Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15320 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 15320 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 31/05/2024
1.Con sentenza n. 166/2014 il Tribunale di Sulmona, in accoglimento della domanda proposta da NOME COGNOME (dipendente del Comune di Sulmona preposto al servizio legale con la qualifica D3, posizione economica D4) ha dichiarato il diritto del medesimo all’inquadramento nel profilo dirigenziale di avvocato con decorrenza dalla data di assunzione (16.5.2001) e al corrispondente trattamento economico e normativo previsto dal CCNL Area Dirigenza Comparto Regioni ed Autonomie Locali del 23.12.1999; ha inoltre condannato il Comune alla corresponsione delle differenze di retribuzione con decorrenza dal 11.8.2005, oltre alla maggior somma tra rivalutazione ed interessi dalle singole scadenze al saldo, e alla regolarizzazione della posizione contributiva.
La Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza n. 686/2016 ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Le Sezioni Unite con sentenza n. 1412/2018 hanno cassato la pronuncia declinatoria della giurisdizione, in quanto con la domanda, che aveva ad oggetto l’espletamento di mansioni superiori rispetto a quelle di inquadramento, l’originario ricorrente aveva fatto valere un suo diritto soggettivo scaturente dal rapporto.
Riassunto il giudizio, la C orte di Appello di L’Aquila ha accolto l’appello del Comune di Sulmona dopo aver rilevato che quest’ultimo aveva approvato il nuovo regolamento degli uffici e dei servizi e istituito l’ufficio legale al quale aveva preposto un dipendente di 8ª qualifica funzionale, oggi profilo professionale di avvocato – area D.
Il COGNOME aveva infatti superato il concorso bandito per la copertura del posto di funzionario avvocato di categoria D3.
Ha aggiunto la Corte che era destituita di fondamento la pretesa del ricorrente di essere inquadrato come dirigente per il semplice fatto di avere svolto mansioni di avvocato e di avere difeso l’ente anche in giudizi complessi , alla luce della giurisprudenza di legittimità e di quella amministrativa secondo cui è escluso l’asserito automatismo tra lo svolgimento dell’attività di avvocato e l’inquadramento dirigenziale , che presuppone una scelta discrezionale della pubblica amministrazione quanto alla istituzione della posizione dirigenziale.
Ha richiamato i principi enunciati dalla sentenza n. 5869/2005 di questa Corte , secondo cui nell’organizzazione del personale dell’Amministrazione comunale la differenza essenziale tra le mansioni di avvocato dirigente e quelle di avvocato funzionario è strettamente ed indefettibilmente legata al fatto che il primo ha superato un concorso per avvocato dirigente ed il secondo un concorso per procuratore legale funzionario.
Ha escluso che all’AVV_NOTAIO potesse essere riconosciuta la qualifica dirigenziale, in quanto non aveva superato il relativo concorso pubblico, ma era risultato vincitore per scorrimento del concorso per la copertura di un posto da Funzionario Avvocato di categoria D3, corrispondente alla qualifica individuata nel regolamento comunale per la posizione di preposto del Servizio Legale (ha ritenuto non equiparabili i due concorsi); ha inoltre escluso che a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 25/1997 e della legge n. 247/2012 l’inquadramento dirigenziale risulti automatico.
Considerato che l’Amministrazione comunale, nell’esercizio della propria autonomia organizzativa e normativa ed in attuazione dei poteri di graduazione di cui all’art.2 del d. lgs. n. 165/2001 aveva istituito il posto di funzionario addetto al servizio legale in posizione non apicale con atti amministrativi mai impugnati dal COGNOME e che le mansioni svolte dal COGNOME erano del tutto conformi a tale inquadramento sub dirigenziale, previsto dal CCNL del 31.3.1999 di revisione del sistema di classificazione del personale (che inserisce espressamente la figura professionale di avvocato nell’esemplificazione dei profili della categoria D), ha ritenuto infondata anche la pretesa del COGNOME relativa alle differenze retributive.
Per la cassazione di tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria.
Il Comune RAGIONE_SOCIALE Sulmona ha proposto controricorso.
DIRITTO
1.Con il primo motivo, il ricorso denuncia nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione, ai sensi dell’art. 360, n. 4 cod. proc. civ., per avere disatteso e distorto il principio di diritto ed i presupposti delineati dalla sentenza n. 1412/2018 resa dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, nonché violazione dell’art. 384 cod. proc. civ.
Sostiene il ricorrente che la sentenza rescindente ha considerato acquisite e non più revocabili in dubbio le circostanze allegate nel ricorso di primo grado (il patrocinio legale del Comune in ogni stato e grado del giudizio da parte del COGNOME, l’interpello sistematico del COGNOME per problematiche giuridiche tra le più eterogenee, il pieno coinvolgimento del COGNOME nelle determinazioni di maggior rilievo e l’elevatissimo grado di responsabilità gravante sul medesimo, l’attività legale svolta in controversie innanzi al TAR e al Consiglio di Stato di notevolissimo valore economico).
Deduce che il giudice di rinvio non poteva disattendere il principio di diritto e, pertanto, avrebbe dovuto limitarsi a dare atto della stretta correlazione tra tali mansioni e l’accertamento della natura dirigenziale del rapporto, come espressamente stabilito dalle Sezioni Unite; argomenta che la statuizione sulle spese di lite presuppone la soccombenza del Comune.
Lamenta che la sentenza impugnata, avendo accolto l’appello proposto dal Comune sulla base di presupposti in fatto totalmente diversi da quelli indicati dalle Sezioni Unite, ha stravolto la suddetta pronuncia.
Con il secondo motivo, il ricorso denuncia violazione degli artt. 28, 40, 52, 63 e 69 del d. lgs. n. 165/2001, nonché dell’art. 5 della legge n. 2248/1865 allegato E) e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (360 n.5 cod. proc. civ.)
Assume che, secondo le Sezioni Unite, la qualificazione del livello di dirigenza deve avvenire sulla base delle attività effettivamente svolte (nel caso di specie provate ed incontestate), e lamenta che la sentenza impugnata ha totalmente omesso la disamina di tali attività.
Aggiunge che il concorso pubblico indetto per il reclutamento della figura professionale di avvocato sarebbe sufficiente all’inquadramento nel ruolo dirigenziale, in ragione della assoluta identità dei requisiti di accesso.
Richiama, poi, le disposizioni della legge professionale e deduce che sarebbe inconferente il principio di diritto enunciato da Cass. n. 5869/2005, in quanto affermato in relazione ad un diverso contesto normativo.
Contesta, infine, il richiamo alla giurisprudenza amministrativa e aggiunge che l’asserita discrezionalità dell’ente deve essere comunque motivata.
In ordine alla mancata impugnazione degli atti amministrativi presupposti, evidenzia che tali provvedimenti erano di anni antecedenti all’assunzione dell’AVV_NOTAIO, che rispetto ai medesimi era scaduto il termine per impugnare, che la sentenza rescindente non contiene alcun riferimento ad una ‘pregiudiziale amministrativa’, e che il giudice del lavoro ha la facoltà di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi.
Richiama la sentenza di primo grado, evidenziando che i relativi accertamenti in fatto non sono mai stati messi in discussione dall’ente.
Con il terzo motivo, il ricorso denuncia violazione degli artt. 91, 336 e 384 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.; nullità della sentenza per ultrapetizione.
Sostiene che compensando le spese delle precedenti fasi la Corte territoriale ha disatteso la sentenza rescindente, che ha demandato al giudice del rinvio di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità in favore dell’AVV_NOTAIO.
Addebita alla Corte territoriale di avere violato il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, che avevano ritenuto la totale soccombenza del Comune.
Il primo motivo è infondato.
L a sentenza rescindente non si è affatto pronunciata sulla fondatezza della domanda nel merito, ma ha statuito sulla sola giurisdizione, determinata in relazione al c.d. petitum sostanziale della domanda fatta valere in giudizio; ha in particolare interpretato l’atto introduttivo del giudizio di primo grado non ‘sulla base della mera lettura delle conclusioni del ricorso’, ma ‘alla stregua di una lettura organica delle stesse’, alla luce delle prospettazioni fattuali e giuridiche dell’atto introduttivo.
In particolare la sentenza rescindente, che non contiene alcun accertamento in fatto, ha precisato che i riferimenti all’ ‘elevatissimo grado di responsabilità’ del COGNOME e all’attività legale svolta dal medesimo hanno costituito le premesse fattuali in base alle quali sono state proposte le domande.
Ebbene, ai sensi dell’art. 386 cod. proc. civ., la giurisdizione va determinata dall’oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto (che involge il merito della controversia) e sulla proponibilità della domanda.
La giurisdizione va infatti determinata sulla base del petitum sostanziale , ossia dello specifico oggetto e della reale natura della controversia, da identificarsi in funzione della causa petendi dedotta, in relazione alla protezione accordata dall’ordinamento alla posizione medesima (Cass. SU n. 14/2007; Cass. n. 14171/2004).
Il secondo motivo è infondato, in conformità ai principi espressi da questa Corte (Cass. n. 12106/2022), da intendersi qui richiamati ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.
In disparte i profili di inammissibilità della censura nella parte in cui denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, in quanto riguarda questioni giuridiche e non fatti storici e sollecita un giudizio di merito attraverso la rilettura delle risultanze istruttorie, il motivo i nfondatamente assume che in relazione all’Ufficio legale spetterebbe al giudice valutare la natura dell’attività espletata dall’avvocato e ricondur la alla posizione dirigenziale in base alla complessità.
Questa Corte da tempo ha affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che un ufficio può essere ritenuto di livello dirigenziale solo in presenza di
un’espressa qualificazione in tal senso contenuta negli atti di macro organizzazione adottati dall’amministrazione pubblica, perché in tutte le versioni succedutesi nel tempo, il d.lgs. n. 29/1993, prima, e successivamente il d.lgs. n. 165/2001 hanno riservato alle amministrazioni il potere di definire le linee fondamentali degli uffici, di individuare quelli di maggiore rilevanza ed i modi di conferimento della titolarità degli stessi, di determinare la dotazione organica.
Si è pertanto chiarito , sia con riferimento all’organizzazione statale che in relazione agli enti pubblici non economici, anche territoriali, che ove manchi l’istituzione dell’ufficio dirigenziale il giudice non può sostituirsi all’amministrazione e valutare la sostanza delle attribuzioni, per qualificare di natura dirigenziale l’attività svolta dal soggetto preposto alla direzione dell’ufficio che viene in rilievo (cfr. Cass. n. 33401/2019; Cass. 23874/2018; Cass. 350/2018; Cass. n. 10320/ 2017 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione).
Il CCNL del 31.3.1999 (Allegato A) nella categoria D prevede espressamente il profilo di avvocato e indica la corrispondenza tra il profilo di avvocato VIII qualifica funzionale e la categoria D3, sicché l’avvocatura comunale può essere formata da dirigenti, da funzionari o da entrambi a seconda delle scelte discrezionali che l’ente compie .
6. Anche il terzo motivo è infondato.
La sentenza rescindente si è infatti limitata a statuire sulla giurisdizione senza pronunciarsi nel merito, e senza statuire sulla soccombenza.
Ciò premesso, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che in tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte (Cass. S.U. n. 32906/2022).
Sulla base di tale principio la Corte territoriale avrebbe dunque potuto condannare l’AVV_NOTAIO, totalmente soccombente, al pagamento delle spese processuali dei gradi precedenti gradi di merito e del giudizio di legittimità.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per il ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 5.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 10 maggio 2024.
La Presidente NOME COGNOME