Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12806 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12806 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14559/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE e dei soci accomandatari COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché della socia accomandante COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), domicilio digitale: EMAIL nonché contro
COGNOME ROSARIO
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 38/2022 depositata il 09/05/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con ricorso ex art. 147 l.fall. il curatore del Fallimento RAGIONE_SOCIALE e dei soci accomandatari NOME COGNOME e NOME COGNOME, chiese la declaratoria di fallimento in estensione della socia accomandante NOME COGNOME, rispettivamente loro figlia e sorella, deducendo che della gestione della società non si erano mai occupati i primi, bensì quest’ultima , come comprovato: a) dalla delega piena nei rapporti bancari; b) dall ‘ autonoma gestione dei rapporti con i fornitori (firma di d.d.t. e gestione ordini); c) da ll’assunzione di garanzi e per mutui e affidamenti erogati dalle banche alla società; d) da ll’esercizio di poteri datoriali nei confronti del personale; e) dal compimento di atti di amministrazione.
1.1. -La COGNOME replicò che i poteri gestori erano sempre stati esercitati dai soci accomandatari, essendosi limitata a svolgere sporadiche attività meramente esecutive delle loro disposizioni , motivati dall’ affectio familiae ; disconobbe la firma di d.d.t. e ammise di aver talvolta ritirat o l’incasso giornaliero solo perché abitava nello stesso stabile in cui vi era la sede della società e l’abitazione del padre, cui lo consegnava; affermò di aver ricevuto non già u na ‘procura’ ma una semplice ‘delega commerciale’ che la fac oltizzava ad operare sul conto corrente della società a causa dell’ impedimento del padre e del fratello, spesso impegnati presso la sede; dichiarò di aver prestato garanzie come richiesto dalle banche a tutti i familiari e soci, oltre che a tutela dei propri interessi, essendo socia accomandante.
1.2. -Il Tribunale di Nola, assunte testimonianze, accolse la domanda e dichiarò il fallimento in estensione di NOME COGNOME in quanto socia accomandante che si era ingerita nell’amministrazione della società in violazione del divieto posto dall’art. 2320 c.c.
1.3. -Con la sentenza indicata in epigrafe, l a Corte d’appello di Napoli ha rigettato il reclamo ex art. 18 l.fall. proposto dalla COGNOME, ritenendo decisivo e dirimente il rilascio in suo favore di procura generale con delega alla gestione dei rapporti bancari societari, con facoltà di spendita del nome sociale disgiuntamente dai soci accomandatari e non già in virtù di una mera ‘delega di
cassa’ , sulla base di molteplici indici rivelatori della violazione del divieto di ingerenza ex art. 2320 c.c. (procura generale a operare sul conto corrente della società; lettera di abilitazione ad effettuare versamenti, addebiti e prelievi su altro conto corrente bancario; richiesta di variazioni di affidamento in nome e per conto della società; emissione di assegni bancari, come da copie fronte-retro di assegni tutti recanti la sua firma).
1.4. -Avverso detta decisione la COGNOME propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria cui il Fallimento resiste con controricorso , mentre l’intimato COGNOME non svolge difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con l’unico motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2320 c.c. , assumendo che l’attività di gestione dei conti bancari della società andrebbe annoverata tra le attività esecutive e, contrariamente a quanto affermato dalla corte d’ a ppello, non sarebbe riconducibile ad un’effettiva violazione del divieto di ingerenza dell’accomandante nella gestione dell’attività sociale, dovendosi piuttosto ricondurre a mera attività di ‘tesoreria’, analoga a quella svolta dal tesoriere comunale ( cfr. artt. 182 -185 T.U.E.L.), nel senso che la socia accomandante si sarebbe limitata « ad espletare un vero e proprio ‘mandato di pagamento’, già predisposto dai soci accomandatari », svolgendo «un’attività esecutiva di adempimento di obbligazioni contrattuali, derivanti da scelte contrattuali dei soci accomandatari».
-Il motivo è inammissibile perché, a dispetto della sua rubrica e dei numerosi precedenti di legittimità richiamati (alcuni peraltro inconferenti, come quelli che riguardano il diverso fenomeno della cd. supersocietà di fatto citati in memoria: Cass. 204/2024, 4784/2023 e 12120/2016), non veicola un vizio di violazione di legge, ma attiene alla valutazione dei fatti e delle risultanze istruttorie, riservata ai giudici di merito, i quali l’hanno peraltro effettuata in modo conforme nei due gradi di giudizio.
3.1. -La corte d’appello, con motivazione puntuale in fatto e corretta in diritto, ha osservato: i) che la socia accomandante può
agire in forza di procura speciale per singoli affari, ovvero in forza di una cd. delega di cassa (che consente di compiere atti esclusivamente esecutivi), ma non può anche operare sul conto della società, con spendita del nome sociale disgiuntamente dal socio accomandatario (v. Cass. 23651/2014); ii) che un simile potere, che consente al socio di emettere assegni bancari tratti sul conto della società e all’ordine di terzi, è equiparabile a una procura generale e comporta l’assunzione di una responsabilità illimitata ai sensi dell’art. 2320 c.c.; iii) che il fatto di essersi avvalsa di questo potere di firma non solo è documentato, ma non risulta nemmeno specificamente contestato, essendosi la COGNOME limitata ad opporre la mancanza di prova del suo concreto esercizio di quei poteri indeterminati che la procura astrattamente attribuisce, senza prendere posizione o negare specificamente il compimento di atti rientranti nell’ambito della delega; iv) che deve quindi ritenersi incontroverso l’effettivo esercizio dei poteri previsti dalle deleghe relative ai conti correnti presso le varie banche (alla luce del complessivo quadro probatorio e in assenza di specifica contestazione in ordine all’esercizio del suddetto potere di firma); v) che non muta i termini del discorso la deduzione che il potere sarebbe stato conferito alla COGNOME quale ‘delegato commerciale’, in quanto la sostanza non cambia, «potendosi ugualmente ritenere che le sia stata indebitamente conferita una procura institoria o generale»; vi) che i motivi in forza dei quali il suddetto potere sia stato conferito sono irrilevanti, così come sono irrilevanti l’entità o il numero degli atti di ingerenza compiuti, essendo sufficiente anche una sola violazione del divieto a far assumere la responsabilità illimitata tutte le obbligazioni sociali; vii) che l’essersi occupata degli incassi giornalieri, aver dato direttive a magazzinieri e autisti, aver avuto rapporti con i fornitori (elementi valorizzati dal tribunale ad abundantiam e contestati dalla reclamante perché desunti da testimonianze di soggetti interessati quali creditori della fallita) sono circostanze significative anche se non decisive, risultando dirimente la procura generale conferita nei rapporti bancari; viii) che è superfluo indugiare sul coinvolgimento o meno degli accomandatari nella gestione, poiché l’ingerenza ex art. 2320
c.c. non deve essere assorbente e può coesistere con l’esercizio dei poteri gestori da parte dell’accomandatario .
3.2. -È evidente che i riferiti accertamenti e valutazioni dei fatti non possono essere rimessi in discussione in questa sede, sulla base della diversa lettura che se ne prospetta in ricorso.
Difatti, la Corte di cassazione non è giudice del fatto in senso sostanziale, dovendo limitarsi ad esercitare un controllo sulla correttezza giuridica e sulla coerenza logico-formale delle argomentazioni spese dal giudice nella decisione, che non consente di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa; d’altronde, ammettere in sede di legittimità un sindacato in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nel provvedimento impugnato e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice di merito (Cass. Sez. U, 28220/2018; Cass. 2001/2023, 28643/2020, 33858/2019, 32064/2018, 8758/2017).
Né il ricorrente per cassazione può pretendere di contrapporre a quella del giudicante la propria diversa valutazione dei fatti, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti compiuti ( ex plurimis , Cass. 9097/2017, 30516/2018, 205/2022), poiché non rientra nei compiti di questa Corte condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né tantomeno procedere alla rilettura delle risultanze processuali, per assecondare l’aspirazione della parte ad una diversa decisione, consona alle sue aspettative (Cass. 12052/2007, 3267/2008), quasi che il giudizio di legittimità fosse un ulteriore grado di merito (Cass. Sez. U, 34476/2019).
3.3. -Fermi restando gli accertamenti in fatto e le correlate valutazioni del compendio istruttorio, come detto incensurabili in questa sede (se non nei ristretti limiti del vizio di cui al novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., che non è qui in discussione), in diritto la decisione impugnata risulta coerente con i principi affermati da questa Corte, in base ai quali, ai fini della configurabilità dell’ingerenza nella gestione sociale che giustifica, in base all’art. 2320 c.c., la responsabilità illimitata del socio accomandante per le obbligazioni sociali, è necessario e sufficiente che questi contravvenga al divieto di trattare o concludere affari in
nome della società o di compiere atti aventi influenza decisiva o almeno rilevante sulla sua amministrazione (Cass. 6771/2022, 4498/2018, 11250/2016), senza che assumano rilievo l’intensità e la continuità dell’indebita ingerenza, trattandosi di conseguenza riconducibile anche a condotte isolate o comunque di non eccezionale rilievo (Cass. 6771/2022, 23651/2014, 7554/2000), purché gli atti non rivelino natura meramente esecutiva (Cass. 6771/2022, 7554/2000, 6725/1996, 172/1987, 3563/1979), come, nel caso in esame, i giudici di merito hanno decisamente escluso.
-Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna alle spese in favore del controricorrente, liquidate in dispositivo.
-Sussistono i presupposti di cui all’ art. 13, comma 1quater, d.P.R. 115/02 (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019, 4315/2020).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27/03/2024.