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Ingerenza socio accomandante: quando scatta il fallimento

La Corte di Cassazione ha confermato il fallimento in estensione di una socia accomandante per ingerenza nella gestione societaria. La Corte ha stabilito che detenere una procura generale per operare sui conti bancari della società, con facoltà di emettere assegni e spendere il nome sociale, costituisce un atto di amministrazione che viola il divieto imposto dall’art. 2320 c.c. Questa violazione comporta la perdita del beneficio della responsabilità limitata, rendendo la socia illimitatamente responsabile per i debiti sociali, indipendentemente dalle motivazioni familiari o dalla frequenza degli atti compiuti.

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Ingerenza socio accomandante: la gestione bancaria può costare il patrimonio personale

Il ruolo del socio accomandante in una Società in accomandita semplice (S.a.s.) è caratterizzato da un equilibrio delicato: da un lato, la partecipazione agli utili e la responsabilità limitata al capitale conferito; dall’altro, un divieto assoluto di immischiarsi nella gestione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza i confini di questo divieto, chiarendo come l’ingerenza del socio accomandante, anche se apparentemente limitata alla gestione dei conti bancari, possa portare a conseguenze gravissime come il fallimento personale. Questo principio assume una rilevanza particolare nelle numerose S.a.s. a conduzione familiare, dove i ruoli possono sfumare.

I fatti del caso: da un aiuto in famiglia al fallimento

Il caso esaminato ha origine dalla richiesta del curatore fallimentare di una S.a.s. di estendere il fallimento a una socia accomandante, figlia e sorella dei soci accomandatari. Secondo il curatore, la socia si era di fatto occupata della gestione aziendale, come dimostrato da una serie di elementi: una delega piena sui rapporti bancari, la gestione autonoma dei fornitori, la firma di garanzie per mutui e affidamenti, e il compimento di vari atti di amministrazione.

La socia si era difesa sostenendo di aver svolto solo attività esecutive e sporadiche, motivate dall’affetto familiare (affectio familiae), per aiutare il padre e il fratello spesso assenti. In particolare, affermava di aver ricevuto una semplice “delega commerciale” per operare sui conti correnti, non una procura gestoria. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello, tuttavia, avevano ritenuto che tali attività integrassero una violazione del divieto di ingerenza, dichiarando il suo fallimento in estensione.

Il divieto di ingerenza del socio accomandante e la gestione bancaria

L’articolo 2320 del codice civile stabilisce che i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di una procura speciale per singoli affari. La violazione di questo divieto comporta la perdita del beneficio della responsabilità limitata per tutte le obbligazioni sociali.

La questione centrale del ricorso in Cassazione era stabilire se la gestione dei conti correnti societari, inclusa l’emissione di assegni, rientrasse tra gli atti di mera esecuzione consentiti o costituisse un’attività di gestione vietata. La difesa della socia sosteneva che si trattasse di una semplice attività di “tesoreria”, un mandato di pagamento predisposto dagli amministratori.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno chiarito che il punto non era una errata applicazione della legge, ma un tentativo di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti, operazione preclusa in sede di legittimità.

Nel merito, la Corte ha ribadito principi consolidati:

1. Potere di firma come atto di gestione: La facoltà di operare su un conto corrente societario con potere di firma disgiunta e spendita del nome sociale, emettendo assegni a terzi, non è un’attività meramente esecutiva. Al contrario, è equiparabile a una procura generale e rappresenta un’evidente ingerenza nell’amministrazione. Un socio accomandante può compiere versamenti o prelievi, ma non disporre pagamenti verso terzi a nome della società.

2. Irrilevanza delle motivazioni: Le ragioni che spingono il socio a ingerirsi nella gestione, come i legami familiari o la necessità di sopperire ad assenze degli amministratori, sono del tutto irrilevanti. La norma tutela l’affidamento dei terzi, che devono poter contare sulla chiara distinzione dei ruoli all’interno della società.

3. Sufficienza di un singolo atto: Per perdere il beneficio della responsabilità limitata non è necessaria un’attività di gestione continuativa. È sufficiente il compimento anche di un solo atto di ingerenza vietato per far scattare la responsabilità illimitata per tutte le obbligazioni sociali.

La Corte ha quindi concluso che la procura generale a gestire i rapporti bancari era un elemento decisivo e sufficiente a provare l’ingerenza, rendendo la socia accomandante responsabile illimitatamente per i debiti della società fallita.

Conclusioni

Questa pronuncia rappresenta un monito fondamentale per chiunque rivesta il ruolo di socio accomandante, specialmente in contesti a base familiare. La linea di demarcazione tra un aiuto operativo e un’ingerenza gestoria è netta e il suo superamento ha conseguenze patrimoniali devastanti. La gestione dei flussi finanziari e dei rapporti con le banche è considerata il cuore dell’attività amministrativa e non può essere delegata, neppure informalmente, a un socio accomandante. Per evitare rischi, è essenziale che i ruoli siano formalmente e sostanzialmente rispettati, e che eventuali procure conferite all’accomandante siano strettamente limitate a singoli e specifici affari, senza mai attribuire un potere generale di firma e rappresentanza della società.

La gestione dei conti correnti societari da parte di un socio accomandante costituisce ingerenza vietata?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che operare sui conti correnti della società con potere di firma e facoltà di spendere il nome sociale, come emettere assegni a terzi, è un atto di amministrazione che integra la violazione del divieto di ingerenza previsto dall’art. 2320 c.c.

Il fatto che le attività gestorie siano motivate da legami familiari (affectio familiae) può escludere la responsabilità?
No. Le motivazioni personali o familiari che spingono il socio accomandante a compiere atti di gestione sono irrilevanti ai fini della legge. La violazione è oggettiva e comporta la perdita del beneficio della responsabilità limitata indipendentemente dalle ragioni sottostanti.

È necessario dimostrare un’attività di gestione continuativa per far scattare la responsabilità illimitata del socio accomandante?
No. La giurisprudenza ha chiarito che anche un singolo atto di ingerenza, che abbia rilevanza esterna e riveli un’indebita amministrazione, è sufficiente a far sorgere la responsabilità illimitata del socio accomandante per tutte le obbligazioni sociali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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