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Inquadramento dipendente pubblico: il caso di mobilità

Una dipendente pubblica, trasferita da un ente locale a un’agenzia statale, ha ottenuto il corretto inquadramento dipendente pubblico nella fascia retributiva superiore. L’Amministrazione ha impugnato la decisione, ma la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per tardività, confermando di fatto il diritto della lavoratrice e il risarcimento per perdita di chance.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Inquadramento dipendente pubblico: cosa succede in caso di mobilità?

L’inquadramento del dipendente pubblico è un tema cruciale che definisce la carriera, la retribuzione e le responsabilità di chi lavora per lo Stato. Ma cosa accade quando un dipendente si trasferisce da un’amministrazione a un’altra, magari da un ente locale a un’agenzia fiscale? Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione, la n. 5735/2024, offre spunti importanti, sebbene la decisione finale si sia basata su un aspetto procedurale: la tardività del ricorso.

I fatti del caso: Dalla mobilità alla richiesta di corretto inquadramento

Una dipendente di un Comune, inquadrata nell’Area D2 del comparto Regioni-Autonomie Locali, decideva di trasferirsi tramite mobilità volontaria a un’Agenzia fiscale. Al momento del passaggio, l’Agenzia la inquadrava nell’Area funzionale C, fascia retributiva C1 (corrispondente alla III Area, posizione F1 del nuovo CCNL), una posizione che la lavoratrice riteneva inferiore a quella di provenienza.

Secondo la dipendente, la sua categoria originaria (D2) avrebbe dovuto essere equiparata alla categoria C1 super, corrispondente alla fascia retributiva F2 del nuovo sistema di classificazione. Pertanto, ha agito in giudizio per ottenere il corretto inquadramento e il risarcimento del danno per la perdita di opportunità di carriera (perdita di chance).

La decisione dei giudici di merito e il corretto inquadramento del dipendente pubblico

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte di Appello hanno dato ragione alla lavoratrice. I giudici hanno stabilito che, in caso di trasferimento, deve essere garantito il mantenimento sia dell’area di inquadramento sia della posizione economica posseduta presso l’amministrazione di provenienza. Per farlo, la Corte territoriale ha utilizzato delle tabelle di equiparazione (previste dal DPCM n. 446/2000) per ‘tradurre’ la vecchia qualifica nel nuovo sistema contrattuale, riconoscendo il diritto della dipendente alla fascia F2. Inoltre, la Corte d’Appello ha aumentato il risarcimento del danno per perdita di chance a 8.750,00 euro.

Il ricorso in Cassazione e l’epilogo processuale

L’Amministrazione, non soddisfatta della decisione, ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione, sostenendo che i giudici avessero errato nell’applicare tabelle di equiparazione astratte senza valutare le mansioni concretamente svolte dalla lavoratrice. Tuttavia, il ricorso non è mai arrivato a una discussione nel merito.

Le motivazioni: perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per un motivo puramente procedurale: la tardività. La sentenza d’appello era stata notificata il 6 ottobre 2017. Secondo il codice di procedura civile, il termine per impugnare è di sessanta giorni. L’Amministrazione ha notificato il proprio ricorso solo il 5 febbraio 2018, ben oltre il termine scaduto.

È fondamentale sottolineare che, nelle cause di lavoro, non si applica la sospensione feriale dei termini processuali. Questo significa che il tempo per impugnare continua a decorrere anche durante il mese di agosto. L’errore procedurale dell’Amministrazione ha quindi chiuso definitivamente la questione, impedendo alla Suprema Corte di pronunciarsi sul merito della controversia, ovvero sulla corretta applicazione delle tabelle di equiparazione.

Le conclusioni: cosa insegna questa ordinanza

L’ordinanza, pur risolvendo il caso su una base procedurale, lascia intatti e consolidati i principi affermati dai giudici di merito. La lezione principale è duplice. Da un lato, emerge l’importanza fondamentale del rispetto dei termini processuali, la cui violazione può precludere la tutela di un diritto, anche se fondato. Dall’altro, viene indirettamente confermato un principio di garanzia per i lavoratori pubblici: in caso di mobilità, l’inquadramento del dipendente pubblico deve salvaguardare la professionalità e la retribuzione maturate, utilizzando, se necessario, strumenti come le tabelle di equiparazione per garantire una transizione equa tra diversi comparti contrattuali.

Quando un dipendente pubblico si trasferisce, ha diritto a mantenere la stessa posizione economica?
Sì. Sulla base delle decisioni dei giudici di merito, divenute definitive, il trasferimento di un dipendente deve garantire il mantenimento sia dell’area di inquadramento sia della posizione economica posseduta presso l’amministrazione di provenienza, in applicazione dell’art. 30, comma 2 bis, del d.lgs. n. 165/2001.

Perché il ricorso dell’Amministrazione è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché è stato presentato oltre il termine perentorio di sessanta giorni dalla notifica della sentenza di appello. Nelle cause di lavoro non si applica la sospensione feriale dei termini, rendendo l’errore fatale.

Cosa sono le tabelle di equiparazione e che ruolo hanno avuto nel caso?
Le tabelle di equiparazione sono strumenti normativi, come il DPCM n. 446/2000 citato nel caso, utilizzati per stabilire una corrispondenza tra le categorie e le qualifiche di diversi contratti collettivi del pubblico impiego. Nel caso specifico, sono state usate dai giudici di merito per determinare la corretta fascia retributiva della dipendente nella nuova amministrazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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