Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20365 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20365 Anno 2025
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
Con sentenza n. 2864/2008, il Tribunale di Messina ha rigettato le domande proposte dagli odierni ricorrenti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME (dipendenti della Provincia Regionale di Messina con il profilo professionale di ‘ OperatoreEsecutore di sorveglianza dell’area Tecnico -manutentiva’), volte ad ottenere il riconoscimento del loro diritto, sin dall’assunzione, all’inquadramento giuridico ed economico nell’Area di Vigilanza, ai sensi della tabella A allegata alla legge regionale n. 14/1988, nonché la condanna dell’Amministrazione al pagamento della maggiore retribuzione e del trattamento previdenziale derivante dal superiore inquadramento.
1.1. I lavoratori avevano adito il Tribunale esponendo di avere superato il concorso bandito dalla Provincia per posti di 4 qualifica funzionale, e di essere stati assunti.
Avevano tuttavia dedotto l’erroneità del bando, atteso che la legge della Regione siciliana n. 98 del 1981, come modificata dalla legge della Regione siciliana n. 14 del 1988, prevedeva l’attribuzione della 5 qualifica funzionale e chiedevano quindi l’attribuzione di detta qualifica con le conseguenziali differenze retributive.
La Corte di Appello di Messina con la sentenza n. 333 del 2013 ha riformato la sentenza di primo grado ed ha dichiarato il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. in relazione alla domanda azionata dai lavoratori.
Con la sentenza n. 2605/2018, questa Corte ha accolto il primo motivo di ricorso con cui era stata dedotta la violazione del giudicato implicito sulla giurisdizione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 1, cod. proc. civ. e ha ritenuto assorbito il secondo motivo di ricorso.
Con la sentenza n. 221/2021, emessa in sede rescissoria, la Corte di Appello di Messina ha rigettato l’appello proposto dai lavoratori avverso la sentenza del Tribunale.
La Corte territoriale ha rilevato che non era stato impugnato l’avviso di pubblico concorso in forza del quale era stato disposta l’assunzione e l’inquadramento ed ha precisato che, contrariamente a quanto prospettato nel ricorso, i ricorrenti non era no stati assunti per essere inseriti nell’Area di Vigilanza, con mansioni corrispondenti alla quinta qualifica funzionale; ha invece evidenziato che il pubblico concorso era stato indetto ‘per titoli a n. 3 posti di Operatore-Esecutore di Sorveglianza in p COGNOME qualifica 4′.
Ha pertanto ritenuto che l’originaria previsione del bando, non impugnato, ostasse all’inquadramento degli originari ricorrenti nell’Area di Vigilanza; ha inoltre evidenziato che nel caso di specie non si era verificato alcun mutamento del quadro normativo e contrattuale tra il momento della pubblicazione dell’avviso del pubblico concorso a 3 posti di operatore -esecutore di sorveglianza, qualifica 4, e quello della assunzione, previa sottoscrizione dei relativi contratti, e che il bando di concorso per l’assunzione di lavoratori, contenente gli elementi del contratto alla cui conclusione è diretto, costituisce un’offerta al pubblico, revocabile solo fino all’intervenuta accettazione da parte degli interessati.
Richiamati i contratti individuali sottoscritti dai lavoratori, con cui erano stati nominati vincitori dell’avviso di pubblico concorso con il profilo professionale di ‘Operatore Esecutore di Sorveglianza IV qualifica funzionale’, ha osservato che il diritto soggettivo del vincitore del concorso si consolida solo con riferimento alle qualifiche previste dal bando e non rispetto a quelle che il bando avrebbe dovuto prevedere.
Ha ritenuto non utilmente invocabili i principi espressi da Cass. n. 9662/2001, riferita alla diversa questione dell’applicazione del termine di prescrizione decennale ex art. 2946 cod. civ., rispetto a domanda di superiore inquadramento nel corso della prestazione, mentre nel caso di specie veniva richiesto il riconoscimento del diritto dei lavoratori all’inquadramento giuridico
funzionale nell’Area di Vigilanza in ragione del contrasto del bando, non tempestivamente impugnato, con l’art. 41 della legge regionale n. 41/1988.
Ha in particolare rilevato che l’oggetto del giudizio non è costituito dallo svolgimento di mansioni superiori, ma dal riconoscimento dell’erroneità e dell’illegittimità dell’inquadramento iniziale; ha inoltre evidenziato che era stato emanato un secondo bando per la 5 qualifica funzionale e che gli originari ricorrenti avevano presentato domanda solo per il primo bando, relativo alla 4 qualifica.
Il giudice di appello ha poi condiviso la statuizione del Tribunale, secondo cui non era stata articolata alcuna prova riguardo allo svolgimento da parte degli originari ricorrenti, a decorrere dal 2004, di attività e prestazioni in forza delle quali l’Amministrazione era tenuta a collocarli nell’Area di Vigilanza con efficacia ex tunc ; ha pertanto ritenuto che fosse inidonea a sostenere le ragioni dei lavoratori la prospettazione con cui i medesimi avevano dedotto in corso di giudizio che la loro azione era volta a contestare il provvedimento con cui la Provincia aveva disatteso la loro istanza di riesame dell’inquadramento ed aveva ribadito la legittimità del suo operato.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, nei confronti della Citta Metropolitana di MMessina, sullabase di tre motivi, illustrati da memoria.
La Città Metropolitana di Messina (già Provincia Regionale di Messina) ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
7.NOME COGNOME è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare, deve escludersi che la partecipazione all’odierno collegio giudicante di un magistrato che ha composto il collegio giudicante che ha pronunciato la sentenza n. 2605/2018 con cui è stata cassata con rinvio la prima sentenza d’appello, costituisca motivo di astensione.
Infatti questa Corte ha già ripetutamente affermato che il collegio giudicante sul ricorso per cassazione proposto avverso sentenza pronunciata dal giudice di rinvio può essere composto anche da magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento,
senza che sussista alcun obbligo di astensione a loro carico ex art. 51, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto tale partecipazione non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice ( ex multis , Sez. 3, Sentenza n. 31345 del 24/10/2022; Sez. 3, Ordinanza n. 1542 del 25/01/2021; Sez. 3, Ordinanza n. 14655 del 18/07/2016; e soprattutto Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013).
2. Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 39 della legge regionale Sicilia n. 98/1981 (come sostituito dall’art. 40 della legge regionale Sicilia n. 14/1988), dell’art. 39 bis della legge regionale Sicilia n. 98/1981 (introdotto dall’art. 41 della legge re gionale Sicilia n. 14/1988), dell’art. 3 della legge regionale Sicilia n. 24/1972, della legge n. 157/1992, nonché delle leggi regionali nn. 33/1987 e 15/1988, della Circolare dell’Assessorato regionale Agric oltura e Foreste n. 157 del 1.2.1999, della legge n. 65/1986, degli artt. 57 e 221, cod. proc. pen., nonché della Tabella allegata alla legge regionale Sicilia n. 14/1988, della Tabella allegata al D.P.R. n. 333/1990 e dei CCNL ratione temporis applicabili alla fattispecie in esame, ed in particolare del CCNL 16.7.1995 con accordo integrativo del 13.5.1996 e quello del 31.3.1999, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Sostiene parte ricorrente che l’allegazione dei fatti come da ricorso introduttivo del giudizio, note autorizzate del 21.10.2005 (in primo grado) e note autorizzate dell’11.02.2020 (in grado di appello), con la relativa produzione documentale (verbali di contestazione, di notifica e di sequestro e quant’altro sopra indicato) comprovano le mansioni effettivamente svolte dai ricorrenti.
Evidenzia che tali compiti rientrano tra quelli tipici ed esclusivi assegnati al personale afferente all’Area di vigilanza e non al personale che svolge compiti di natura ‘tecnico -manutentiva’.
Richiama i documenti prodotti in corso di causa (tra cui i verbali di contestazione, di notifica e di sequestro e i contratti individuali di lavoro), evidenziando che gli originari ricorrenti avevano svolto attività di prevenzione, controllo e repressione a difesa del patrimonio floro-faunistico ricadente all’interno del perimetro della riserva naturale ‘Le montagne dei Porri e delle Felci’ e che risultava provato l’espletamento, da parte dei medesimi, di funzioni
di polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 3 legge regionale n. 24/1972, dell’art. 40 della legge regionale n. 14/1988, nonché degli artt. 57 e 221 cod. proc. pen. e che le mansioni attribuite ai ricorrenti erano quelle di cui alla Tabella A allegata alla legge regionale Sicilia n. 14/1988.
Aggiunge che i lavoratori avevano rivestito la qualifica di agenti di pubblica sicurezza ai sensi della legge n. 65/1986, esercitando anche funzioni di polizia giudiziaria; evidenzia che i contratti individuali fanno riferimento alla ‘Tabella A’ per q uanto attiene alle mansioni attribuite ai ricorrenti
3. Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione dell’art. 113 Cost. (principio di effettività della tutela giurisdizionale); violazione e falsa applicazione dell’art. 39 della legge regionale Sicilia n. 98/1981 (come sostituito dall’art. 40 della legge regionale Sicilia n. 14/1988), dell’art. 39 -bis della legge regionale Sicilia n. 98/1981 (introdotto dall’art. 41 della legge regionale Sicilia n. 14/1988), dell’art. 3 della legge regionale Sicilia n. 24/1972, della legge n. 157/1992, nonché delle leggi regionali nn. 33/1987 e 15/1988, della Circolare dell’Assessorato regionale Agricoltura e Foreste n. 157 del 1.2.1999, della legge n. 65/1986, degli artt. 57 e 221 cod. proc. pen., nonché della Tabella allegata alla legge regionale Sicilia n. 14/1988, della Tabella allegata al D.P.R. n. 333/1990 e dei CCNL ratione temporis applicabili alla fattispecie in esame, ed in particolare del CCNL 16.7.1995 con accordo integrativo del 13.5.1996 e quello del 31.3.1999, in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4 cod. proc. civ.
Deduce che il provvedimento amministrativo di rigetto dell’istanza di riesame dell’originario inquadramento non costituisce un atto meramente confermativo ed è suscettibile di autonoma impugnazione; addebita pertanto alla Corte territoriale di avere n egato l’effettiva tutela giurisdizionale del diritto innanzi al giudice del lavoro, avente giurisdizione esclusiva in materia, così violando il principio dettato dall’art. 113 Cost.
Sostiene che i ricorrenti devono trovare tutela giurisdizionale avverso la mancata revisione dell’inquadramento nel presente giudizio innanzi al G.O. in funzione di giudice del lavoro, avente giurisdizione esclusiva dopo la contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico.
Assume che la Corte territoriale avrebbe dovuto riconoscere agli originari ricorrenti l’inquadramento nell’ex 5 qualifica funzionale a decorrere dalla data di assunzione fino al 31.12.1997, e dal 1° gennaio 1998 avrebbe dovuto riconoscere l’inquadramento nell’ex 6 qualifica funzionale, ora categoria ‘C’, con la dovuta ricostruzione della loro posizione previdenziale dall’assunzione in servizio fino al corretto inquadramento.
I primi due motivi di ricorso, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione logico giuridica, sono inammissibili, in quanto non si confrontano e non censurano adeguatamente il ragionamento decisorio della sentenza di appello impugnata.
4.1. I ricorrenti hanno preso servizio nel 1997, stipulando i relativi contratti con inquadramento nella 4 qualifica funzionale a seguito del superamento all’avviso di pubblico concorso 3 novembre 1990 per titoli a n.3 posti di operatore -esecutore di sorveglianza in prova qualifica 4 – dPR n.268/87 – ai sensi della tabella allegata al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 18 /9/1987 n.392 e alla legge regionale 12/2/88, n. 2, presso la riserva naturale ‘Montagna Felci e Porri’ dell’Isola di Salina.
Gli stessi (v. pag. 5 del ricorso) hanno agito in giudizio, a seguito del diniego di revisione, sin dall’origine, dell’inquadramento nella 4 q.f. da parte dell’Amministrazione, in esito ad istanze proposte nel 2002 e nel 2003, per il riconoscimento dell’ erroneo e illegittimo inquadramento prospettando che «assunti per essere inseriti nell’Area Vigilanza con mansioni corrispondenti alla 5 q.f. (mansioni che di fatto hanno, ripetesi, sempre svolto sin dall’assunzione), sono stati illegittimamente collocati nell’Area Tecnico -manutentiva ed inquadrati nella 4 q.f.».
4.2. La sentenza rescissoria (v. pag. 6 della sentenza di appello) ha affermato che la domanda di dichiarare il diritto dei ricorrenti all’inquadramento giuridico funzionale, sin dall’instaurazione del rapporto di lavoro, nella 5 q.f. non poteva essere ac colta, ostandovi l’originaria previsione del bando, che prevedeva posti di 4 qualifica funzionale, che non era stato impugnato.
La Corte d’Appello ha chiarito che i lavoratori non hanno agito in giudizio per ottenere il corretto inquadramento in conformità al bando, questione, quella del
diritto al corretto inquadramento rispetto alle previsioni del bando, venuta più volte all’esame di questa Corte, che lo ha riconosciuto sia pure con alcuni temperamenti, ma pur avendo partecipato al bando e dopo aver stipulato i contratti di lavoro con l’inquadramento previsto dallo stesso, hanno agito dinanzi al Tribunale, contestando la determinazione dell’Amministrazione in merito ai posti e alle qualifiche messi a concorso con l’avviso di pubblico concorso del 1990 (v. pag.6 del ricorso, laddove gli istanti riportano che in sede di riassunzione in appello evidenziavano che il bando era illegittimo per un vizio di origine, in quanto sarebbe stato in contrasto con la legge regionale n. 14 del 1988, art. 41), assumendone precipuamente la contrarietà del bando alla legge regionale n. 14 del 1988 e alla contrattazione collettiva.
La Corte d’Appello ha affermato che il bando di concorso per l’assunzione di lavoratori, essendo preordinato alla stipulazione di contratti che esigono il consenso delle controparti, costituisce ove contenga gli elementi del contratto alla cui conclusione è diretto un’offerta al pubblico, ai sensi dell’art. 1336, cc, che è revocabile solo ove non sia intervenuta l’accettazione da parte degli interessati.
Nella specie, rileva la Corte d’Appello che i contratti individuali di lavoro depositati, sottoscritti dalle parti, prevedevano la nomina con profilo di operatore esecutore di sorveglianza IV qualifica funzionale (art.1) e che il dipendente avrebbe dovuto svolgere le mansioni proprie della qualifica e del profilo di appartenenza (art.4) e che ‘le parti sottoscrivono il contratto in segno di benestare e incondizionata accettazione’ (art. 10).
Pertanto, ha affermato la Corte d’Appello il diritto soggettivo del vincitore del concorso si consolida rispetto alle qualifiche previste dal bando e non rispetto a quelle che ad avviso dei ricorrenti il bando avrebbe dovuto prevedere, e che le previsioni del bando devono essere integrate e accettate con la stipulazione die contratti. Attesa le previsioni del bando e la conseguente stipula dei contratti, la domanda non poteva essere accolta.
La Corte territoriale ha peraltro evidenziato che era stato emanato anche un secondo bando per la 5 qualifica funzionale e che gli originari ricorrenti avevano presentato domanda solo per il primo bando relativo alla 4 qualifica.
4.3. Tanto premesso, si osserva che le affermazioni della Corte d’Appello trovano riscontro nei principi espressi da questa Corte (Cass. n. 12679 del 2016), secondo cui anche nel pubblico impiego privatizzato, il bando di concorso è da configurare come un’offerta al pubblico, ai sensi dell’art. 1336, cod. civ., la quale è revocabile solo finché non sia intervenuta l’accettazione da parte degli interessati, tanto nell’ipotesi del reclutamento di nuovo personale ( cfr., Cass., S.U., 4 novembre 2009, n. 23327), che per il caso della copertura di posti dì una determinata qualifica dell’organico attraverso il sistema del concorso interno (cfr., Cass. 21 dicembre 2011, n. 28067; Cass. 28 novembre 2011 n. 25045; Cass. 19 giugno 2009, n. 14478); al bando, pertanto, viene riconosciuta duplice natura giuridica: quella di provvedimento amministrativo, nella parte in cui concreta un atto del procedimento di evidenza pubblica di cui regola il successivo svolgimento, e quella di atto negoziale per gli aspetti sostanziali, in ragione della proposta di assunzione condizionata negli effetti all’espletamento della procedura concorsuale ed all’approvazione della graduatoria (vedi Cass. n. 23327 del 2009 cit., in motivazione, nonché Cass. 20 gennaio 2009, n. 1399).
Sul piano generale, è inoltre jus receptum che anche per il pubblico impiego privatizzato l’espletamento della procedura concorsuale, con la compilazione della graduatoria finale e la sua approvazione, fa nascere nel candidato utilmente collocato il diritto soggettivo all’assunzione secondo le modalità fissate dal bando di concorso; tuttavia, ove successivamente all’emanazione del bando e prima della conclusione delle operazioni concorsuali, sia cambiato il quadro normativo nel cui ambito il bando stesso era intervenuto, in base alla consolidata e condivisa giurisprudenza di questa Corte – anche per i vincitori di concorsi e/o selezioni – la procedura concorsuale può essere interrotta o revocata perché il diritto ad assumere l’inquadramento previsto dal bando di concorso, espletato dalla PA per il reclutamento dei propri dipendenti, è subordinato alla permanenza, al momento dell’adozione del provvedimento di nomina, dell’assetto organizzativo degli uffici in forza del quale il bando era stato emesso.
In questi casi resta salvo che la legittimità del comportamento dell’Amministrazione è sindacabile, in concreto, dal giudice ordinario sia sotto il
profilo delle norme regolamentari e delle disposizioni collettive, sia sotto il profilo dell’osservanza del principio generale di correttezza di cui all’art. 1175 cod. civ. (Cass. 25 novembre 1999, n. 13138; Cass. SU 23 settembre 2013, n. 21671), ma l’adempimento dell’obbligo di assunzione nei limiti fissati dal nuovo assetto organizzativo non impone la valutazione alla luce dei principi di buona fede e di correttezza, i quali non operano come fonti autonome ed ulteriori di diritti se non nei limiti della previsione contrattuale (cfr., Cass. SU, 2 ottobre 2012, n. 16728; Cass. 23 gennaio 2014, n. 1403; Cass. 4 luglio 2007, n. 15039; Cass. 21 aprile 2006, n. 9384).
Tali conclusioni sono conformi al principio desumibile dall’art. 97 Cost., per il quale la Pubblica Amministrazione nell’organizzare i suoi uffici è tenuta a conformare la propria azione ai principi di imparzialità, efficienza e legalità. La Corte costituzionale (cfr.: Corte cost. sentenza n. 75 del 2000) ha affermato che dal suddetto art. 97 Cost. deriva direttamente l’esistenza di un potere-dovere della PA di annullare i provvedimenti che abbiano disposto gli inquadramenti illegittimi, “in quanto ogni incremento del personale deve sempre dipendere dalla preventiva e condizionante valutazione delle oggettive necessità di personale”. In sintesi, il diritto del candidato vincitore ad assumere l’inquadramento previsto dal bando di concorso, espletato dalla P.A. in regime di pubblico impiego privatizzato per il reclutamento dei propri dipendenti, è subordinato alla permanenza, al momento dell’adozione del provvedimento di nomina, dell’assetto organizzativo degli uffici in forza del quale il bando era stato emesso. Se tale assetto organizzativo è mutato a causa di uno jus superveniens , l’Amministrazione ha il potere-dovere di bloccare i provvedimenti dai quali possano derivare nuove assunzioni che non corrispondano più alle oggettive necessità di incremento del personale, quali valutate prima dello jus superveniens , in base all’art. 97 Cost. (Cass. SU, 2 ottobre 2012, n. 16728; Corte cost. sentenza n. 75 del 2010).
Nell’impiego pubblico contrattualizzato, poiché alla stipula del contratto si può pervenire solo a seguito del corretto espletamento delle procedure concorsuali previste dall’art. 35, comma 1, lett. a, del d.lgs. n. 165 del 2001, o per le qualifiche meno elevate nel rispetto delle modalità di avviamento di cui al
combinato disposto di cui al richiamato art. 35, comma 1, lett. b, e dell’art. 23 del d.P.R. n. 487 del 1994, la mancanza o la illegittimità delle richiamate procedure si traduce in un vizio genetico del contratto, affetto pertanto da nullità, che l’amministrazione, in quanto tenuta a conformare il proprio operato alle norme inderogabili di legge, può unilateralmente far valere perché anche nei rapporti di diritto privato il contraente può rifiutare l’esecuzione del contratto nei caso in cui il vizio renda il negozio assolutamente improduttivo di effetti giuridici. (Cass. 11951 del 2019).
4.4. I ricorrenti a fronte della statuizione di appello che si incentra sulla natura giuridica del bando e sull’accettazione da parte dei ricorrenti dell’offerta pubblica dell’avviso di concorso per posti di operatore esecutore di sorveglianza 4 q.f., senza aver impugnato lo stesso, e sulla mancanza di mutamenti del quadro normativo e contrattuale tra l’avviso pubblico e la stipula dei contratti, svolgono le censure assumendo il contrasto dell’avviso di concorso pubblico del 3 novembre 1990 con disposizioni normative, regolamentari e collettive, facendo da ciò discendere il diritto al reinquadramento ab origine nella 5 q.f.
Le censure nella rubrica contengono un’ampia indicazione di fonti legali e contrattuali, che tuttavia nell’esposizione delle stesse non sono illustrare in conformità al paradigma della censura ex art. 360, n.3, c.p.c., atteso che, come affermato dalle Sezioni Unite (Cass., S.U., n. 23745 del 2020) quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della violazione o della falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma n. 4, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena d’inammissibilità, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione. L’onere di specificità dei motivi, di cui all’art. 366, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., impone al ricorrente, a pena d’inammissibilità della censura, non solo di indicare
puntualmente le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, ma di esaminarne il contenuto precettivo (sia che si tratti di fonti legali che della contrattazione collettiva la cui violazione è denunciabile ex art. 360, n.3) e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa.
4.5. Nella specie le censure, oltre a non confrontarsi con la ratio decidendi della sentenza di appello e con l’accertamento e l’interpretazione della Corte d’Appello relativi al bando e ai contratti di lavoro sottoscritti dalle parti, non specificano ed illustrano nei termini anzidetti le fonti contrattuali richiamate, ponendole in relazione alle fonti normative e alle statuizioni della sentenza di appello.
Nelle censure non vengono riportati, esaminandoli criticamente, i passaggi del bando di concorso, nonché dei contratti individuali di lavoro in questione, su cui, come si è illustrato, si incentra la motivazione della Corte d’Appello di cui si assume genericamente la contrarietà alla legge regionale n. 98 del 2001 e alla tabella A; tale carenza rileva vieppiù, quale ragione di inammissibilità, laddove si consideri che nel bando stesso si riporta, per la qualifica di operatore esecutore di sorveglianza a concorso, lo svolgimento della prova pratica di idoneità tesa ad accertare ‘la loro professionalità inerente alla qualifica su ‘Manutenzione dei beni mobili ed immobili, apparecchiature, sentieri e segnaletica, conoscenza della flora e della fa una della Sicilia’ ‘, e nella Tabella A della legge n. 98 del 1981, tra i compiti dell” Operatore del servizio di sorveglianza’, si legge in modo non dissonante dal bando: ‘ e ) svolge attività di manutenzione, e ne è responsabile, dei beni mobili ed immobili di proprietà dell’ente, delle attrezzature e delle apparecchiature, nonché dei sentieri e della direzione’.
4.6. Nella prospettazione difensiva dei ricorrenti, inoltre, si ravvisa un ulteriore profilo di inammissibilità, in ragione di uno iato tra la premessa –
prospettata contrarietà dell’avviso di pubblico concorso alla legge e dunque contrasto ab origine della procedura concorsuale con la legge – e gli effetti della censura, ravvisati nel diritto al reinquadramento. Ciò in quanto secondo la giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, il diritto al corretto inquadramento ha come presupposto logico e giuridico il corretto e regolare espletamento della procedura concorsuale. Di talché le doglianze prospettate con i suddetti motivi non incrinano il ragionamento decisorio della Corte d’Appello che invece muo ve dalla regolare costituzione dei rapporti di lavoro con l’inquadramento come previsto dall’avviso di pubblico concorso.
4.7 . Né supera il vaglio di ammissibilità la censura di violazione dell’art. 113 Cost., principio di effettività della tutela giurisdizionale, atteso che i ricorrenti nel devolvere la censura, nella sostanza, si dolgono della mancata adesione della Corte d’Appello alla propria tesi difensiva che è stata invece disattesa con specifiche argomentazioni come sopra indicato.
4.8 . Va altresì osservato che la Corte d’Appello con accertamento di fatto rimesso al giudice di merito ha confermato la sentenza di appello nella parte in cui la stessa ha statuito che non era stata articolata alcuna prova, nella resistenza e contestazione d ell’assunto da parte resistente, circa lo svolgimento sin dalla loro immissione in servizio di attività e prestazioni in forza delle quali l’Ente sarebbe tenuto a collocare i ricorrenti con efficacia ex tunc nell’Area Vigilanza, non potendo rimanere assolto detto onere alla luce delle sole allegazioni documentali.
Rispetto a tale statuizione i ricorrenti richiamano genericamente la documentazione prodotta senza riportarne il contenuto a tali fini significativo, fermo restando che rimangono estranee al vizio previsto dall’art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., le censure, che nella sostanza, come nella specie, sono volte a criticare il ‘convincimento’ che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2°, cod. proc. civ., in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova.
Com’è noto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della
decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito, dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (cfr., Cass. n. 11176 del 2017), come nel caso in esame.
La valutazione delle prove raccolte anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (cfr., Cass. n. 1234 del 2019, n. 20553 del 2021).
Con il terzo motivo il ricorso lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, anche sotto il profilo dell’assoluta mancanza della motivazione, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.
Si lamenta l’apparenza della motivazione, a fronte di quanto prospettato con il secondo motivo di ricorso.
6. Il motivo è inammissibile.
Al di là della modalità di deduzione del vizio, non è configurabile l’apparenza della motivazione, né il vizio di omesso esame. È applicabile alla fattispecie l’art. 360 n. 5, cod. proc. civ., nel testo modificato dalla legge 7 agosto 2012 n.134 (pubblicat a sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 n. 5, cod. proc. civ. ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria
della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge.
Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, ‘in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ‘, nella specie non ravvisabili, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione’, sicché quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perché non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.
Va anche rilevato che l’ ‘omesso esame’ va riferito ad ‘un fatto decisivo per il giudizio’ ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’ che, pert anto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (si v., ex multis , Cass., n. 2268 del 2022).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 4.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della