Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7853 Anno 2019
Civile Sent. Sez. L Num. 7853 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/03/2019
SENTENZA
sul ricorso 27935-2014 proposto da: COGNOME domiciliato ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dallAvvocato NOME COGNOME; da : la
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE C.F. P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME 2018 4370 persona studio COGNOME
avverso la sentenza n. 813/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata l’ 8/05/2014 R.G.N. 1188/2012; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/12/2018 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME pubblica NOME
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso. per
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 813/2014, depositata 1’8 maggio 2014, la Corte di appello di Palermo ha confermato la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima sede aveva respinto il ricorso di NOME COGNOME – già dipendente dell’Azienda di Stato per i Servizi Telefonici con qualifica, da ultimo, di “revisore tecnico coordinatore” (cat. VII” successivamente transitato prima in Intel S.p.A. (con decorrenza 1/11/1993) e, quindi, in Telecom RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE (con decorrenza 18/8/1994) a seguito della privatizzazione del settore delle telecomunicazioni – volto ad ottenere l’inquadramento nel superiore livello 6° C.C.N.L. di settore, in luogo del livello 5° chè gli era stato attribuito già in occasio del primo passaggio: conclusione cui la Corte perveniva sul rilievo che, anche limitando l’accertamento ad un confronto astratto tra le declaratorie in discussione, il livello d inquadramento attribuito al lavoratore ai momento dell’assunzione da parte di Intel era da ritenersi del tutto congruo rispetto alla categoria ed al profilo di provenienza e tale d tutelare nella sua integrità la professionalità acquisita, con conseguente assorbimento della domanda risarcitoria da demansionamento.
2. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza lo COGNOME con quattro motivi, cui ha resistito Telecom Italia S.p.A. con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, deducendo la violazione degli artt. 4, comma quinto, lett. b) della I. n. 58/1992 e 2103 cod. civ., il ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere la Corte di appello condotto il procedimento di comparazione sulla base delle declaratorie contrattuali astrattamente considerate e comunque per non averlo esteso agli interi sistemi classificatori vigenti, prima, nell’ASST e, poi, in Intel e in Telecom Italia S.p. con valutazione globale e non rigidamente ancorata alla formulazione letterale dei singoli livelli.
2. Con il secondo, deducendo la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (D.M. 5 agosto 1982, n. 4584; art. 3 I. n. 797/1981; art. 3 I. n. 101/1979) e del C.C.N.L. SIP del 1992 (art. 12, co. 5°), nonché vizio di motivazione, il ricorrente censura la sentenza per non avere la Corte di appello preso in esame i tratti salienti della qualifica posseduta dal lavoratore nell’Azienda di Stato, pervenendo di conseguenza ad un erroneo giudizio di equivalenza professionale tra la categoria settima ed il livello 5 del contratto colletti citato.
3. Con il terzo motivo, deducendo la violazione degli artt. 111, comma 6, Cost. e 132 n. 4 cod. proc. civ., nonché il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., il ricorrente si di una motivazione del giudice di appello soltanto apparente ed in contrasto insanabile con il contenuto delle declaratorie poste a confronto.
4. Con il quarto, deducendo nuovamente la violazione degli artt. 111, co. 6, Cost. e 132 n. 4 cod. proc. civ., nonché il vizio di cui all’art. 360 n. 5, il ricorrente si duole della omessa motivazione sul diritto al risarcimento del danno conseguente alla perdita di professionalità.
5. Il primo motivo risulta inammissibile.
6. Al riguardo si deve premettere che la Corte di appello si è correttamente uniformata al consolidato principio, per il quale “in tema di rapporti di lavoro dei dipendenti dell’Azienda di Stato per i servizi telefonici, nel passaggio dei servizi di telefonia dal settore pubblico quello privato, in forza della normativa di riferimento (art. 4 legge n. 58 del 1992) le indicazioni contenute nelle tabelle di equiparazione adottate con accordo sindacale costituiscono elemento decisivo di riferimento per operare l’inquadramento presso la nuova gestione solo ed in quanto l’equivalenza delle posizioni di lavoro – messe a confronto – sussista realmente. Ne consegue la non applicabilità di tali tabelle, ove non si riscontri corrispondenza in concreto tra le mansioni svolte nella fase precedente (connesse all’inquadramento e al livello prima attribuito) e le mansioni riferite a qualifica e livello ottenuti in sede di passaggio all’impiego privato” (Cass. n. 4991/2011; conformi, fra le più recenti, Cass. n. 1249/2015 e n. 25743/2018).
7. La Corte ha, quindi, osservato come tale valutazione in concreto le risultasse impedita non avendo lo COGNOME “tempestivamente illustrato le mansioni svolte allorquando era alle dipendenze dell’RAGIONE_SOCIALE (descrizione del tutto assente nel ricorso di primo grado) e mai indicato i compiti a lui assegnati dopo l’assunzione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE (esposizione ictu ocu/i carente negli atti introduttivi di entrambi i gradi di giudizio)”.
8. Tale autonoma ragione decisoria non ha formato oggetto di specifica censura con il motivo in esame (né con alcuno degli altri motivi dedotti), fermo restando che la Corte di appello è pervenuta “ad escludere ogni lesione alla professionalità del dipendente” anche sulla base di “un mero confronto in astratto … tra i profili lavorativi di provenienz destinazione” del lavoratore (cfr. sentenza impugnata, p. 4) e cioè sviluppando il proprio ragionamento all’interno della stessa tesi difensiva dell’appellante.
9. Come più volte precisato da questa Corte, “nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso sia accolto nella sua interezza, affinché si compia lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale mira alla cassazione della sentenza, ossia di tutte le ragioni che autonomamente la sorreggono. È sufficiente, pertanto, che anche una sola
delle ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola di esse, perché il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni” (Cass. n. 4199/2002, fra le molte conformi).
10. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente, sono parimenti inammissibili, poiché, nella sostanza delle censure proposte, tendono a contrapporre una soluzione di merito diversa e antitetica rispetto a quella motivatamente fatta propria dal giudice di appello nella sentenza impugnata, la quale, diversamente da quando dedotto, ha posto a confronto i tratti distintivi della settima categoria e del livello 5° C.C.N.L. S del 1992, in particolare rilevando come “le attività di direzione di stazione telefonica e di coordinamento di gruppi di tecnici”, proprie della prima, fossero ampiamente sussumibili nelle “funzioni direttive” delineate nel secondo (cfr. p. 5); analoghe le conclusioni della Corte all’esito dell’indagine condotta sulla declaratoria contrattuale introdotta dall’art. 3 n. 797/1981 (cfr. p. 6).
11. D’altra parte, le carenze motivazionali denunciate con i mezzi di ricorso in esame si pongono fuori del perimetro applicativo del “nuovo” art. 360 n. 5, così come riformulato a seguito dell’entrata in vigore del d.l. n. 83/2012, convertito con modificazioni dalla I. 134/2012, il quale – secondo quanto ribadito da Cass. n. 23238/2017 e da numerose conformi, nel solco tracciato da Sez. U. n. 8053/2014 e n. 8054/2014 – ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo dell sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia; con la conseguenza che nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. il rente deve indicare ricor il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il testuale o extratestuale, da cui esso dato, risulti esistente, il e il come quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.
12. Si rileva inoltre, con specifico riguardo al terzo motivo, ferma restando la radicale e intrinseca contraddittorietà della contestuale denuncia di vazione che si vuole ad una moti un tempo carente e priva dell’essenziale requisito di cui all’art. 132, co. 2°, n. 4 cod proc. civ., che può dirsi apparente (e dunque nulla perché affetta da error in procedendo) solo la sentenza che, sebbene graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio
convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con varie, ipotetiche congetture” (Sez. U n. 22232/2016).
13. Il quarto motivo di ricorso è infondato, avendo la Corte territoriale – in coeren il (confermato) rigetto della domanda – ritenuto “assorbita ogni altra questione” 6) e così la domanda del lavoratore volta al risarcimento del danno alla professional
14. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
15. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
p.q.m.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del p giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per com professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza quater, dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 dicembre 2018.
li FunziOnatio NOME
Dott.s~ala COL