31 dicembre 2007 e non poteva, di conseguenza, essere posto a fondamento di una pretesa che si riferiva anche a un periodo successivo rispetto a tale data;
preliminarmente occorre rilevare che la «rinunzia agli atti ed all’azione», contenuta nella memoria depositata dal controricorrente ex art. 380-bis 1 cod. proc. civ. ed inerente alla sola domanda di inquadramento, non fa venire meno l’interesse della Regione ricorrente alla pronuncia sui motivi di ricorso formulati avverso il capo della sentenza in questione, onde conseguirne la rimozione; trattasi, peraltro, di una rinuncia che proviene dal controricorrente e non accettata dalla Regione Puglia (cfr. per un caso parzialmente sovrapponibile Cass. n. 20226/2024);
è fondato il primo motivo per le ragioni già espresse da questa Corte nei precedenti n. 11134/2023 e n. 20226/2024, cit.;
il Collegio intende in particolare dare continuità all’orientamento espresso dalla recente Cass. 27 aprile 2023 n. 11134 che,
pronunciando in fattispecie analoga, ha ritenuto applicabile l’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 ai rapporti di lavoro instaurati dalla Regione Puglia ai sensi della leg. reg. n. 15/1994;
la richiamata pronuncia ha valorizzato in premessa il principio secondo cui, all’esito della contrattualizzazione del rapporto di impiego pubblico, le amministrazioni indicate nel d.lgs. n. 29 del 1993, art. 1, poi trasfuso nel d.lgs. n. 165 del 2001, art. 1, sono tenute a rispettare, quanto al reclutamento del personale e alla disciplina del rapporto, le disposizioni dettate dai decreti succedutisi nel tempo (d.lgs. n. 93 del 1993, d.lgs. n. 80 del 1998, d.lgs. n. 165 del 2001, e successive modifiche e integrazioni), che costituiscono principi fondamentali ex art. 117 Cost., e, per il loro carattere imperativo ed inderogabile, impediscono al datore di lavoro pubblico di instaurare rapporti al di fuori delle regole fissate dagli stessi decreti;
i rapporti di lavoro con le amministrazioni indicate nel richiamato art. 1, possono, pertanto, essere sottratti all’applicazione della disciplina dell’impiego pubblico contrattualizzato solo sulla base di una norma speciale di pari rango, che espressamente escluda l’applicabilità della disciplina generale, oppure qualora si sia in presenza di rapporti anomali, estranei alle finalità istituzionali perseguite dall’ente pubblico e, pertanto, del tutto eccezionali e marginali (Cass. n. 14809/2007, Cass. n. 29897/2019, Cass. n. 27424/2020 e Cass. n. 11637/2021);
Cass. n. 11134/2023, cit., ha, poi, evidenziato, da un lato, che i rapporti di lavoro con gli operai salariati, sorti ai sensi della legge reg. n. 15 del 1994, art. 5, non sono stati instaurati con aziende che hanno una loro autonoma soggettività, con una organizzazione distinta, separata dalla struttura pubblicistica e dotata di autonomia non solo contabile ma anche gestionale, finanziaria e patrimoniale (cfr. Cass. S.U. n. 315/1997;
Cass. S.U. n. 11626/2002; Cass. n. 5517/2004 e la giurisprudenza ivi richiamata);
dall’altro, ha sottolineato che in relazione ai rapporti di lavoro in questione, non viene in rilievo un’attività assolutamente eccentrica rispetto alle finalità istituzionali dell’ente pubblico, come ben si evince dal fatto che la l.r. n. 16 del 2000 (art. 4 lett. r) prevede espressamente, tra le funzioni regionali, “la bonifica e l’irrigazione, ivi compresi il controllo e la vigilanza sui consorzi di bonifica”;
tali rapporti di lavoro, inoltre, non sono stati espressamente sottratti all’applicazione della disciplina dell’impiego pubblico contrattualizzato sulla base di una norma speciale di rango primario che espressamente escluda l’applicabilità di tale normativa; a tal riguardo, la l.r. n. 15 del 1994, art. 5, la cui disciplina viene richiamata dalla Corte territoriale, così recita: «1. I Consorzi di bonifica, per la gestione e la manutenzione degli impianti e delle opere di sistemazione idraulica, devono avvalersi, attraverso l’istituto del comando, del personale regionale operaio salariato con contratto di natura privatistica, riveniente alla Regione ai sensi del D.P.R. 10 aprile 1979, e già utilizzato dalla Regione nei servizi irrigui e preferibilmente presso gli stessi. 2. Le esigenze di manodopera sono soddisfatte con l’impiego di unità di personale che abbiano totalizzato, in ciascuno degli anni 1990- 1991-1992-1993, almeno 181 giornate lavorative; agli stessi sono comunque garantite non meno di 181 giornate lavorative nell’arco di dodici mesi. 3. Eventuali ulteriori esigenze di manodopera vengono soddisfatte mediante l’impiego di unità di personale che in precedenza abbiano prestato attività lavorativa occasionale presso gli impianti irrigui, secondo la graduatoria che gli
Uffici di collocamento formeranno sulla base dell’anzianità di servizio e di impiego»;
dalla piana lettura della disposizione in esame si evince che nessuna deroga alla disciplina dell’impiego pubblico privatizzato è contenuta nella l.r. Puglia n. 15 del 1994, art. 5, che, nel prevedere che i consorzi di bonifica affidatari degli impianti irrigui si avvalgano del personale regionale salariato, si limita a dettare prescrizioni sulla mano d’opera da impiegare, ma non disciplina in alcun modo i contratti di lavoro a termine stipulati con la Regione, per cui deve escludersi che la norma citata preveda una deroga alla disciplina generale (così, quasi testualmente, Cass., Sez. U., 17 maggio 2006 n. 11533, che ha escluso potesse configurarsi un ‘ ipotesi di costituzione di rapporto a tempo indeterminato in deroga alla regola generale, sancita dall’art. 97 Cost., della necessità del pubblico concorso);
opinando diversamente e stante anche il disallineamento che si realizzerebbe rispetto all’assetto comune dell’impiego privatizzato, si dovrebbe sospettare la normativa regionale di violazione dell’art. 117 Cost., comma 2 lett. l), per avere essa disciplinato, come non le è concesso, materia propria dell’ordinamento civile;
infatti, con riferimento ai profili privatistici di regolazione del rapporto di lavoro, la Consulta -si cita da Corte Costituzionale 25 luglio 2022, n. 190 -«ha costantemente affermato che la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici rientra nella materia “ordinamento civile”, attribuita in via esclusiva al legislatore statale dall’art. 117 Cost., comma 2, lett. l), (sentenze n. 146, n. 138 e n. 10 del 2019), ciò comporta che le Regioni non possono alterare le regole che disciplinano tali rapporti privati (ex multis, sentenza n. 282 del 2004)», ed ha altresì ribadito che «(l)a materia dell’ordinamento civile, riservata in via esclusiva al
legislatore statale, investe la disciplina del trattamento economico e giuridico dei dipendenti pubblici e ricomprende tutte le disposizioni che incidono sulla regolazione del rapporto di lavoro (ex plurimis, sentenze n. 175 e n. 72 del 2017, n. 257 del 2016, n. 180 del 2015, n. 269, n. 211 e n. 17 del 2014)» (Corte Cost. n. 25 del 2021); la Corte Costituzionale ha anche aggiunto che «con riguardo alla disciplina dei rapporti di lavoro pubblico e alla loro contrattualizzazione, è stato affermato da questa Corte che “i principi fissati dalla legge statale in materia “costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono anche alle Regioni a statuto speciale (…)” (sentenza n. 154 del 2019; nello stesso senso, sentenze n. 232 e n. 81 del 2019, n. 234 del 2017, n. 225 e n. 77 del 2013)»;
tutto ciò, dunque, orienta verso un’interpretazione della norma regionale coerente con i principi dell’ordinamento generale del d.lgs. n. 165 del 2001; dal che consegue che la sentenza impugnata, lì dove afferma la natura privatistica del rapporto di lavoro qui in discussione e l’inapplicabilità del d.lgs. n. 165 del 2001, art. 52, si discosta dai principi di diritto sopra enunciati, e va, in parte qua , cassata, con conseguente assorbimento del secondo e del terzo motivo, formulati in via subordinata dalla Regione ricorrente;
il quarto motivo, che censura la ritenuta ammissibilità della documentazione prodotta in appello dal COGNOME per dimostrare l’asserita natura privatistica del rapporto, è anch’esso assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso;
il quinto motivo è fondato;
il divieto di cui all’art. 437 cod. proc. civ. riguarda unicamente le eccezioni in senso proprio e le contestazioni in fatto (che escludono il fatto, specificamente allegato e non contestato, dal thema probandum ) e non si estende alle mere difese, ossia alla negazione degli elementi costitutivi del diritto in discussione, né tanto meno impedisce all’appellante di prospettare una questione giuridica, che il giudice avrebbe potuto e dovuto rilevare anche d’ufficio; ha, pertanto, errato la Corte territoriale nel ritenere inammissibili i motivi di appello con i quali era stata denunciata l’errata interpretazione del CCPL del 2005 ed era stata dedotta la sopravvenuta inefficacia del contratto integrativo provinciale, che il Tribunale aveva apprezzato, unitamente alla contrattazione nazionale, per ritenere provato l’allegato espletamento di mansioni superiori a quelle riconosciute al momento dell’assunzione;
inammissibile è, invece, la sesta critica, in relazione alla quale valgono le medesime considerazioni espresse dalla citata Cass. n. 11134/2023, cit.;
non può avere ingresso nel giudizio di cassazione il tentativo di prospettare una diversa ricostruzione dei fatti e/o di sottoporre a revisione le risultanze istruttorie (anche relative alla prova per testi), atteso che, così facendo, le doglianze, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, si rivelano più che altro finalizzate a un riesame del merito, precluso in questa sede (Cass. n. 6960/2020);
inoltre, la contrattazione nazionale, che si limita a definire la declaratoria delle ‘Aree professionali’, non è dirimente nella fattispecie, perché le censure si appuntano sui profili di inquadramento, all’interno dell’Area, che sono rimesse alla sola con trattazione provinciale, sicché il motivo si appalesa inammissibile ex 360 n. 3 cod. proc. civ., non vertendo in realtà le doglianze sulla violazione delle disposizioni contenute nel
contratto collettivo nazionale; per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi di lavoro è consentita dall’articolo 360 n. 3 cod. proc. civ. soltanto in relazione alle fonti della autonomia collettiva di carattere «nazionale», con esclusione dei contratti provinciali, anche delle province autonome, senza che tale limitazione possa dar luogo ad un dubbio di costituzionalità, atteso che il rilievo nazionale della disciplina, che giustifica l’intervento nomofilattico di questa Corte, rappresenta, altresì, l’elemento differenziale tra le fattispecie sufficiente a giustificare l’esercizio della discrezionalità del legislatore statale nel disciplinare i rimedi giurisdizionali ( ex plurimis : Cass. n. 40404/2021, Cass. n. 551/2021 e giurisprudenza ivi citata);
12. in via conclusiva, vanno accolti il primo ed il quinto motivo, con assorbimento del secondo, terzo e del quarto mezzo, mentre deve essere dichiarata inammissibile la sesta censura (restando, beninteso, impregiudicata la nuova valutazione che il giudice di rinvio andrà a svolgere, ai fini delle richieste differenze retributive per mansioni superiori , alla luce dell’accoglimento del quinto motivo);
la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo, che procederà ad un nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati e provvedendo anche al regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione;
l’accoglimento, sia pure parziale, del ricorso rende inapplicabile l’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, quanto al raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il primo e il quinto motivo di ricorso, con assorbimento della seconda, terza e della quarta censura, e dichiara inammissibile il sesto motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione.
Così deciso in Roma nella Adunanza camerale del 19/3/2025.