Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5297 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 5297 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15060-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4162/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/12/2018 R.G.N. 4811/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
R.G.N. 15060/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 17/01/2024
CC
RILEVATO CHE
con sentenza 20 dicembre 2018, la Corte d’appello di Roma ha condannato NOME COGNOME al pagamento, in favore di NOME COGNOME a titolo di differenze retributive, della somma di € 29.535,32, oltre accessori di legge: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva accertato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 16 marzo 2009 al 4 aprile 2013 tra le parti e condannato il primo al pagamento, in favore della seconda per differenze retributive, della somma di € 53.116,10 oltre accessori e regolarizzazione contributiva e la seconda, in favore del primo in accoglimento della sua domanda riconvenzionale, della somma di € 1.273,67 per mancato preavviso;
dato preliminare atto della devoluzione della sola entità del trattamento retributivo spettante alla lavoratrice, in relazione al livello di inquadramento corrispondente alle mansioni svolte, la Corte territoriale ha ritenuto, in esito a critica disamina delle risultanze istruttorie e dei livelli del CCNL di settore applicato, la corrispondenza delle mansioni svolte dalla predetta (di supporto operativo in attività complementari (quali, in particolare: contatti telefonici e di corrispondenza con la clientela, commissioni presso banca e uffici postali, emissione di fatture su indicazione del datore … ) al III livello, anziché al V rivendicato (e attribuito dal Tribunale). E le ha pertanto riconosciuto le differenze retributive con esso coerenti, liquidandole la somma suindicata, sulla base dei conteggi dalla medesima riformulati;
con atto notificato il 6 maggio 2019, la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c., cui ha resistito il datore con controricorso;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
1. la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 100 CCNL Terziario Distribuzione e Servizi, per erroneo inquadramento proprio – sulla base delle mansioni svolte (come in particolare riassunte nel contratto a progetto di assunzione e nei successivi, di formale regolarizzazione del rapporto di lavoro e in altra documentazione indicata) e dei livelli di inquadramento del CCNL definiti dalla norma denunciata, con i relativi profili professionali ivi esemplificati – al quinto, anziché al terzo livello richiesto o, quanto meno, al quarto (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 102 CCNL Terziario Distribuzione e Servizi, per erroneo inquadramento della lavoratrice in livello deteriore rispetto a quello richiesto, risultante dalla prevalenza, nell’ambito delle mansioni promiscue svolte, dell’utilizzo di softwares aziendali (quali ‘Soluzione Agenti’) e della tenuta del registro di prima nota, essenziale per la contabilizzazione dei dati dell’attività dal commercialista esterno, ben rientranti nell’ambito nella qualificazione del n. 19 del III livello o quanto meno del n. 1 del IV livello, quale contabile d’ordine (secondo motivo); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quali l’allegazione, fin dall’atto introduttivo, delle proprie competenze professionali ed esperienze lavorative pregresse e della documentazione (estratto contributivo Inps, curriculum vitae ) di esse comprovante (terzo motivo);
essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;
3. al di là del difetto di specifica indicazione (non integrata, al penultimo capoverso di pg. 12 del ricorso, da quella oltremodo generica: ‘CCNL allegato al fascicolo di primo grado di parte ricorrente’ ) della sede di produzione del CCNL di settore applicato (comportante l’inammissibilità dei motivi di error in iudicando delle norme denunciate: Cass. 20 novembre 2017, n. 27475; Cass. 27 dicembre 2019, n. 34469; Cass. 1 luglio 2021, n. 18695), la Corte territoriale ha esattamente applicato il cd. ‘procedimento trifasico’.
Come noto, esso si articola in tre fasi successive, consistenti nell’accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte, nell’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra i risultati di tali due indagini (Cass. 27 settembre 2010, n. 20272; Cass. 28 aprile 2015, n. 8589; Cass. 22 novembre 2019, n. 30580). Tenuto conto, in base alla reciproca analisi qualitativa, dell’attività maggiormente significativa, sul piano professionale espletata dalla lavoratrice in via non sporadica né occasionale (Cass. 22 dicembre 2009, n. 26978; Cass. 8 febbraio 2021, n. 2629), la Corte capitolina ha offerto un’argomentata giustificazione – in esito al raffronto con i livelli di inquadramento in comparazione (III, IV e V) debitamente trascritti, per quanto d’interesse (agli ultimi tre capoversi di pg. 4 della sentenza) – della corrispondenza delle mansioni effettivamente svolte ‘in misura prevalente’ al III livello sulla base del ‘complesso degli elementi probatori’ acquisiti, tanto testimoniali che documentali (dal penultimo capoverso di pg. 3 al quarto di pg. 4 della sentenza);
4. le norme di CCNL denunciate, che questa Corte interpreta in via diretta per la loro parificazione sul piano processuale alle norme di diritto, in base ai canoni di ermeneutica negoziale previsti dagli artt. 1362 ss. c.c., alla stregua di criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione (Cass. 19 marzo 2014, n. 6335; Cass. 9 settembre 2014, n. 18946; Cass. 28 maggio 2018, n. 13265; Cass. 18 novembre 2019, n. 29893; Cass. 12 aprile 2021, n. 9583), non risultano poi essere state violate, così come formalmente denunciato, in assenza di errori di diritto, anche sotto il profilo del vizio di sussunzione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851). La ricorrente si duole piuttosto di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.: che è vizio non denunciato con i primi due motivi, né in ogni caso sussistente;
neppure si configura alcuna omissione di esame di un fatto decisivo per il giudizio, prospettato nelle competenze professionali ed esperienze lavorative pregresse della lavoratrice e nella relativa documentazione (invece avvenuto: al secondo e terzo capoverso di pg. 4 della sentenza): in realtà neppure trattandosi di un fatto storico, quanto piuttosto, inammissibilmente, di contestazione valutativa di risultanze istruttore (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053); pure in assenza, in ogni caso, del carattere di decisività per la deduzione di una pluralità di elementi, che esclude ex se la portata risolutiva di ciascuno (Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28 maggio 2018, n. 13625; Cass. 3 maggio 2019, n. 11705). Sicché, il vizio denunciato si colloca al di fuori del nuovo paradigma normativo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.;
le censure si risolvono nella sostanza in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987; Cass. 13 febbraio 2023, n. 4316), in quanto spettanti esclusivamente al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione;
pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la lavoratrice ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 17 gennaio 2024