Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15032 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15032 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
Oggetto
QUALIFICA
SUPERIORE
R.G.N. 14316/2024 Cron. Rep. Ud. 23/04/2025 CC
ORDINANZA
sul ricorso 14316-2024 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME
COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 996/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/12/2023 R.G.N. 803/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’Appello di Milano, confermando la pronuncia del giudice di prime cure, ha respinto la domanda di NOME COGNOME diretta al riconoscimento dell’inquadramento nel superiore V livello del CCNL Telecomunicazioni quale ‘Specialista di attività tec niche integrate’ a far data dall’1.1.2005.
La Corte territoriale ha ritenuto che le mansioni svolte dal lavoratore fossero riconducibili al livello di inquadramento assegnato posto che il quadro probatorio acquisito non dimostrava il possesso di «adeguata autonomia e decisionalità…mediante lo svolgimento di compiti specialistici di elevata tecnicalità» tipici del livello superiore preteso, né era emerso che l’attività svolta fosse qualificabile come «attivazione e assistenza tecnica di servizi/prodotti presso cliente finale, assicurandone, con le necessarie competenze di ICT, la piena funzionalità (configurazione e riconfigurazione dei software )»; in ogni caso, poi, l’attività di installazione, al pari di quella di risoluzione delle anomalie e dei guasti sulla rete, non consentiva di affermare la ricorrenza di quella autonomia decisionale caratterizzante il V livello.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso il lavoratore con un motivo; la società ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo ed unico motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del CCNL 2005 (rimasto immutato anche nelle versioni 2013, 2017 e 2020) avendo, la Corte territoriale, omesso di interpretare nella sua interezza i contenuti della definizione contrattuale, trascurando che la differenza tra IV e V livello consiste non già, solo, nell’autonomia, bensì nelle
competenze, il primo relative alla sola telefonia, il secondo ai servizi integrati telefonia/traffico dati (internet), mansioni svolte dal lavoratore.
Il ricorso è improcedibile.
Preliminarmente, va precisato che, sul piano processuale, la violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro è stata parificata a quella delle nome di diritto; da ciò discende che le clausole del contratto collettivo devono essere interpretate in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 cc e ss.) che costituiscono un criterio interpretativo diretto e non più un canone esterno per verificare l’esattezza e la congruità della motivazione, senza che vi sia più la necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate né di indicare come il giudice di merito si sia discostato da canoni legali assunti come violati (Cass. n. 12866 /2024; Cass. 15934/2020; Cass. n. 5533/2016).
Questa Corte (Cass. n. 10434/2006; Cass. n. 14461/2006; Cass. n. 8037/2007; Cass. n. 3027/2009; Cass. n. 16295/2010 in motivazione) ha precisato come «l’interpretazione di una clausola di un contratto collettivo non può operarsi compiendo un esame parziale della stessa e tralasciando l’esame delle altre clausole con cui essa si integra e vicendevolmente si completa, anche in relazione all’esigenza della contrattazione in questione di apprestare una disciplina competa della realtà lavorativa del settore che è chiamata a regolare. Infatti nella contrattazione collettiva la comune intenzione delle parti non sempre è ricostruibile attraverso il mero riferimento “al senso letterale delle parole”, atteso che la natura di detta contrattazione sovente articolata su diversi livelli (nazionale, provinciale, aziendale etc.), la vastità e la complessità della materia trattata in ragione dell’interdipendenza di molteplici profili della posizione lavorativa (che sovente consigliano alle parti
il ricorso a strumenti sconosciuti alla negoziazione tra parti private come preambolo, premesse, note a verbale etc.), il particolare linguaggio in uso nel settore delle relazioni industriali non necessariamente coincidente con quello comune e, da ultimo, il carattere vincolante che non di rado assumono nell’azienda l’uso e la prassi, costituiscono elementi che rendono indispensabile nella materia una utilizzazione dei generali criteri ermeneutici che tenga conto di detta specificità, con conseguente assegnazione di un preminente rilievo al canone interpretativo dettato dall’art. 1363 c.c.».
L’esigenza di una interpretazione complessiva delle clausole, presupposto per la ricostruzione della comune volontà delle parti, secondo i criteri invocati dalla stessa parte ricorrente, richiede l’esatto adempimento degli oneri di cui all’art. 369 c.p.c.
Secondo l’indirizzo consolidato (cfr. Cass. n. 4350 del 2015; Cass. n. 6255 del 2019; Cass. n. 23351/2020), nel giudizio di cassazione, l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall’art. 369, comma 2, n. 4, c. p. c. – può dirsi soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c. .
Ebbene, nel caso di specie, la censura è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto di tutto l’art. 23 del CCNL (o quantomeno il contenuto delle declaratorie generali dei due livelli posti in comparazione e non solamente dei profili pretesi), depositando, inoltre, copie integrali (e non meri estratti) dei CCNL invocati. La lacuna appare ancora più evidente alla luce
della motivazione della sentenza impugnata che ha sottolineato come «è la declaratoria contrattuale che aiuta ad interpretare il singolo profilo professionale» (pag. 6) e che, nel caso di specie, il livello superiore preteso è caratterizzato (non solo dalla svolgimento di attivazione e assistenza tecnica di servizi/prodotti presso il cliente finale, dalle possedute competenze di ICT e dall’effettuare configurazione/riconfigurazione dei software ma anche ) da «adeguata autonomia e decisionalità…mediante lo svolgimento di compiti specialistici di elevata tecnicalità», elementi qualificanti non emersi dal quadro probatorio (sulla rilevanza dei profili di autonomia e responsabilità, cfr., in ordine alle medesime mansioni e all’art. 23 del CCNL in questione, Cass. nn. 459 e 18692 del 2020).
In ogni caso, va altresì sottolineato che in ordine al medesimo oggetto di questo ricorso (riconoscimento del V livello di cui al CCNL Telecomunicazioni a dipendenti della società RAGIONE_SOCIALE adibiti ad attività di assistenza tecnica nonché interpret azione dell’art. 23 del suddetto CCNL), questa Corte ha già statuito con provvedimenti di rigetto, che hanno sottolineato i caratteri di autonomia e decisionalità richiesti dalle parti sociali (cfr. Cass. n. 459 del 2020 e Cass. n. 18692 del 2020).
In conclusione, il ricorso va dichiarato improcedibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P. Q. M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali e in euro
200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarre.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 aprile 2025.
Il Presidente dott.ssa NOME COGNOME