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Inquadramento lavoratore in ente pubblico economico

Una dipendente di una società di riscossione ha contestato la revoca di una promozione. La Corte d’Appello ha accolto la sua richiesta di inquadramento superiore. La Cassazione ha confermato la decisione, stabilendo che per l’inquadramento lavoratore in un ente pubblico economico si applicano le norme del diritto privato e del codice civile, non quelle del pubblico impiego, respingendo il ricorso della società.

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Pubblicato il 7 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Inquadramento lavoratore in ente pubblico economico: la Cassazione fa chiarezza

L’ordinanza in esame affronta una questione cruciale nel diritto del lavoro: quali regole si applicano al rapporto di impiego con gli enti pubblici economici? La Corte di Cassazione, con una decisione ben argomentata, ribadisce un principio fondamentale che distingue nettamente la disciplina del lavoro privato da quella del pubblico impiego. Il caso riguarda l’inquadramento lavoratore presso una società di riscossione, la cui natura giuridica è al centro del dibattito, con importanti conseguenze sulla gestione delle progressioni di carriera.

I fatti del caso: la revoca della promozione e la richiesta di un nuovo inquadramento

Una dipendente di una società concessionaria del servizio di riscossione, assunta nel 2001, si era vista riconoscere una promozione a un livello superiore nel 2011. Tuttavia, nel 2016, l’amministratore della società revocava tale promozione. La lavoratrice ha quindi adito il Tribunale del Lavoro, sostenendo l’illegittimità della revoca e rivendicando il diritto a un inquadramento ancora superiore, quello di “quadro”, a partire dal 2012, in virtù delle mansioni di assistenza tecnica legale svolte davanti alle commissioni tributarie.

In primo grado, il Tribunale ha respinto la domanda, qualificando la società come ente di natura pubblica e applicando le relative rigidità normative. La Corte d’Appello, invece, ha ribaltato la decisione: ha dichiarato illegittima la revoca della promozione e ha riconosciuto alla lavoratrice il diritto all’inquadramento nella categoria di “quadro di primo livello”, condannando la società al pagamento delle differenze retributive.

L’inquadramento lavoratore negli enti pubblici economici: la decisione della Cassazione

La società di riscossione ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il proprio ricorso su quattro motivi principali, tutti respinti dalla Suprema Corte.

La natura giuridica della società di riscossione

Il primo e più importante motivo di ricorso si fondava sull’errata, a dire della società, qualificazione della sua natura giuridica. La ricorrente sosteneva di essere un ente pubblico a tutti gli effetti, soggetto alle norme vincolistiche del pubblico impiego, in particolare quelle che impongono procedure di reclutamento pubbliche e imparziali. Di conseguenza, la promozione concessa sarebbe stata nulla perché in contrasto con tali norme.

La Cassazione ha smontato questa tesi, chiarendo che le società di riscossione, pur perseguendo finalità pubbliche, hanno la natura di enti pubblici economici. Questa qualificazione implica che i rapporti di lavoro alle loro dipendenze sono disciplinati dal diritto privato, ovvero dal codice civile e dalle leggi sul lavoro subordinato, e non dal Testo Unico sul Pubblico Impiego (D.Lgs. 165/2001). Pertanto, l’assegnazione a mansioni superiori e il conseguente inquadramento lavoratore sono regolati dall’art. 2103 del codice civile e dalla contrattazione collettiva, non da procedure concorsuali pubbliche.

La valutazione delle mansioni e i limiti del giudizio di legittimità

Con il secondo motivo, la società ha tentato di contestare nel merito la valutazione della Corte d’Appello, secondo cui le mansioni svolte dalla dipendente integravano i requisiti per la qualifica di “quadro”. La Cassazione ha dichiarato questo motivo inammissibile, ribadendo un principio consolidato: l’accertamento in fatto delle attività lavorative svolte e il loro confronto con le declaratorie contrattuali sono giudizi di merito, riservati ai tribunali di primo e secondo grado. In sede di legittimità, la Suprema Corte non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, a meno che la motivazione di quest’ultimo non sia palesemente illogica o carente, cosa che in questo caso non è stata riscontrata.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso basandosi su argomentazioni solide e coerenti con la sua giurisprudenza pregressa. Il punto cardine è la distinzione tra pubbliche amministrazioni in senso stretto ed enti pubblici economici. Mentre le prime sono soggette a un regime pubblicistico rigido per assunzioni e progressioni di carriera, i secondi agiscono con gli strumenti del diritto privato. Di conseguenza, il rapporto di lavoro con i dipendenti di un ente pubblico economico è di natura privatistica.

La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili gli altri due motivi di ricorso. Il terzo motivo è stato respinto perché introduceva una questione nuova, mai sollevata nei precedenti gradi di giudizio, violando il principio secondo cui il giudizio di Cassazione è limitato al thema decidendum già definito. Il quarto motivo, relativo a un presunto vizio di ultra petita, è stato ritenuto infondato, poiché la decisione della Corte d’Appello rientrava pienamente nell’ambito delle domande, anche subordinate, presentate dalla lavoratrice.

Le conclusioni

L’ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. Stabilisce che l’inquadramento lavoratore all’interno di società a partecipazione pubblica che svolgono attività economiche, come quelle di riscossione, non è soggetto ai vincoli del pubblico impiego, ma alle più flessibili norme del codice civile e della contrattazione collettiva. Questa decisione tutela le legittime aspettative dei lavoratori a veder riconosciuto il proprio percorso professionale sulla base delle mansioni effettivamente svolte, senza che il datore di lavoro possa invocare, a posteriori, una natura pubblicistica per invalidare promozioni già concesse.

Una società di riscossione, pur essendo un ente pubblico economico, deve seguire le regole del pubblico impiego per l’inquadramento dei dipendenti?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il rapporto di lavoro con gli enti pubblici economici ha natura privatistica. Pertanto, si applicano le norme del codice civile (come l’art. 2103) e della contrattazione collettiva, non le rigide procedure di reclutamento e progressione previste per le pubbliche amministrazioni.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle mansioni di un lavoratore fatta dal giudice di merito?
No, di norma non è possibile. L’accertamento delle mansioni concretamente svolte da un dipendente è un giudizio di fatto riservato al giudice di merito. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione della sentenza impugnata è illogica, contraddittoria o del tutto assente, ma non può riesaminare le prove e sostituire la propria valutazione.

È possibile sollevare per la prima volta in Cassazione una questione non discussa nei gradi di merito?
No. Il ricorso per cassazione deve riguardare questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello. È preclusa alle parti la possibilità di prospettare questioni o temi di contestazione nuovi, che non siano stati trattati nelle fasi di merito e che non siano rilevabili d’ufficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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