Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27225 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 27225 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26874/2020 r.g., proposto
da
COGNOME NOME , elett. dom.to in INDIRIZZO, presso AVV_NOTAIO , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO.
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore .
intimata
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona n. 389/2019 pubblicata in data 13/02/2020, n.r.g. 91/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 09/07/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME era stato amministratore delegato di RAGIONE_SOCIALE dall’01/04/2008.
Assumeva che da tale data e fino al 28/02/2013 con la società era intercorso altresì un rapporto di lavoro subordinato con funzioni dirigenziali, poi formalizzato in data 01/03/2013 sebbene con riconoscimento dell’inquadramento come quadro.
OGGETTO:
dirigente
–
esatto
inquadramento
–
istanze
istruttorie
–
limiti
al
sindacato di legittimità
Deduceva pertanto di aver diritto alle retribuzioni spettantegli sin dall’01/04/2008 come dirigente.
Adìva il Tribunale di Ancona per ottenere l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato dirigenziale fin dall’01/04/2008 e la condanna della società datrice di lavoro al pagamento delle conseguenti differenze retributive.
2.- Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale di Ancona riconosceva soltanto il diritto del ricorrente all’inquadramento come dirigente per il periodo a decorre dall’01/03/2013 e per l’effetto condannava la società a pagare al COGNOME le differenze retributive quantificate in euro 13.828,44; rigettava, invece, la domanda di accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato per il periodo precedente, ritenendo che le prove richieste -ma non ammesse perché ritenute generiche ed irrilevanti -non fossero idonee a dimostrare che l’incarico di amministratore delegato della società fosse stato svolto con un parallelo rapporto di lavoro subordinato.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello rigettava l’appello principale del COGNOME e, in parziale accoglimento di quello incidentale proposto dalla società, riduceva la condanna alla minor somma di euro 1.618,61 a titolo di differenze retributive.
A sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
come ritenuto e motivato dal Tribunale, i capitoli di prova richiesti dal COGNOME risultano generici ed irrilevanti ed inoltre contengono inammissibili elementi valutativi;
in particolare la maggior parte delle circostanze di fatto riportate nel capitolato riguarda attività che il COGNOME avrebbe potuto svolgere autonomamente nella sua qualità di socio ed amministratore della società; in ordine al capitolo 7) circa l’assoggettamento al potere direttivo, di supremazia gerarchica, disciplinare e di controllo dell’organo amministrativo sociale, trattasi di circostanza che riporta un inammissibile e generico giudizio rimesso al testimone;
l’istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. va rigettata, sia in quanto genericamente riferita ai contratti di assunzione stipulati dalla società con i propri dipendenti nel periodo 2009/2010, senza precisarne la
rilevanza, sia perché comunque privi dell’idoneità probatoria rispetto al rapporto che ha legato il ricorrente alla società che si pretendono tipici della subordinazione;
è invece fondato l’appello incidentale;
il Tribunale ha riconosciuto la qualifica dirigenziale sulla base della procura conferitagli dall’amministratore della società in data 01/03/2013 ed ha ritenuto che tale incarico comportasse lo svolgimento di compiti propri del dirigente come previsti dall’art. 1 del ccnl applicato;
in senso diverso va evidenziato che la procura è stata esplicitamente conferita ai sensi dell’art. 16 d.lgs. n. 81/2008, ossia per la delega di funzioni del datore di lavoro in tema di gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro;
trattasi di poteri che il datore di lavoro può delegare ad un proprio dipendente che abbia i requisiti di professionalità ed esperienza per l’adozione delle misure di sicurezza a tutela dei lavoratori, ma dal tenore di detta procura non si ricava il conferimento di ulteriori poteri tipici della funzione dirigenziale, nulla rinvenendosi in tema di ‘autonomia e potere decisionale’, con conferimento di ‘funzioni al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa’ come prevede il CCNL per l’inquadramento come dirigente;
l’autonomia del COGNOME era limitata solo all’ambito di tutela dell’incolumità dei lavoratori, come si ricava anche da alcune mails interne che lo stesso aveva inviato ai propri superiori in relazione ad alcuni affari aziendali, nelle quali egli esprime adesione subalterna a decisioni prese dai sovraordinati oppure la necessità di ottenere l’approvazione per l’esecuzione delle operazioni affidategli;
ne consegue che pure per il periodo lavorativo decorrente da marzo 2013 difettano i requisiti tipici del dirigente e le mansioni come documentate rientrano nella categoria di quadro descritta dal CCNL del settore RAGIONE_SOCIALE applicato ratione temporis ;
ciononostante, non è contestato il fatto che, nel calcolo delle somme dovute al COGNOME, a suo credito sussista l’importo di euro
1.618,61 per differenze retributive come quadro, come specificato nel prospetto allegato al ricorso.
4.- Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
6.- Il ricorrente ha depositato memoria.
7.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa, errata applicazione’ degli artt. 210, 115, 116, 134, 420, 421 c.p.c. e 111 Cost. per avere la Corte territoriale motivato in modo errato o insufficiente il rigetto delle istanze istruttorie ed omesso di considerare alcuni fatti per i quali non vi era stata contestazione da parte della società.
Il motivo è inammissibile.
Con riguardo all’istanza di ordine di esibizione, questa Corte ha già affermato che, in tema di poteri istruttori del giudice, l’emanazione di ordine di esibizione è discrezionale e la valutazione di indispensabilità non deve essere neppure esplicitata. Ne consegue che il relativo esercizio è svincolato da ogni onere di motivazione e il provvedimento di rigetto dell’istanza non è sindacabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l’iniziativa della parte istante non abbia finalità esplorativa (Cass. ord. n. 27412/2021; Cass. n. 24188/2013). Peraltro, nel caso in esame il rigetto dell’istanza di esibizione è stata ampiamente motivata dai giudici d’appello, con conseguente ulteriore profilo di insindacabilità in sede di legittimità.
Quanto alle ulteriori istanze istruttorie (prova testimoniale ed interrogatorio formale) va ribadito che in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad
esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia possa essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni. Né tale regola subisce eccezioni nel rito del lavoro, nel quale il giudice, all’udienza fissata ex art. 420 c.p.c., può esercitare il suo potere valutativo, in ordine alla rilevanza o meno delle prove, invitando le parti alla discussione, così ritenendo la causa “matura per la decisione” ai sensi del quarto comma del richiamato articolo e, quindi, rigettando anche implicitamente le istanze istruttorie formulate dalle parti (Cass. n. 16499/2009; Cass. n. 13485/2014).
Quanto all’istanza di nomina di un consulente tecnico d’ufficio di tipo contabile, questa Corte ha già avuto modo di affermare che il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è censurabile per cassazione unicamente ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., soggiacendo peraltro la relativa impugnazione alla preclusione derivante dalla regola della c.d. doppia conforme di cui all’art. 348 ter, co. 5, c.p.c. ed ora art. 360, penult. co., c.p.c. (Cass. n. 25281/2023; Cass. n. 7472/2017; Cass. sez. un. n. 8053/2014).
Il motivo è infine inammissibile con riguardo al denunziato vizio ex art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c.
Il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione del preciso obbligo di legge costituzionalmente imposto (art. 116 Cost.) e cioè dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c. omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata . Quest’obbligo del
giudice «di specificare le ragioni del suo convincimento», quale «elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale» è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. un. n. 1093/1947).
Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (ipotesi di scuola) o quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e che presentano una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (Cass. sez. un. n. 8053/2014), ma pure quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (Cass. n. 4448/ 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi» (Cass. sez. un. n. 22232/2016; Cass. ord. n. 14297/2017).
La riformulazione dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012, conv. in legge n. 134/2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass. sez. un. n. 8053/2014; Cass. n.13977/2019).
Nessuna di tali anomalie è riscontrabile nella sentenza impugnata.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n n. 3) e 5), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa, errata applicazione delle norme e dei principi contenuto nel CCNL applicato in tema di mansioni e livello di inquadramento’, nonché ‘violazione e/o falsa, errata applicazione delle norme di cui al d.lgs. n 8 1/2018’.
Il motivo è inammissibile in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. per le medesime ragioni sopra esposte con riguardo al primo motivo.
E’ poi inammissibile in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. per difetto di specificità. Questa Corte ha più volte affermato che quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, co.1, n. 3), c.p.c., deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (Cass. ord. n. 17570/2020; Cass. ord. n. 635/2015).
Nel caso di specie il ricorrente non adempiuto al primo degli oneri sopra visti, in quanto ha invocato genericamente ‘norme e principi’ contenuti nel CCNL di riferimento, senza la loro esatta individuazione.
Nel successivo sviluppo del motivo la difesa del COGNOME si è dilungata ad esaminare i contenuti della procura a lui conferiti, sollecitando in tal modo a questa Corte un apprezzamento di fatto interdetto in sede di legittimità e, quindi, inammissibile.
3.- Nulla va disposto sulle spese, in quanto la società è rimasta intimata.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in