Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6987 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6987 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
Sul ricorso R.G.N. 26878/2019
promosso da
Comune di Castrignano del Capo , in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso i signori COGNOME–COGNOME in virtù di procura speciali in atti;
ricorrente
contro
NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO in virtù di procura speciali in atti;
contro
ricorrenti
nonché contro
Regione Puglia , in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma presso la delegazione romana della Regione Puglia, INDIRIZZO in virtù di procura speciali in atti;
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce n. 114/2019, pubblicata il 01/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/ 11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 5/02/2013, l’ingegnere COGNOME NOME e l’architetto COGNOME NOME convenivano il Comune di Castrignano del Capo davanti al Tribunale di Lecce, per sentirlo condannare al pagamento della complessiva somma di € 16.247,80, oltre interessi di mora, a titolo di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. in relazione alle maggiori prestazioni professionali (progettazione esecutiva, direzione lavori, misure e contabilità, ordinamento della sicurezza), espletate per i lavori di assetto idrogeologico in località INDIRIZZO – Marina di Leuca, in esecuzione di un progetto finanziato dalla Regione Puglia con i fondi PO FERS 2007/ 2013.
I ricorrenti deducevano che, riuniti in Associazione Temporanea di Professionisti unitamente al geologo NOME COGNOME, avevano vinto la gara indetta dal Comune di Castrignano del Capo per il conferimento dell’incarico di cui sopra, ma che, in ottemperanza alle prescrizioni impartite dall’Autorità di Bacino della Puglia, relative alla messa in sicurezza della grotta Porcinara, avevano dovuto svolgere attività di progettazione ulteriore rispetto a quella prevista nel progetto definitivo dell’U.T.C., sulla base del quale era stata svolta la gara. Tale ulteriore attività era stata, comunque, recepita dal Comune, che aveva tramesso tutta la documentazione all’Autorità di Bacino per il prescritto parere.
Ritenendo, pertanto, di aver maturato il diritto a compensi ulteriori rispetto a quelli previsti in contratto, i ricorrenti ne richiedevano la corresponsione nella misura di € 16.247,80 oltre interessi.
Ritualmente costituitosi, il Comune concludeva per la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto della domanda, eccependo anche il proprio difetto di legittimazione passiva. Chiedeva, comunque, di essere manlevato dalla Regione Puglia, che chiamava in causa.
Si costituiva in giudizio anche la Regione Puglia, eccependo preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo il rigetto della domanda nei suoi confronti.
Con sentenza n. 1426/2015 il Tribunale di Lecce condannava il Comune al pagamento di € 16.247,80 oltre accessori.
Avverso detta sentenza proponeva appello il Comune di Castrignano del Capo, chiedendo, in totale riforma della stessa, il rigetto dell’originaria domanda, ovvero, in via gradata, la rideterminazione del quantum dovuto e, in ipotesi di condanna, la manleva da parte della Regione Puglia.
Si costituivano in giudizio gli appellati COGNOME NOME e COGNOME NOME, chiedendo, in via principale, la declaratoria d’inammissibilità dell’appello e, in via gradata, il rigetto dello stesso, con condanna del Comune ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
Si costituiva anche la Regione Puglia, chiedendo il rigetto dell’appello.
La Corte territoriale respingeva l’impugnazione.
Respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello, il Giudice del gravame riteneva che i professionisti avessero offerto la prova di aver espletato l’ulteriore attività richiesta dall’Autorità di Bacino, in occasione dell’incontro del 17/06/2010, in cui il Segretario della suddetta Autorità aveva evidenziato tale necessità, attesa la situazione di rischio determinata dalla Grotta Porcinara. I suddetti interventi aggiuntivi, ed ulteriori rispetto al preliminare di gara, erano stati recepiti dal Comune e da questo trasmessi all’Autorità di Bacino con nota del 16/09/2010, affinché esprimesse parere favorevole all’esecuzione dei lavori, come in effetti avveniva con nota del 28/04/2011.
Ad opinione della Corte, non aveva alcun rilievo la circostanza dedotta dal Comune, relativa alla intervenuta sottoscrizione del disciplinare dopo circa un anno dall’aggiudicazione, quando i lavori erano finiti, senza la registrazione di alcuna riserva da parte dei professionisti in corso d’opera, poiché il disciplinare prevedeva espressamente che, in caso di varianti o aggiunte al progetto, i professionisti avevano l’obbligo di redigere tutti gli elaborati previsti dalla vigente normativa, e all’uopo richiesti, con la precisazione che, per essi, avevano diritto ai compensi spettanti a norma delle vigenti disposizioni tariffarie.
In tale quadro, secondo la Corte d’appello, assumeva rilievo la nota prot. 347 del 12/01/2012 del Comune, che, pur non avendo valore confessorio, dava atto dell’espletamento delle ulteriori attività professionali e dell’approvazione del nuovo Q.T.E. alle stesse collegato, richiedendo solo chiarimenti in ordine alle risorse economiche da utilizzare per il pagamento delle prestazioni.
La stessa Corte evidenziava che i ricorrenti avevano agito ex art. 2041 c.c., per avere il Comune utilizzato la loro prestazione d’opera professionale, con la conseguenza che la Regione Puglia era del tutto estranea a detta domanda, aggiungendo che, ai fini dell’accoglimento della stessa, era sufficiente provare l’arricchimento, senza che fosse necessario il riconoscimento dell’utilità della prestazione, nella specie, comunque, dimostrata.
In ordine alla quantificazione della pretesa, la Corte rilevava la genericità delle contestazioni dell’Ente.
Infine, la menzionata Corte respingeva l’impugnazione sulla quantificazione delle spese di lite ed anche la richiesta di condanna dell’appellante per responsabilità processuale aggravata.
Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Castrignano del Capo, affidato a quattro motivi di censura.
Si sono difesi con controricorso tutti gli intimati.
La Regione Puglia e gli altri controricorrenti hanno depositato memorie difensive.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotto quanto segue: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del disciplinare di incarico 24.06.2011. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. Violazione del combinato disposto di cui agli artt. 165 e 174 DPR 554/99. Omesso esame circa punti decisivi per il giudizio, che sono stati oggetto di discussione fra le parti.»
Con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., oltre che dell’art. 2697 c.c., il ricorrente ha affermato che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto raggiunta la prova in ordine all’attività suppletiva asseritamente svolta dai professionisti, per adeguamento alle prescrizioni dell’Autorità di Bacino, contenuta nella nota del 20/07/2020, adottata a seguito di un incontro tenutosi il 17/06/2020, sebbene tali prescrizioni non avessero comportato alcuna variante rispetto alla originale progettazione definitiva, posta a base della gara vinta dai progettisti, e l’incontro si fosse tenuto prima che gli stessi elaborassero il progetto esecutivo.
Con riferimento all’art. 1362 c.c., il ricorrente ha dedotto che dal tenore letterale dell’art. 2 del disciplinare d’incarico, datato 24/06/ 2011, non si evinceva affatto, come ritenuto dalla Corte d’appello, che fosse stato previsto un diritto al compenso per eventuale attività suppletiva.
Il Comune ha anche aggiunto che la Corte d’appello non ha considerato un fatto da lui evidenziato in corso di causa, ritenuto decisivo, consistente nella circostanza che il disciplinare era stato firmato dopo un anno dalla gara, quando il progetto esecutivo era stato già completato ed approvato. Ad opinione del Comune, se la Corte
avesse considerato tale circostanza, avrebbe dato rilievo all’assenza di riserve in corso d’opera, ai sensi dell’art. 164 d.P.R. n. 554 del 1999, in riferimento alla prestazione già eseguita, ma non ricompresa nella determinazione con la quale era stato fissato il compenso complessivo spettante ai progettisti.
Lo stesso Comune ha censurato la decisione della Corte territoriale, nella parte in cui ha dato rilievo, quale argomento di prova, alla nota prot. n. 347 del 12/01/2012.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotto quanto segue: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. Difetto di titolarità passiva del rapporto giuridico dedotto in giudizio. Omesso esame di punti decisivi della controversia che sono stati oggetto di discussione tra le parti. Violazione dell’art. 191 TUEL. Violazione dei principi regolatori la materia.»
Il ricorrente ha prima di tutto stigmatizzato l’incongruenza della decisione, nella parte in cui ha ritenuto che il disciplinare consentisse la richiesta di importi ulteriori per prestazioni suppletive, da liquidarsi in base alle tariffe professionali, e, allo stesso tempo, ha qualificato la domanda quale richiesta di indennizzo ex art. 2041 c.c.
Lo stesso ricorrente ha, quindi, dedotto l’inammissibilità della domanda di indennizzo da ingiustificato arricchimento, in assenza di un riconoscimento anche implicito dell’ utilitas da parte del Comune, evidenziando che doveva, comunque, tenersi conto del disposto dell’art. 191 d.lgs. n. 267 del 2000, che impedisce l’azione nei confronti del Comune, in applicazione dell’art. 2042 c.c., potendo i professionisti agire nei confronti degli amministratori che avevano consentito l’acquisizione della ulteriore prestazione non stanziata nella contabilità dell’ente.
Infine, secondo il Comune, quand’anche fosse ritenuta ammissibile, l’azione avrebbe dovuto essere esperita contro la Regione Puglia, la cui legittimazione era stata erroneamente esclusa dalla Corte
di merito, non essendo vero che era stato il Comune a beneficiare della prestazione, perché la titolarità dell’area, il finanziamento del progetto e l’esclusiva prerogativa di quest’ultima nella modifica del Q.T.E. avrebbero dovuto condurre ad una diversa conclusione.
Con il terzo motivo di ricorso è formulata la seguente censura: «Violazione dell’art. 112 c.p.c. Omesso esame di punti decisivi della controversia che sono stati oggetto di discussione tra le parti.»
Il ricorrente ha ritenuto che la Corte d’appello non abbia statuito sulla domanda di manleva, formulata dal Comune nei confronti della Regione Puglia.
Con il quarto motivo di ricorso è formulata la seguente censura: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in ordine al quantum liquidato nella sentenza di merito di primo grado ed in ordine al rigetto del terzo motivo di gravame. Violazione e falsa applicazione dell’art. 115, in combinato disposto di cui al successivo art. 116 c.p.c. Violazione dei principi regolatori la materia.»
Il ricorrente ha dedotto che l’onere di provare le ulteriori prestazioni eseguite gravava comunque sui progettisti, mentre la decisione era stata assunta in base alla parcella professionale, unilateralmente predisposta dalle controparti, e alla documentazione trasmessa alla Autorità di Bacino, che avrebbe dovuto comunque dare il proprio parere, a prescindere dall’attività suppletiva, nonostante il Comune avesse contestato l’effettiva esecuzione di opere ulteriori, rispetto a quelle dovute, di cui non era in grado di valutare la portata, in assenza dell’oggetto della valutazione, e con un malgoverno dell’art. 115 c.p.c., che aveva comportato un’inversione dell’onere probatorio. Il Comune ha aggiunto che l’onere di contestazione è strettamente legato all’onere della prova, il cui rilievo è oggetto di libera valutazione, ma soggetto a motivazione, nella specie del tutto deficitaria.
5. Il primo motivo di ricorso è inammissibile con riguardo ad ogni profilo di doglianza, per le diverse ragioni di seguito evidenziate.
In primo luogo, la censura riferita alla violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., oltre che dell’art. 2697 c.c., pur richiamando norme di diritto, si sostanzia in una critica alla valutazione in fatto, operata dalla Corte d’appello, da ritenersi, pertanto, inammissibile in sede di legittimità.
Anche la dedotta violazione dell’art. 1362 c.c. nell’interpretazione del disciplinare contrattuale si sostanzia nella prospettazione di una soluzione interpretativa diversa rispetto a quella operata dal giudice di merito, cui la parte ha contrapposto la propria, con una censura priva del carattere della specificità richiesta dall’art. 366, comma 1, n. 4) c.p.c.
Il ritenuto mancato esame del fatto, consistito nella sottoscrizione del disciplinare di contratto quando i progetti erano stati già redatti, ed approvati dal Comune, senza che nel corso dell’opera fossero adottate varianti e senza che i professionisti avessero apposto riserve in contabilità, si sostanzia, poi, in una deduzione che attiene alla mancata valutazione di alcuni fatti nel senso indicato dal ricorrente, e non al mancato esame degli stessi, da ritenersi pertanto inammissibile. Il disciplinare, sottoscritto in data 24/06/2011, è stato, infatti, considerato dalla Corte d’appello, anche se con esito diverso da quello auspicato dal Comune, poiché la Corte ha dato rilievo a quanto previsto dall’art. 2 di tale atto, che ha stabilito un compenso secondo tariffa per l’esecuzione di ulteriori prestazioni professionali, eventualmente richieste, che i professionisti avevano l’obbligo di eseguire, così negando ogni rilievo alla mancanza di riserve durante i lavori (p. 5 della sentenza impugnata).
La censura in ordine alla valenza probatoria della nota prot. n. 347 del 12/01/2012 attribuita dalla Corte territoriale, e non condivisa dal ricorrente, costituisce anch’essa una critica alla valutazione
di merito, operata dal giudice dell’appello nell’esercizio del libero convincimento, supportato da una chiara motivazione, come tale inammissibile.
Il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile.
6.1. Occorre subito rilevare l’inammissibilità della censura riferita alla ritenuta contraddittorietà della valutazione operata dalla Corte d’appello, che ha dapprima dato rilievo alla previsione contenuta nel disciplinare, interpretata nel senso che i progettisti avevano l’obbligo di provvedere ad eseguire varianti o aggiunte al progetto con diritto al relativo compenso in base alle tariffe, e poi ha evidenziato che l’azione esperita per ottenere detto compenso era un’azione di ingiustificato arricchimento e non di adempimento contrattuale.
La critica non coglie la ratio della decisione, poiché dalla lettura della sentenza si evince chiaramente che, nel primo caso, il giudice del gravame ha operato una valutazione – non per fondare su un titolo negoziale la domanda formulata – ma per escludere il rilievo attribuito dal Comune alla sottoscrizione del disciplinare dopo l’esecuzione delle opere in assenza di riserve.
6.2. È inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis , n. 1), c.p.c., nella parte in cui è riproposta l’eccezione di inammissibilità dell’azione di ingiustificato adempimento, in ragione della mancanza di un riconoscimento dell’ utilitas dell’opera da parte del Comune.
Come più volte ribadito da questa Corte, con un orientamento oramai da tempo consolidato, a fronte di un pregresso e prevalente orientamento che condizionava l’accoglimento dell’azione di ingiustificato arricchimento al riconoscimento dell’ utilitas da parte della Pubblica Amministrazione, e cioè al riscontro di una valutazione soggettiva in capo all’ipotetico arricchito, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 10798 del 26/05/2015) hanno posto l’accento sulla connotazione strettamente oggettiva dell’arricchimento
che il depauperato deve provare, senza che l’Amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 27753 del 28/10/2024; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 14735 del 27/05/2024; Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 24642 del 05/11/2020; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 11209 del 24/04/ 2019; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 15937 del 27/06/2017; Cass, Sez. 6-1, Ordinanza n. 22182 del 30/10/2015).
Colui che agisce a norma dell’art. 2041 c.c. nei confronti della Pubblica Amministrazione, è dunque tenuto a provare il proprio depauperamento, unitamente al contestuale arricchimento della Pubblica Amministrazione, e l’accoglimento dell’azione incontra il solo limite del divieto di arricchimento imposto, giacché il diritto fondamentale di azione del depauperato deve adeguatamente coniugarsi con l’esigenza, altrettanto fondamentale, del buon andamento della attività amministrativa, affidando alla stessa Pubblica Amministrazione l’onere di eccepire e provare il rifiuto dell’arricchimento o l’impossibilità del rifiuto per la sua inconsapevolezza (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 27753 del 28/10/2024; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 14735 del 27/05/2024).
Il ricorrente non ha prospettato ragioni per discostarsi tal tale orientamento, ma ha semplicemente richiamato una giurisprudenza già da anni superata al momento della presentazione del ricorso per cassazione.
6.3. Il riferimento all’inammissibilità dell’azione ex art. 2041 c.c., in ragione dell’operatività del disposto dell’art. 191 d.lgs. n. 267 del 2000, è una censura che non risulta essere stata affrontata nel giudizio di appello, né la parte ha dedotto di aver in precedenza prospettata.
Per tale motivo, la doglianza deve ritenersi inammissibile.
Come più volte affermato da questa Corte, qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata
in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 32804 del 13/12/2019; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 7048 del 11/04/2016).
A nulla rileva la circostanza che l’eccezione involga una causa di nullità del contratto, astrattamente rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità, perché tale rilievo presuppone l’intervenuta acquisizione in fatto di circostanze che la parte, nel formulare il motivo, non ha neppure specificamente indicato.
Nel giudizio di cassazione, infatti, non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 19164 del 13/09/2007; Cass., Sez. Sez. 1, Sentenza n. 25319 del 25/10/2017; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 20712 del 13/08/2018).
Con specifico riferimento alla materia del contendere di questo giudizio, la RAGIONE_SOCIALE ha precisato che l’azione diretta del fornitore nei confronti dell’amministratore o funzionario che, ai sensi dell’art. 191, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000, abbia consentito l’acquisizione di beni o servizi, può essere esperita unicamente quando la delibera comunale sia priva dell’impegno contabile e della sua registrazione sul competente capitolo di bilancio e non anche quando tali requisiti siano stati rispettati, ma il contratto concluso con l’ente locale sia invalido per difetto di forma scritta, non potendo operare, in ipotesi
di invalidità negoziale, il meccanismo di sostituzione nel rapporto obbligatorio previsto dalle legge. Ne consegue che, in tali ipotesi, il fornitore potrà promuovere l’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti dell’ente comunale, nella ricorrenza dei presupposti di legge (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5480 del 29/02/2024).
Nel caso di specie, dunque, il ricorrente avrebbe dovuto fornire la prova di avere specificato, nel giudizio di merito, che le somme richieste dalle controparti si fondavano su un titolo negoziale redatto in forma scritta e in tutto valido, tranne che per il fatto che non era stato emesso un impegno di spesa per la somma richiesta, destinato ad incidere, vincolandolo, su un determinato capitolo di bilancio, con attestazione della sussistenza della relativa copertura finanziaria, come previsto dall’art. 191 d.lgs. n. 267 del 2000.
Tali specificazioni sono del tutto assenti, sicché la censura deve essere dichiarata inammissibile per novità.
6.4. È inammissibile il motivo anche nella parte in cui ha censurato la statuizione del giudice di merito, che ha escluso essere la Regione Puglia la corretta destinataria dell’azione di ingiustificato arricchimento.
La Corte d’appello ha ritenuto quanto segue: «Rileva preliminarmente la corte che gli attori non hanno chiesto il pagamento delle competenze loro spettanti in adempimento di quanto previsto in contratto (art.2 del disciplinare del 24 giugno 2011 già innanzi richiamato), ma hanno agito ai sensi dell’art. 2041 cod. civ. per l’indebito arricchimento derivato al comune dall’avere utilizzato la loro prestazione d’opera professionale. È evidente allora che la regione Puglia è del tutto estranea a detta domanda, essendo solo il comune il soggetto che ha beneficiato dell’attività svolta dagli appellati per interventi eseguiti a tutela del suo territorio.»
Il ricorrente ha affermato che doveva tenersi conto dell’appartenenza al demanio dell’area oggetto dell’intervento, del finanzia-
mento di quest’ultimo con risorse economiche di esclusiva competenza della Regione Puglia e della esclusiva prerogativa di quest’ultima nella modifica del QTE, tutti elementi, che, sebbene oggetto di discussione, non sono stati esaminati dalla Corte d’appello.
La censura si limita alle generiche affermazioni appena riportate, prive di argomenti concreti posti a sostegno delle stesse e senza neppure evidenziare le ragioni per cui le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata non sono ritenute fondate, così formulando un ‘non motivo’, che non risponde al requisito di specificità richiesto dall’art. 366 c.p.c. (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 1341 del 12/01/2024).
Il terzo motivo di ricorso è infondato.
Con tale ragione di doglianza è dedotta la mancata statuizione sulla domanda di manleva, formulata dal Comune nei confronti della Regione.
Tale domanda, tuttavia, risulta implicitamente respinta, con l’adozione della statuizione sopra riportata, in ordine alla corretta individuazione del soggetto destinatario dell’azione di ingiustificato arricchimento, che la Corte ha ritenuto essere il Comune, in quanto beneficiato dall’attività svolta dai professionisti, per interventi eseguiti a tutela del suo territorio, con ciò escludendo ogni diritto di manleva in capo all’Ente locale.
Il quarto motivo di ricorso è in parte infondato e in parte inammissibile.
8.1. Il ricorrente ha dedotto che la statuizione impugnata ha operato una inversione dell’onere della prova, senza che il Comune fosse in grado di provare alcunché, in assenza degli elaborati progettuali e di quant’altro utile, aggiungendo che comunque l’opera era di pertinenza della Regione, l’unica in grado di articolare contestazioni sul punto.
Con riferimento, poi, alla ritenuta non contestazione degli importi dovuti ex art. 2041 c.c., il Comune ha dedotto che la mancata contestazione non costituisce una prova legale, né integra un comportamento processuale dal quale trarre argomenti di prova, dovendosi semplicemente valutare i fatti non contestati nel contesto del materiale probatorio acquisito, nel rispetto dell’obbligo di motivazione, nella specie assolutamente deficitaria.
8.2. Nella specie, la Corte d’appello ha statuito come segue: «Con il terzo motivo rubricato “sul quantum liquidato” l’ente territoriale censura il quantum liquidato dal primo Giudice in favore dei professionisti, ritenendo tale liquidazione, effettuata in aderenza alla domanda, non motivata attraverso un’analisi specifica delle attività ulteriori espletate. La doglianza, riproposta in questo grado di giudizio negli stessi termini di assoluta genericità già evidenziati in primo grado, non può essere accolta. Occorre osservare sul punto che il Comune non ha mai sostanzialmente contestato il quantum della richiesta dei professionisti di cui alla notula del 13.6.2012 con allegata parcella professionale, né in relazione all’effettiva attività espletata ed ivi riepilogata, del resto risultante documentalmente dalla corrispondenza tra il Comune e l’Autorità di bacino ed in particolare, dalla nota prot. n. 8679 del 16.09.2010 con cui il Comune trasmetteva a quest’ultima ai fini del rilascio del parere gli elaborati progettuali, le relazioni tecniche, le misurazioni, i computi metrici e le nuove tavole, sia in relazione alla congruità e conformità della richiesta alle tariffe professionali vigenti. Nella comparsa di costituzione in primo grado, riguardo alla richiesta formulata dagli appellati il comune si è limitato a dedurre quanto segue, in termini assolutamente generici e senza alcuna specifica contestazione: ‘si contesta in ogni caso il quantum invocato nell’avversa citazione e sicuramente non proporzionato alla a ttività asseritamente suppletiva svolta dagli attori’. Tanto sicuramente non soddisfa l’onere di prendere specifica posizione sulle do-
mande avverse, contestandone in modo dettagliato il contenuto a sostegno della richiesta di rigetto. Va infine evidenziato che lo stesso Comune nel giudizio di primo grado con riferimento alle richieste aggiuntive dei professionisti ha dedotto di essersi limitato a girare le stesse alla Regione Puglia, ancora una volta senza alcuna contestazione e/o diversa determinazione del quantum.»
8.3. Com’è noto, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018; Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 18092 del 31/08/2020).
Ovviamente, l’onere della prova gravante su una parte è, comunque, delimitato dall’onere di contestazione dall’avversario di quest’ultima, poiché, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., a fronte dell’allegazione di fatti specifici, che non siano contestati dalla controparte, il deducente è esonerato dalla prova di quanto allegato (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 4681 del 15/02/2023).
Questa Corte ha, poi, precisato che l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto quando i fatti controversi siano noti alla parte (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 12064 del 08/05/2023) o comunque rientranti nella sua sfera di conoscibilità (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2223 del 25/01/2022).
Peraltro, l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione
del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27490 del 28/10/2019).
8.4. Nel caso di specie, la Corte d’appello risulta avere dato corretta applicazione ai principi sopra enunciati.
La menzionata Corte ha, infatti, fondato la statuizione partendo dalla notula del 13/06/2012, con allegata parcella professionale, quale specificazione dell’attività svolta dai controricorrenti, posta a fondamento della richiesta di indennizzo ex art. 2041 c.c.
A fronte di tale specifica allegazione, la stessa Corte ha rilevato che il Comune non ha contestato in modo specifico, non solo l’effettivo compimento di detta attività, risultante comunque da documentazione proveniente dal Comune stesso (la nota prot. n. 8679 del 16/09/2010), ma anche l’ammontare degli importi richiesti.
È dunque evidente che la Corte d’appello non ha violato il principio di riparto dell’onere della prova, ma ha dato corretta applicazione al principio di non contestazione.
A sostegno della censura, il Comune ha aggiunto di avere messo in discussione la stessa esistenza di attività non comprese nel contratto e di non essere in grado di effettuare contestazioni specifiche, in assenza degli elaborati progettuali predisposti dai professionisti, aggiungendo che era la Regione Puglia la beneficiaria delle prestazioni stesse e, dunque, anche il soggetto legittimato ad effettuare eventuali contestazioni.
È tuttavia evidente che il primo e l’ultimo degli argomenti appena riportati attengono a questioni attinenti a valutazioni giuridiche, già oggetto delle precedenti censure, come sopra esaminate, del tutto distinte dall’accertamento in fatto in ordine all’esecuzione delle prestazioni professionali in questione. Il secondo argomento, poi, si pone come una mera asserzione, del tutto generica, che non si relaziona alla statuizione impugnata, che, invece, come sopra evidenziato, ha tenuto conto del fatto che proprio il Comune ha trasmesso
all’Autorità di Bacino, per il prescritto parere, gli elaborati redatti in esecuzione delle menzionate prestazioni.
La parte ha, infine, genericamente prospettato un vizio di motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto integrata la non contestazione, senza neppure spiegare per quali ragioni tale vizio debba nella specie ritenersi esistente, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
La statuizione sulle spese, liquidate in dispositivo, segue la soccombenza.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla Regione Puglia, che liquida in € 2.500,00 per compenso ed € 200 per esborsi, oltre accessori di legge;
condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dagli altri controricorrenti , che liquida in € 2.500,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge;
dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 novembre 2024.
Il Presidente NOME COGNOME