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Inquadramento superiore: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato il diritto all’inquadramento superiore per due operatori di call center. La Corte ha ritenuto che le loro mansioni, implicando problem-solving e gestione del cliente oltre la semplice fornitura di informazioni, corrispondessero al profilo professionale più elevato. L’ordinanza chiarisce i criteri per l’accertamento delle mansioni superiori e conferma l’ammissibilità di una domanda giudiziale limitata all’accertamento del diritto, rinviando la quantificazione economica a un momento successivo.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Inquadramento Superiore per Operatori di Call Center: Cosa Dice la Cassazione?

L’ordinanza in esame affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro: il diritto all’inquadramento superiore. Spesso i lavoratori si trovano a svolgere mansioni che vanno oltre quelle previste dal loro livello contrattuale. In questi casi, la legge prevede la possibilità di ottenere il riconoscimento di un livello superiore e della relativa retribuzione. Con una recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha confermato questo principio in un caso riguardante alcuni operatori di call center, fornendo chiarimenti importanti sul processo di accertamento e sulle modalità di azione in giudizio.

I fatti del caso

Due dipendenti di una grande azienda di telecomunicazioni, assunti con il 3° livello del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di settore, hanno citato in giudizio il loro datore di lavoro. Sostenevano di svolgere mansioni riconducibili al 4° livello, un profilo professionale definito come ‘operatore di call center’ che implicava compiti più complessi rispetto a quelli del loro inquadramento formale.

La Corte d’Appello di Milano, riformando la decisione di primo grado, ha dato ragione ai lavoratori. I giudici di secondo grado hanno accertato che l’attività dei dipendenti non si limitava a riportare informazioni standard, ma includeva la ricerca attiva di soluzioni ai problemi dei clienti, la gestione di lamentele e la capacità di convincere i clienti a non disdire i contratti. Queste attività, secondo la Corte, erano caratterizzate da ‘capacità di relazione interpersonale e autonomia esecutiva’, elementi tipici del 4° livello rivendicato. Di conseguenza, l’azienda è stata condannata a pagare le differenze retributive maturate.

I motivi del ricorso in Cassazione

L’azienda ha impugnato la sentenza d’appello davanti alla Corte di Cassazione, basando il proprio ricorso su tre motivi principali:
1. Errata applicazione delle norme sul contratto di lavoro e sul CCNL: Secondo l’azienda, la Corte d’Appello avrebbe interpretato erroneamente le declaratorie contrattuali, attribuendo un significato sbagliato alle mansioni svolte.
2. Violazione delle norme processuali sulla valutazione delle prove: L’azienda contestava il modo in cui i giudici avevano valutato le testimonianze, ritenendole inattendibili.
3. Inammissibilità della domanda: Si sosteneva che la domanda dei lavoratori, limitata al solo accertamento del diritto (an debeatur) senza una quantificazione precisa, fosse proceduralmente inammissibile.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso in ogni sua parte, confermando la decisione della Corte d’Appello. Le motivazioni offrono spunti fondamentali sia sul merito della questione dell’inquadramento superiore sia su aspetti procedurali.

Il corretto accertamento delle mansioni superiori

La Cassazione ha ribadito che la valutazione del diritto all’inquadramento superiore deve seguire un procedimento logico preciso, noto come ‘criterio trifasico’:
1. Accertamento in fatto: il giudice deve prima ricostruire nel dettaglio le attività concretamente svolte dal lavoratore.
2. Interpretazione delle declaratorie: successivamente, deve interpretare le norme del contratto collettivo per definire i profili professionali e le mansioni previste per ciascun livello.
3. Confronto: infine, deve confrontare le mansioni accertate con i profili contrattuali per verificare se vi sia corrispondenza con il livello superiore rivendicato.

Secondo la Corte, i giudici d’appello hanno seguito correttamente questo schema. Le critiche mosse dall’azienda non riguardavano un errore di diritto nell’interpretazione del CCNL, ma un dissenso sull’apprezzamento dei fatti (come la prevalenza di certi compiti o il grado di autonomia). Tale valutazione rientra nel potere esclusivo del giudice di merito e non può essere messa in discussione in sede di legittimità.

La valutazione delle prove e l’attendibilità dei testimoni

La Corte ha dichiarato inammissibile il secondo motivo di ricorso. Ha chiarito che la violazione delle norme sulla valutazione delle prove (art. 116 c.p.c.) può essere denunciata in Cassazione solo in casi specifici e limitati, ad esempio quando il giudice non valuta una prova secondo il suo ‘prudente apprezzamento’ ma le attribuisce un valore predefinito, o ignora una prova con valore legale. Non è sufficiente sostenere che il giudice abbia ‘valutato male’ le prove o abbia dato più peso a una testimonianza piuttosto che a un’altra. L’attendibilità dei testimoni è una valutazione che spetta unicamente al giudice di merito.

L’ammissibilità della domanda di condanna generica

Infine, la Cassazione ha respinto anche il terzo motivo, confermando un principio consolidato: anche nel rito del lavoro è pienamente ammissibile presentare una domanda di ‘condanna generica’. Un lavoratore può chiedere al giudice di accertare il suo diritto a una prestazione economica (in questo caso, le differenze retributive per l’inquadramento superiore) senza doverne immediatamente quantificare l’importo esatto. La determinazione del quantum debeatur può essere rinviata a un separato giudizio. Questa possibilità processuale garantisce una maggiore flessibilità e tutela per il lavoratore.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

L’ordinanza della Cassazione rafforza la tutela dei lavoratori che svolgono mansioni superiori rispetto al loro inquadramento formale. I principi chiave che emergono sono:
La sostanza prevale sulla forma: ciò che conta non è il nome dato alla mansione, ma le concrete attività svolte, il loro grado di complessità, autonomia e responsabilità.
Il ruolo del CCNL: le declaratorie contrattuali sono lo strumento fondamentale per definire i confini tra i diversi livelli, e la loro corretta interpretazione è decisiva.
I limiti del giudizio di Cassazione: le valutazioni sui fatti e sull’attendibilità delle prove effettuate nei gradi di merito non possono essere, di regola, rimesse in discussione davanti alla Suprema Corte.
Flessibilità processuale: i lavoratori possono agire in giudizio per ottenere prima il riconoscimento del loro diritto e solo in un secondo momento la liquidazione delle somme spettanti. Questa decisione rappresenta un importante punto di riferimento per tutti i casi di demansionamento o errato inquadramento, specialmente in settori, come quello dei call center, dove i confini tra le mansioni possono essere fluidi e in continua evoluzione.

Quando un operatore di call center ha diritto all’inquadramento superiore?
Un operatore ha diritto all’inquadramento superiore quando le sue mansioni non si esauriscono nel fornire informazioni standard, ma includono la ricerca di soluzioni a problemi, la gestione di lamentele e attività di persuasione del cliente, dimostrando capacità di relazione interpersonale e autonomia esecutiva riconducibili al profilo professionale superiore previsto dal CCNL.

È possibile contestare in Cassazione il modo in cui il giudice di merito ha valutato le testimonianze?
No, di norma non è possibile. La valutazione dell’attendibilità dei testimoni e l’apprezzamento delle prove sono attività che rientrano nel potere esclusivo del giudice di merito. Il ricorso in Cassazione è ammesso solo se si denuncia la violazione di specifiche norme sulla valutazione della prova, non per un semplice dissenso sull’esito di tale valutazione.

Un lavoratore può chiedere al giudice di riconoscere un diritto economico senza specificare subito l’importo esatto?
Sì, è possibile. Il nostro ordinamento processuale consente di presentare una domanda di ‘condanna generica’, con cui si chiede al giudice di accertare l’esistenza del diritto al pagamento (an debeatur), rinviando la quantificazione precisa dell’importo (quantum) a un successivo e separato giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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