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Ingiustificato arricchimento: PA paga extra lavori?

La Corte di Cassazione conferma la condanna di un Comune a pagare dei professionisti per prestazioni extra-contratto, basandosi sul principio dell’ingiustificato arricchimento. La Corte stabilisce che l’arricchimento della Pubblica Amministrazione è un fatto oggettivo e non necessita di un formale riconoscimento di utilità. Inoltre, una contestazione generica del quantum richiesto da parte dell’ente pubblico non è sufficiente a superare le prove fornite dai professionisti.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Ingiustificato Arricchimento: la PA deve pagare per i lavori extra non previsti?

La questione dei compensi per prestazioni professionali aggiuntive, non contemplate nel contratto originario con una Pubblica Amministrazione, è un tema ricorrente e spinoso. Cosa succede quando un professionista svolge un’attività extra, oggettivamente utile all’ente, ma quest’ultimo si rifiuta di pagare? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i contorni dell’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., stabilendo principi fondamentali a tutela del professionista.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di pagamento avanzata da un gruppo di professionisti (un ingegnere e un architetto) nei confronti di un Comune. I professionisti si erano aggiudicati una gara per la progettazione e direzione lavori di un’opera di assetto idrogeologico. Durante l’incarico, l’Autorità di Bacino competente aveva imposto delle prescrizioni aggiuntive per la messa in sicurezza di un’area specifica, richiedendo un’attività di progettazione ulteriore rispetto a quella originariamente prevista.

I professionisti svolgevano tale attività extra, che veniva recepita dal Comune e trasmessa alla stessa Autorità per il parere favorevole. Nonostante l’evidente beneficio per l’ente, il Comune si rifiutava di corrispondere il compenso aggiuntivo, quantificato in oltre 16.000 euro. Iniziava così un contenzioso che, dopo due gradi di giudizio favorevoli ai professionisti, giungeva dinanzi alla Corte di Cassazione su ricorso del Comune soccombente.

La Decisione della Corte sull’Ingiustificato Arricchimento

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Comune, confermando la sua condanna al pagamento. La decisione si fonda su alcuni pilastri giuridici di grande rilevanza pratica.

Il Comune basava la sua difesa su diversi punti: sosteneva che il disciplinare d’incarico non prevedesse compensi extra, che la firma tardiva del contratto (ad opere già concluse) senza riserve da parte dei professionisti precludesse ogni richiesta ulteriore e, soprattutto, che l’azione di ingiustificato arricchimento fosse inammissibile per mancanza di un esplicito riconoscimento dell’utilità (utilitas) dell’opera da parte dell’ente.

La Suprema Corte ha smontato queste argomentazioni, chiarendo che l’azione ex art. 2041 c.c. ha presupposti oggettivi e non dipende da una valutazione soggettiva dell’ente che si è arricchito.

Le motivazioni

La Corte ha fornito motivazioni precise e articolate. In primo luogo, ha ribadito l’orientamento consolidato, inaugurato dalle Sezioni Unite, secondo cui l’arricchimento della Pubblica Amministrazione è un fatto oggettivo. Per ottenere l’indennizzo, il professionista deve solo provare l’arricchimento dell’ente e il proprio conseguente impoverimento. Non è necessario che la P.A. abbia formalmente e soggettivamente riconosciuto l’utilità della prestazione. L’ente pubblico, per difendersi, ha l’onere di provare di aver rifiutato l’arricchimento o di non aver potuto farlo.

In secondo luogo, la Corte ha dato grande peso al principio di non contestazione. Il Comune, sia in primo grado che in appello, si era limitato a contestare il quantum richiesto in maniera del tutto generica, senza fornire elementi specifici per contrastare la parcella presentata dai professionisti. Secondo la Corte, una contestazione generica equivale a una non contestazione. Di conseguenza, i fatti allegati dai professionisti (svolgimento dell’attività extra e congruità del compenso) dovevano considerarsi provati, esonerando gli stessi da un ulteriore onere probatorio.

Infine, è stata respinta anche la tesi del Comune che voleva scaricare la responsabilità sulla Regione, in quanto ente finanziatore del progetto. La Corte ha chiarito che il soggetto passivo dell’azione di ingiustificato arricchimento è colui che ha beneficiato direttamente della prestazione. In questo caso, il beneficiario era il Comune, poiché le opere erano state eseguite a tutela del suo territorio, rendendo la Regione estranea alla domanda.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre importanti conclusioni per i professionisti che operano con la Pubblica Amministrazione. L’azione di ingiustificato arricchimento si conferma uno strumento di tutela efficace quando vengono eseguite prestazioni extra-contratto che portano un vantaggio concreto all’ente. La giurisprudenza ha ormai consolidato il principio che l’arricchimento va valutato in termini oggettivi, superando il vecchio orientamento che richiedeva un riconoscimento formale dell’utilità da parte della P.A. Inoltre, l’onere di contestazione specifica impone agli enti pubblici una difesa più rigorosa e dettagliata: non basta più un generico rifiuto per invalidare le richieste di pagamento, ma è necessario contestare punto per punto le pretese avversarie.

Una Pubblica Amministrazione deve pagare per lavori extra-contratto anche se non ha formalmente riconosciuto la loro utilità?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, l’arricchimento dell’ente è un fatto oggettivo. Il professionista deve solo dimostrare che la P.A. ha beneficiato della prestazione e che lui ha subito un impoverimento. Non è necessario un riconoscimento soggettivo e formale dell’utilità (utilitas) da parte dell’Amministrazione.

Chi è tenuto al pagamento in un’azione per ingiustificato arricchimento: l’ente che beneficia dell’opera o quello che la finanzia?
L’azione va intentata contro l’ente che si è concretamente arricchito grazie alla prestazione. Nella vicenda esaminata, il Comune è stato identificato come l’unico beneficiario dei lavori eseguiti a tutela del suo territorio, e quindi unico obbligato al pagamento, nonostante il progetto fosse finanziato dalla Regione.

Cosa accade se un ente pubblico contesta una richiesta di pagamento in modo generico?
Una contestazione generica non è sufficiente a contrastare la domanda. In base al principio processuale di non contestazione, se una parte non contesta specificamente i fatti allegati dalla controparte, tali fatti si considerano provati senza bisogno di ulteriori dimostrazioni. Pertanto, l’ente che contesta in modo vago rischia di essere condannato al pagamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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