LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Inquadramento dirigenziale: non automatico per avvocato

Un avvocato dipendente di un Comune chiedeva il riconoscimento della qualifica superiore sulla base delle complesse mansioni svolte. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15320/2024, ha rigettato il ricorso, stabilendo che l’inquadramento dirigenziale non è automatico ma deriva da una scelta discrezionale della Pubblica Amministrazione. L’istituzione di una posizione dirigenziale è un atto di macro-organizzazione che non può essere sostituito dalla valutazione del giudice sulla natura delle attività svolte dal dipendente.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Inquadramento dirigenziale non automatico per avvocati pubblici

L’inquadramento dirigenziale per un avvocato dipendente di un ente locale non può essere rivendicato solo sulla base della complessità delle mansioni svolte. È necessario che l’amministrazione, nell’esercizio del suo potere discrezionale, abbia istituito una specifica posizione dirigenziale. Questo è il principio cardine ribadito dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 15320 del 31 maggio 2024.

I fatti del caso

La vicenda trae origine dalla domanda di un avvocato, dipendente di un Comune, assunto come funzionario di categoria D3. Il professionista aveva richiesto in giudizio il riconoscimento del diritto all’inquadramento nel profilo dirigenziale, con decorrenza dalla data di assunzione, sostenendo di aver di fatto svolto mansioni di livello superiore, caratterizzate da elevata responsabilità e complessità, inclusa la difesa dell’ente in giudizi di notevole valore economico.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto la sua domanda. Successivamente, la Corte d’Appello aveva declinato la giurisdizione, decisione poi annullata dalle Sezioni Unite della Cassazione, che avevano riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario trattandosi di una pretesa basata su un diritto soggettivo (lo svolgimento di mansioni superiori).

Tuttavia, nel giudizio di rinvio, la Corte d’Appello ha respinto nel merito la richiesta del legale, accogliendo l’appello del Comune. La Corte territoriale ha evidenziato che l’ente locale, nel suo regolamento, aveva istituito un ufficio legale con a capo un funzionario (area D) e non un dirigente, e che il ricorrente era stato assunto proprio per ricoprire tale posizione. Pertanto, le mansioni svolte erano conformi all’inquadramento previsto.

La decisione della Corte di Cassazione

Investita della questione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del legale, confermando la decisione della Corte d’Appello. I giudici hanno chiarito diversi punti fondamentali in materia di pubblico impiego e organizzazione degli enti locali.

L’inquadramento dirigenziale e la discrezionalità della P.A.

Il fulcro della decisione risiede nella netta distinzione tra lo svolgimento di compiti complessi e il diritto all’inquadramento dirigenziale. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la creazione di una posizione dirigenziale è un atto di macro-organizzazione riservato alla Pubblica Amministrazione. Spetta all’ente, attraverso i propri atti normativi e organizzativi, definire le linee fondamentali della propria struttura, individuare gli uffici di maggiore rilevanza e decidere se attribuire loro una qualifica dirigenziale.

Il giudice non può sostituirsi all’amministrazione in questa valutazione. Non può, cioè, analizzare la sostanza delle attività svolte da un dipendente e qualificarle come ‘dirigenziali’ se manca a monte un atto dell’ente che istituisca formalmente quella posizione. Nel caso di specie, il CCNL di riferimento prevede espressamente il profilo professionale di ‘avvocato’ nella categoria D (funzionari), dimostrando che l’avvocatura comunale può essere composta da funzionari, dirigenti o entrambi, a seconda delle scelte discrezionali dell’ente.

Le motivazioni

La Corte ha motivato il rigetto del ricorso specificando che la precedente pronuncia delle Sezioni Unite si era limitata a risolvere la questione della giurisdizione, senza entrare nel merito della fondatezza della pretesa. Il fatto che la domanda fosse basata sull’asserito svolgimento di mansioni superiori non implicava automaticamente che tali mansioni fossero di natura dirigenziale.

I giudici hanno sottolineato che l’attività di un avvocato pubblico, per sua natura, implica autonomia e responsabilità, ma ciò non la rende automaticamente equiparabile a una funzione dirigenziale. Quest’ultima presuppone una collocazione apicale nell’organizzazione dell’ente, che nel caso in esame non era stata prevista dal Comune. L’assenza di un’impugnazione degli atti amministrativi che istituivano l’ufficio legale come posizione non apicale ha ulteriormente rafforzato la posizione dell’ente.

Infine, la Corte ha respinto anche il motivo relativo alla condanna alle spese legali, chiarendo che il giudice del rinvio deve decidere sulle spese in base all’esito complessivo del giudizio (principio della soccombenza globale). Essendo il lavoratore risultato totalmente soccombente nel merito, era corretto porre a suo carico le spese di tutte le fasi del processo.

Le conclusioni

In conclusione, l’ordinanza n. 15320/2024 riafferma un principio cruciale nel diritto del lavoro pubblico: il diritto a un inquadramento dirigenziale non sorge automaticamente dallo svolgimento di mansioni complesse e di alta responsabilità. È indispensabile un atto formale dell’amministrazione che istituisca e definisca la posizione come dirigenziale. In assenza di tale atto, il dipendente, anche se avvocato, non può pretendere un inquadramento superiore basandosi unicamente sulla natura dell’attività prestata.

Svolgere mansioni complesse come avvocato di un ente pubblico dà automaticamente diritto all’inquadramento dirigenziale?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’inquadramento dirigenziale non è automatico e non deriva dalla mera complessità delle mansioni svolte. È necessaria una specifica previsione nell’organizzazione dell’ente, che rientra nella discrezionalità della Pubblica Amministrazione.

Il giudice può riconoscere un inquadramento dirigenziale se l’amministrazione non ha previsto quella posizione?
No. Il giudice non può sostituirsi alle scelte organizzative dell’amministrazione. Se l’ente non ha istituito un posto di livello dirigenziale tramite i propri atti di macro-organizzazione, il giudice non può qualificare di natura dirigenziale l’attività svolta dal dipendente per riconoscergli l’inquadramento superiore.

Se un ricorso viene accolto in una fase del processo ma poi rigettato nel merito, chi paga le spese legali?
Le spese legali seguono il principio della ‘soccombenza globale’. Ciò significa che vengono liquidate in base all’esito finale dell’intera causa. Pertanto, la parte che risulta soccombente alla fine del giudizio, anche se ha vinto una fase intermedia, può essere condannata a rimborsare tutte le spese processuali alla controparte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati