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Inquadramento dirigente: la prova del lavoro subordinato

Un ex amministratore delegato ha richiesto il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato con inquadramento dirigente. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 27225/2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la valutazione delle prove spetta al giudice di merito e che il ricorso per legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. La decisione sottolinea l’onere della prova a carico di chi afferma la coesistenza dei due ruoli e la discrezionalità del giudice nell’ammettere le istanze istruttorie.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Inquadramento dirigente: quando l’amministratore è anche lavoratore subordinato?

La distinzione tra il ruolo di amministratore di una società e quello di lavoratore subordinato è una delle questioni più complesse nel diritto del lavoro. Un amministratore può essere contemporaneamente un dipendente, anche con inquadramento dirigente? La risposta è affermativa, ma provarlo in giudizio è un percorso a ostacoli. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui rigorosi limiti probatori e sul ruolo insindacabile del giudice di merito nel valutare i fatti.

I fatti del caso

Un ex amministratore delegato di una società metalmeccanica citava in giudizio l’azienda sostenendo che, parallelamente alla sua carica sociale, avesse sempre svolto un’attività di lavoro subordinato con mansioni dirigenziali. Chiedeva quindi il riconoscimento del corretto inquadramento dirigente e il pagamento delle relative differenze retributive per il periodo dal 2008 al 2013.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto solo parzialmente la sua domanda, riconoscendo la qualifica dirigenziale solo per il periodo successivo al marzo 2013, quando il rapporto era stato formalizzato (sebbene con un inquadramento inferiore, come ‘quadro’). Per il periodo precedente, il giudice aveva ritenuto le prove richieste dal lavoratore (principalmente testimonianze) troppo generiche e irrilevanti per dimostrare la subordinazione.

La Corte d’Appello, in riforma della prima sentenza, ha invece respinto completamente la domanda per il riconoscimento della qualifica dirigenziale, riducendo l’importo dovuto al lavoratore a mere differenze retributive per l’inquadramento come ‘quadro’. La Corte territoriale ha confermato la genericità dei capitoli di prova proposti, specificando che molte delle attività descritte potevano essere svolte autonomamente dall’interessato nella sua qualità di socio e amministratore.

La decisione della Corte di Cassazione: la prova per l’inquadramento dirigente

Investita del caso, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del lavoratore inammissibile, confermando la decisione d’appello e chiarendo importanti principi processuali.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha basato la sua decisione su due pilastri fondamentali del nostro sistema processuale: la discrezionalità del giudice di merito nella valutazione delle prove e i limiti invalicabili del giudizio di legittimità.

In primo luogo, la Corte ha ribadito che l’ammissione delle istanze istruttorie, come l’ordine di esibizione di documenti o l’audizione di testimoni, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Il rigetto di tali istanze non è sindacabile in Cassazione se è supportato da una motivazione logica e non meramente apparente. Nel caso specifico, i giudici d’appello avevano ampiamente spiegato perché le prove richieste fossero inidonee: erano generiche, contenevano elementi valutativi inammissibili o riguardavano circostanze non decisive per provare il vincolo di subordinazione.

In secondo luogo, e con ancora maggiore enfasi, la Cassazione ha ricordato che il suo ruolo non è quello di un “terzo grado di merito”. Non può riesaminare i fatti e decidere se il giudice d’appello abbia “valutato bene” o “valutato male” le prove. Il sindacato di legittimità si ferma alla verifica di eventuali violazioni di legge e alla presenza di una motivazione coerente e comprensibile. Il ricorrente, invece, chiedeva di fatto una nuova valutazione del materiale probatorio, un’operazione preclusa in sede di legittimità.

Infine, il ricorso è stato giudicato inammissibile anche per difetto di specificità. Il lavoratore aveva lamentato la violazione di “norme e principi” contenuti nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) senza però indicare con precisione quali articoli fossero stati violati e in che modo la decisione impugnata si ponesse in contrasto con essi.

Le conclusioni

L’ordinanza in commento offre un’importante lezione pratica: chi intende far valere in giudizio la coesistenza di un rapporto di lavoro subordinato con una carica sociale deve dotarsi di prove solide, specifiche e inequivocabili del vincolo di subordinazione (l’assoggettamento al potere direttivo, disciplinare e di controllo di un altro organo sociale). Non è sufficiente descrivere l’attività svolta, ma occorre dimostrare che essa veniva eseguita sotto le direttive e il controllo altrui. La formulazione delle istanze istruttorie deve essere estremamente precisa e puntuale, poiché il rigetto da parte del giudice di merito, se adeguatamente motivato, è difficilmente superabile con un ricorso in Cassazione. Quest’ultimo, infatti, non rappresenta un’ulteriore opportunità per discutere i fatti, ma solo un rimedio per correggere errori di diritto.

Può un amministratore di società essere contemporaneamente un lavoratore subordinato con qualifica di dirigente?
Sì, le due figure possono coesistere, ma spetta a chi lo afferma dimostrare in modo rigoroso la sussistenza del vincolo di subordinazione, ovvero l’assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare di un altro organo sociale, distinto da quello impersonato dall’amministratore stesso.

Il giudice è obbligato ad ammettere tutte le prove richieste dalle parti in un processo?
No. L’ammissione dei mezzi di prova rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Egli può rigettare le istanze istruttorie che ritiene generiche, irrilevanti, superflue o inammissibili. Tale decisione, se motivata in modo non meramente apparente, non è di norma sindacabile in Cassazione.

Cosa si può contestare con un ricorso in Cassazione riguardo alla valutazione delle prove?
Con il ricorso in Cassazione non si può chiedere un nuovo esame dei fatti o una diversa valutazione delle prove. Si può contestare solo la violazione di norme di diritto (errores in iudicando) o vizi del procedimento (errores in procedendo). Riguardo alla motivazione, si può denunciare solo un’anomalia grave, come la sua totale assenza, la sua natura meramente apparente, o una contraddittorietà insanabile tra affermazioni, che la rendano incomprensibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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