Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3346 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3346 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 5518/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso il loro studio, giusta procura speciale in calce al ricorso.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore.
-intimata-
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma depositata in data 18/7/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6/2/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
L’RAGIONE_SOCIALE stipulava con la RAGIONE_SOCIALE tre contratti di appalto: il contratto del 13/11/2007, avente ad oggetto l’appalto integrato per la realizzazione dei lavori sulla INDIRIZZO il contratto del 17/7/2008 avente ad oggetto l’appalto integrato relativo ai lavori di realizzazione del collegamento viario tra la piana di Campo Felice e l’Altipiano delle Rocche; il contratto del 4/6/2009 avente ad oggetto l’appalto integrato per l’esecuzione dei lavori di realizzazione della variante di Portogruaro.
Intervenivano nelle more tre informative antimafia del prefetto, in data 23/11/2010, numeri 220406,22061 e 220654, ciascuna per ogni contratto, ai sensi dell’art. 10, comma 7, lettera c) del d.P.R. n. 252 del 1998.
Con tre distinti ordini di servizio, rispettivamente del 13/12/2010, del 14/12/2010 del 15/12/2010, l’Anas ordinava l’immediata interruzione dei lavori.
Nel frattempo, la RAGIONE_SOCIALE, con la missiva del 22/12/2010, comunicava di aver impugnato dinanzi al Tar il provvedimento del 23/11/2010 e di aver chiesto al prefetto l’aggiornamento dell’informativa antimafia ex art. 10, comma 8, del d.P.R. n. 252 del 1998.
Il Tar rigettava il ricorso della società con sentenza n. 3985 del 5/5/2011. Il Consiglio di Stato rigettava l’appello con sentenza n. 4360 del 2011.
Con lettera del 25/7/2011 la RAGIONE_SOCIALE informava Anas dell’aggiornamento favorevole dell’informativa, chiedendo alla stessa di presentare istanza al prefetto per conseguire copia del provvedimento.
Con provvedimento del 25/7/2011, pervenuto il 27/7/2011, l’Anas disponeva il recesso dai contratti, ex art. 11, comma 3, del d.P.R. n. 252 del 1998.
La Safab reagiva con tre note del 29/7/2011 deducendo l’illiceità dei tre recessi, perché ormai l’informativa interdittiva antimafia del 23/11/2010 era venuta meno per effetto della nuova certificazione.
Inoltre, la Safab evidenziava che la successiva informativa del 21/7/2011 era di natura supplementare ed atipica.
Con atto di citazione del 5/1/2012 la RAGIONE_SOCIALE conveniva l’RAGIONE_SOCIALE dinanzi al tribunale di Roma chiedendo che venisse dichiarata la risoluzione dei tre contratti in questione per responsabilità di Anas, con condanna della convenuta al pagamento dei lavori già eseguiti e dei materiali, oltre al risarcimento dei danni conseguenti, ovvero, in via subordinata «che il recesso operato da Anas fosse considerato alla stregua dell’art. 134, d.lgs. n. 163/2006, con le conseguenze ivi previste» (vedi ricorso per cassazione pagina 6).
Si costituiva in giudizio Anas sollevando esclusivamente eccezione di difetto di giurisdizione, sul presupposto che il proprio recesso dai contratti fosse intervenuto ai sensi dell’art. 11 del d.P.R. n. 252 del 1998, con conseguente sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo.
Il tribunale di Roma, con ordinanza del 4/9/2012, respingeva l’eccezione di difetto di giurisdizione.
Per il tribunale «il provvedimento prefettizio emanato all’esito della nuova istruttoria, non prodotto da alcuna delle parti, sebbene non risulterebbe positivo per l’attrice avendo riconosciuto la
continuità tra di essa e la RAGIONE_SOCIALE non sarebbe nemmeno meramente confermativo del precedente, ma costituirebbe una c.d. informativa ‘supplementare atipica’ (art. 1septies D.L. n. 629/1982, convertito nella L. n. 726/1982), priva di efficacia immediatamente e automaticamente interdittiva, così lasciando alla stazione appaltante la potestà di procedere a valutazione discrezionale, al fine di assumere le proprie determinazioni circa la prosecuzione del rapporto, da motivare congruamente».
Aggiungeva il tribunale che «osservato, pertanto, come non venga in questione l’illecito esercizio di un potere amministrativo provvedimentale, ma la mancanza dei presupposti per il suo esercizio, e il recesso contrattuale vada qualificato come recesso per volontà unilaterale della PA ex art. 134 d.lgs. n. 163/2006, con conseguente attribuzione della controversia alla cognizione del giudice ordinario».
La prima informativa, dunque, del 23/11/2010 non era più attuale, essendo stata superata dalla seconda informativa, emessa a conclusione della fase di aggiornamento.
L’Anas impugnava l’ordinanza del tribunale del 24/8/2012 con ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione.
Questa Corte, a sezioni unite, con ordinanza n. 1530 del 27/1/2014, dichiarava la giurisdizione del giudice ordinario.
Chiariva che la deliberazione di un ente pubblico di recesso dal contratto d’appalto, in conseguenza dell’informativa del prefetto, era espressione di un potere di valutazione di natura pubblicistica, diretto a soddisfare l’esigenza di evitare la costituzione o il mantenimento dei rapporti contrattuali, fra i soggetti indicati nell’art. 1 del d.P.R. n. 252 del 1998 e le imprese, nei cui confronti emergessero sospetti di legami con la criminalità organizzata. Trattandosi di espressione di un potere autoritativo, il cui esercizio
era consentito anche nella fase di esecuzione del contratto, ai sensi dell’art. 11, comma 2, del d.P.R. n. 252 del 1998, la relativa controversia apparteneva alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Tuttavia, nella specie, «la RAGIONE_SOCIALE agisce per la risoluzione, per fatto e colpa dell’Anas, dei contratti de quibus e per il risarcimento dei danni, assumendo che, alla data delle comunicazioni di recesso, risultava rilasciata l’informazione antimafia ad essa favorevole».
La COGNOME, dunque, assumeva «la mancanza dei presupposti per l’esercizio del potere».
In tale situazione – precisava questa Corte – «avuto riguardo al criterio del petitum sostanziale, non può che dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di controversia, attinente all’esecuzione di un contratto di diritto privato, nella quale non viene in questione l’illegittimo esercizio di un potere amministrativo, restando estranea al problema di giurisdizione ogni questione, attinente al merito, e circa la fondatezza della prospettazione dell’attrice».
Il tribunale di Roma, con sentenza n. 8233/2016 del 24/2/2016, rigettava la domanda attrice.
Per il tribunale «non avendo le parti prodotto l’atto con cui era stato disposto il recesso ma solo le missive con cui Anas comunicava la sua intenzione, doveva desumersi che il recesso fosse stato legittimamente effettuato sulla base dell’informativa atipica del 21/7/2011, in quanto antecedente ai recessi contrattuali comunicati in data 25/7/2011 ed in presenza, quindi, dei presupposti di cui all’art. 11 252/1998».
Inoltre, per il tribunale, quando alla domanda subordinata, ne rilevava la parziale infondatezza sostenendo che, stante la mancata contestazione con conseguente rinuncia alla richiesta di CTU da parte
della società attrice, alla stessa era dovuto solo «il valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite», dunque per la somma di euro 117.136,10.
Avverso tale sentenza proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE censurando la decisione per avere «arbitrariamente ritenuto di riferire il recesso operato da Anas alla seconda informativa antimafia datata 2011».
Il tribunale, poi, «avrebbe omesso di valutare la ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice poi astenutosi, dalla Corte di cassazione e dal PM nella sua requisitoria, ritenendole non vincolanti in giudizio in corso».
Ad avviso di RAGIONE_SOCIALE, dunque, «il recesso sarebbe stato operato pacificamente e per stessa ammissione di Anas s.p.a., sulla base dell’informativa del 2010 laddove la seconda sarebbe stata acquisita solo nell’agosto 2011 e quindi successivamente al recesso comunicato nel luglio 2011».
Sempre a giudizio di COGNOME «il giudice sarebbe incorso in una violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato focalizzando la motivazione sulla questione relativa alla cronologia delle informative prefettizie non sulla sussistenza o meno dei presupposti legittimanti il recesso di Anas».
La condotta di RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata contraria a diligenza, correttezza e buona fede nello svolgimento del rapporto contrattuale, sicché l’appellante chiedeva dichiararsi «il recesso per fatto e colpa di Anas».
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza del 18/7/2018, rigettava il gravame.
In particolare, evidenziava che l’informativa antimafia aveva natura cautelare preventiva, in un’ottica di bilanciamento tra la
tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, da un lato, e la libertà di iniziativa economica, dall’altro.
Chiariva, poi, che «le informative atipiche, oggi superate, non avevano effetto direttamente impeditivo di ulteriori rapporti negoziali con la pubblica amministrazione né carattere interdittivo, ma consentivano l’attivazione -da parte delle Amministrazioni interessate – degli ordinari strumenti di valutazione discrezionale in ordine all’avvio o al prosieguo dei rapporti contrattuali medesimi, anche in relazione alla ‘idoneità morale’ delle aziende stesse dei privati» (si citava Cons. stato, sez. III, 31 dicembre 2014, n. 6465).
Le informative atipiche, dunque, costituivano atti non vincolanti, «che lasciavano spazio alla discrezionalità dell’amministrazione destinataria dell’informativa, cui spettava valutare l’incidenza delle informativa nella specifica procedura di riferimento».
La Corte territoriale, con chiara motivazione, spiegava che «nessun fondamento ha la tesi dell’appellante secondo cui, essendo il recesso riferibile all’informativa del 2010, lo stesso sarebbe stato operato in carenza dei requisiti di legge».
Al contrario – proseguiva la Corte d’appello – «tanto la prima quanto la seconda informativa legittimavano l’ente allo svolgimento di valutazioni discrezionali che nel caso di specie hanno portato Anas a comunicare, come documentato in atti, l’intenzione di recedere dai contratti per cui è causa».
La «seconda informativa atipica» poi risultava «fondata sull’accertamento di elementi che, pur denotando il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità organizzata, non raggiungevano la soglia di gravità prevista dall’art. 4 d.lgs. n. 490/1994 ma che, come sopra evidenziato, pur non avendo efficacia interdittiva automatica, comunque legittimavano una valutazione
autonoma e discrezionale dell’amministrazione destinataria dell’informativa stessa ex art. 10, comma 9, d.P.R. n. 252/1998».
Risultava infondata la censura dell’appellante riferita all’erronea applicazione da parte del giudice di prime cure dell’art. 11, comma 2, d.lgs. n. 252 del 1998, «essendo il recesso di Anas legittimo tanto con riferimento alla prima quanto alla seconda informativa antimafia atipica», con la conseguenza della correttezza della decisione nella parte in cui aveva disposto «il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite».
La richiesta di CTU doveva essere rigettata «avendo COGNOME rinunciato alla consulenza in primo grado non avendo contestato le quantificazioni operate da Anas all’esito della redazione degli stati di consistenza dei lavori effettuati».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, depositando anche memoria scritta.
È rimasta intimata la Anas, nonostante la regolare notifica del ricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la COGNOME deduce la «violazione di legge – violazione o falsa applicazione degli articoli 10 e 11 del d.P.R. n. 252/1998 nonché dell’art. 1septies del decretolegge 629/82, convertito in legge 726/82 – violazione dei principi sottesi alla normativa antimafia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
Per la ricorrente, dunque sarebbe erronea l’affermazione della Corte d’appello per cui «tanto la prima quanto la seconda informativa legittimavano l’ente allo svolgimento di valutazioni discrezionali», in tal modo «parificando la portata delle due informative prefettizie
rese nei confronti di Safab rispettivamente in data 23 novembre 2010 e 21 luglio 2011».
Ad avviso della ricorrente è pacifico «che l’informativa prefettizia in data 23 novembre 2010 avesse natura interdittiva, mentre l’informativa rilasciata in data 21 luglio 2011 , che accompagnava il nullaosta prefettizio, avesse natura di ‘informativa supplementare’ o ‘atipica’.
La diversa natura delle due informative prefettizie implicava conseguenze giuridiche differenti.
Ed infatti, in presenza di un’informativa prefettizia antimafia tipica non residua in capo alla stazione appaltante alcuna possibilità di sindacato nel merito dei presupposti che hanno indotto il prefetto la sua adozione.
Quanto, invece, alle informative atipiche, sussiste uno spazio di discrezionalità dell’amministrazione destinataria dell’informativa.
Di talché, la parificazione degli effetti delle due informative prefettizie da parte della Corte d’appello, nella parte in cui ha ritenuto che entrambe avrebbero legittimato «l’ente allo svolgimento di valutazione discrezionali» costituisce il presupposto logico errato in base al quale si è ritenuto che il recesso operato da RAGIONE_SOCIALE sia stato legittimamente adottato in vigenza dei presupposti di legge, e quindi ai sensi dell’art. 11, comma 2, del d.P.R. n. 252 del 1998.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta «l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, con conseguente vizio di motivazione, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
Ad avviso della ricorrente la Corte d’appello non avrebbe «accerta un fatto decisivo per il giudizio», ossia che il recesso da parte di Anas dai tre contratti di appalto è avvenuto esclusivamente con riferimento «all’informativa interdittiva del 23 novembre 2010 (e
non con riferimento alla nuova certificazione rilasciata il 21 luglio 2011, accompagnata da lettere informativa ex art. 1septies D.L. 629/82)».
Nelle tre note del 25/7/2011 l’ANAS comunicava di aver adottato il provvedimento di recesso a seguito della sentenza del Tar Lazio in data 24/3/2011 che aveva respinto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE per l’annullamento dell’informativa prefettizia del 23/11/2010.
In realtà, Anas aveva acquisito la certificazione del 21/7/2011 solo nell’agosto 2011, dunque circa un mese dopo il recesso, «che pertanto doveva essere ricondotto unicamente all’informativa del 23/11/2010».
La Corte d’appello, invece, «ha aggirato la questione ritenendo che ‘tanto la prima quanto la seconda informativa legittimavano l’ente allo svolgimento di valutazione discrezionali che nel caso di specie hanno portato Anas a comunicare, come documentato in atti, l’intenzione di recedere dai contratti per cui è causa».
In tal modo il giudice d’appello, pur discostandosi dalla decisione del primo giudice, che, in contrasto con le risultanze documentali, aveva ritenuto che recesso di Anas fosse intervenuto sulla base della seconda informativa atipica del 21/7/2011, «si è disinteressato della questione di fatto, e ha deciso la causa prescindendo da essa».
Per la ricorrente, dunque, «l’accertamento che il recesso di Anas è intervenuto sulla base delle informative prefettizie interdittiva del 23 novembre 2010, avrebbe comportato la illiceità del recesso posta in essere da Anas in data 25 luglio 2011», in ragione della circostanza che al momento del recesso detta informativa aveva perso la propria efficacia in ragione della nuova certificazione, favorevole all’impresa, pure se accompagnata da una lettera informativa, in data 21 luglio 2011.
Inoltre, pur avendo la Corte d’appello ritenuto che «la seconda informativa atipica comunque legittimava una valutazione autonoma e discrezionale dell’amministrazione destinataria dell’informativa stessa ex art. 10, comma 9, d.P.R. n. 252/1998», tuttavia «non è seguito l’accertamento del fatto che – effettivamente ed in concreto – il recesso operato da Anas fosse intervenuto all’esito di una propria valutazione discrezionale e non – come in effetti è avvenuto – in via automatica esercitando un potere vincolato».
Pertanto, per la ricorrente, risulta dagli atti e dai documenti che «la circostanza affermata dal giudice d’appello in via di principio, nel concreto non si è verificata».
Deve dunque ritenersi che il recesso contrattuale operato dalla committente sulla base di un’informativa antimafia interdittiva che ha perso la prova validità ed efficacia prima della determinazione di recesso, e dunque in mancanza dei presupposti previsti dalla legge per l’esercizio del relativo potere, costituisce grave inadempimento contrattuale.
In via subordinata, tale recesso deve essere qualificato come unilaterale ex art. 134 del d.lgs. n. 163 2006, anche se nelle more «sia intervenuta una nuova informativa prefettizia di natura c.d. atipica che esige una congrua motivazione».
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione di legge – violazione dell’art. 386 c.p.c – violazione del giudicato sulla giurisdizione, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c)».
Il tribunale di Roma con la sentenza n. 8233 del 2016 ha affermato che i recessi di Anas sono stati esercitati in presenza dei presupposti che li legittimavano, aggiungendo che «tale conclusione, nella misura in cui sottende la qualificazione del recessi contrattuali in esame quali recessi non vincolanti ma discrezionali, non
sovverte le ragioni per le quali la Corte di cassazione ha dichiarato la giurisdizione ordinaria con riferimento alla presente controversia».
La Safab ha censurato tale porzione di motivazione per violazione dell’art. 386 c.p.c., e specificamente per violazione del giudicato sulla giurisdizione.
La Corte d’appello, poi, non avrebbe preso espressamente posizione su tale motivo di gravame ma, avendo confermato la sentenza di primo grado in ordine alla legittimità dei recessi di RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 11, del d.lgs. n. 252/1998, avrebbe implicitamente rigettato la tesi della società appellante.
La Corte di cassazione, però, ad avviso della ricorrente, ha affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario assumendo «sulla base della qualificazione del rapporto dedotto e sulla base degli accertamenti di fatto ritenuti opportuni» che, al momento del recesso, mancava «un provvedimento prefettizio interdittivo o che legittimasse l’esercizio del potere autoritativo».
La Corte di cassazione, dunque, ha ritenuto che il recesso posto in essere da RAGIONE_SOCIALE non rientrava nelle ipotesi previste dall’art. 11, comma 2, del d.P.R. n. 3 252 del 1998, ma il recesso era stato operato da Anas in presenza di un’informazione antimafia favorevole a Safab, tanto che era stata dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione dell’art. 132, 2º comma, n. 4, c.p.c. – motivazione apparente: vizio di motivazione in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Il tribunale ha disposto il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, in applicazione dell’art. 11 del d.P.R. n. 252 del 1998.
La Corte d’appello ha condiviso tale valutazione, senza disporre la CTU richiesta, «avendo COGNOME rinunciato alla consulenza in primo grado e non avendo contestato le quantificazioni operate da Anas all’esito della relazione degli stati di consistenza dei lavori effettuati».
Per la ricorrente si sarebbe in presenza di una motivazione apparente, inidonea ad illustrare le ragioni dell’iter logico seguito dal giudice pervenire alla decisione assunta.
In realtà, mentre Anas non ha mai allegato la mancata contestazione delle quantificazioni da essa operate da parte di Safab, al contrario quest’ultima ha sempre «allegato e provato il fatto contrario».
Quanto alla mancanza di allegazione da parte di RAGIONE_SOCIALE in ordine alla mancata contestazione delle quantificazioni per opera di Safab, la ricorrente riporta uno stralcio della sentenza del tribunale, ove si legge testualmente che RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE si è limitata ad eccepire il difetto di giurisdizione del giudice ordinario ed a chiedere l’accertamento dell’infondatezza della domanda dell’attrice.
Nel giudizio di prime cure, dunque, Anas non ha allegato il fatto della mancata contestazione da parte di Safab delle quantificazioni operate da Anas all’esito della redazione degli stadi consistenza dei lavori.
Allo stesso modo, nella comparsa di costituzione appello di Anas, si fa riferimento allo stato di consistenza dei lavori eseguiti, ma non alla mancata contestazione dello stesso da parte di Safab.
COGNOME ad avviso della ricorrente, ha sempre contestato gli stadi di consistenza dei lavori.
Ciò sarebbe avvenuto già con l’atto di citazione dinanzi al tribunale ove si evidenzia che, proprio con riferimento ai verbali relativi allo stato di consistenza «l’impresa ha posto le proprie osservazioni».
La Safab ha poi ribadito «con riferimento alle singole domande azionate, che esse costituivano oggetto di riserva apposta sullo stato di consistenza relativo al contratto di pertinenza».
Del resto anche nella motivazione della sentenza del tribunale si leggeva che «nelle date del 27.09. e 2.12.2011 erano stati redatti verbali relativi allo stato di consistenza dei lavori realizzati in esecuzione di ciascuno dei tre contratti, da essa sottoscritti con riserva».
A pagina 3 della sentenza della Corte d’appello si leggeva che «i verbali relativi allo stato di consistenza dei lavori per ciascuno dei tre contratti erano stati sottoscritti con riserva da essa RAGIONE_SOCIALE».
Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione di legge: violazione dell’art. 61 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. violazione dell’art. 132, 2º comma, n. 4, c.p.c.: vizio di motivazione in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Sarebbe erronea l’affermazione della Corte d’appello per cui il giudizio di rilevanza del CTU ai fini del decidere riposerebbe sul fatto che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe rinunciato alla consulenza in primo grado.
Il giudizio sulla necessità o utilità di far ricorso a CTU sarebbe sindacabile in sede di legittimità «allorquando la decisione, sia in ordine all’ammissione della consulenza, sia al diniego della stessa, non si adeguatamente motivata in relazione al punto di merito da decidere».
Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione di legge: violazione del principio di non contestazione di cui agli articoli 115 e 167 c.p.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello, dopo aver ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 11 del d.P.R. n. 252 del 1998, a mente del quale all’appaltatore
spetta il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, avrebbe però «rigettato le domande azionate dall’attrice con una motivazione meramente apparente».
In particolare, nell’atto di citazione dinanzi al tribunale la ricorrente ha esposto i fatti posti a fondamento delle proprie domande, principale e subordinata, «fatte anche oggetto delle riserve iscritte in calce agli stati di consistenza redatti con riferimento a ciascuna delle contratti in essere con Anas».
Si è ritenuto che l’importo richiesto dal Safab, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza del tribunale, «sarebbe spettato all’impresa anche ai sensi dell’art. 11, d.P.R. n. 252/1998». Il tribunale ha, invece, rigettato tale domanda, pur in assenza di contestazione di Anas, senza alcuna motivazione senza neppure menzionarla».
In particolare, con riferimento al contratto SS INDIRIZZO, la RAGIONE_SOCIALE ha iscritto la riserva n. 11, intitolata «mancata remunerazione di prestazioni eseguite» per l’importo di euro 587.233,89; in relazione alla riserva n. 12, intitolata «omessa contabilizzazione materiali approvvigionati a piè d’opera» per l’importo di euro 254.405,54.
In relazione al contratto relativo al collegamento viario tra piana di Campo Felice e l’Altipiano delle Rocche, la RAGIONE_SOCIALE ha iscritto la riserva n. 9, intitolata «mancata remunerazione di prestazioni eseguite», per la somma di euro 1.105.267,02; in relazione alla riserva n. 10, intitolata «omessa contabilizzazione materiali approvvigionati a piè opera» la somma era di euro 155.027,79; la riserva n. 12 era poi intitolata «errata contabilizzazione delle categorie a corpo della galleria Serralunga» per un importo di euro 331.959,89.
Con riferimento al contratto per la realizzazione della variante di Portogruaro la RAGIONE_SOCIALE ha iscritto la riserva n. 3, intitolata «mancata remunerazione di prestazioni eseguite» per l’importo di euro 180.531,41.
Anas, dunque, «nulla ha dedotto in merito alle domande sopraindicate, né ha preso posizione sull’eccezione di non contestazione formulata dal Safab».
Con il settimo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione dell’art. 277 c.p.c. (in combinato disposto con l’art. 359 c.p.c.) – violazione dell’art. 112 c.p.c. – violazione dell’art. 132, 2º comma, n. 4 e dell’art. 111 costituzione – omessa motivazione, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare «ciascuna delle domande dell’attrice riconducibili al citato art. 11, comma 2, d.P.R. 252/1998, aventi come contenuto la richiesta di riconoscimento del valore delle opere già eseguite e del rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, motivatamente accogliendole, ovvero motivatamente rigettandole».
Le domande in questione erano le seguenti:
Contratto SS INDIRIZZO la RAGIONE_SOCIALE ha iscritto la riserva n. 11, intitolata «mancata remunerazione di prestazioni eseguite» per l’importo di euro 587.233,89; in relazione alla riserva n. 12, intitolata «omessa contabilizzazione materiali approvvigionati a piè d’opera» per l’importo di euro 254.405,54.
Contratto relativo al collegamento viario tra piana di Campo Felice e l’Altipiano delle Rocche, la RAGIONE_SOCIALE ha iscritto la riserva n. 9, intitolata «mancata remunerazione di prestazioni eseguite», per la somma di euro 1.105.267,02; in relazione alla riserva n. 10, intitolata «omessa contabilizzazione materiali approvvigionati a piè d’opera» la somma era di euro 155.027,79; la riserva n. 12 era poi
intitolata «errata contabilizzazione delle categorie a corpo della galleria Serralunga» per un importo di euro 331.959,89.
Contratto per la realizzazione della variante di Portogruaro la RAGIONE_SOCIALE ha iscritto la riserva n. 3, intitolata «mancata remunerazione di prestazioni eseguite» per l’importo di euro 180.531,41.
In relazione a tali domande oggetto delle riserve, con riferimento a ciascuno dei tre contratti citati, «la RAGIONE_SOCIALE ha formulato specifica istanza di contenuto concreto tradotta in specifico punto delle conclusioni dell’atto d’appello, sulla quale il giudice era tenuto ad emettere una pronunzia motivata di accoglimento di rigetto».
Per la ricorrente, però, «la Corte d’appello – al pari del tribunale – ha rigettato le domande sopra ricapitolate senza esaminarle e senza neppure menzionarle in sentenza omettendo qualsivoglia specifica motivazione».
Tra l’altro, la ricorrente aveva censurato anche la sentenza del tribunale sotto il medesimo profilo denunciando dinanzi alla Corte d’appello che, con riferimento a ciascuna delle domande sopra descritte, «l’importo sarebbe spettato all’impresa anche ai sensi dell’art. 11, d.P.R. n. 252/1998. Di converso il tribunale ha rigettato la domanda senza alcuna motivazione e senza neppure menzionarla».
Il terzo motivo di impugnazione, che va trattato preliminarmente per ragioni di ordine logico, essendo pregiudiziale rispetto all’esame tutti gli altri motivi, è infondato.
8.1. Invero, deve muoversi dal principio giurisprudenziale per cui una volta che la Corte di cassazione ha statuito sulla giurisdizione con sentenze avente efficacia panprocessuale e che il giudizio prosegue, tale decisione non può pregiudicare le questioni che dalla stessa non sono dipendenti. Una volta stabilito a chi spetta alla giurisdizione per la situazione sostanziale fatta valere, resta da
valutare se tale situazione – e quindi il diritto di cui si chiede tutela effettivamente esiste.
L’art. 386 c.p.c. prevede che la decisione sulla giurisdizione non vincola la decisione sul merito e che quindi il giudice è libero di decidere se la domanda è fondata e proponibile o meno (Cass. Sez.U., n. 21592 del 2005).
Anche la Corte costituzionale, con la sentenza n. 77 del 2007 ha chiarito che la decisione sulla giurisdizione non può interferire con il merito demandato al giudice munito di giurisdizione, non potendo vincolare tale giudice quanto al contenuto della decisione.
L’unica deroga si rinviene ove la statuizione sulla giurisdizione sia fondata sulla qualificazione del rapporto dedotto in giudizio e sugli accertamenti di fatto che hanno condotto ad essa; in tal caso vi è una ‘espansione’ del giudicato sulla giurisdizione che è inscindibile dalla qualificazione giuridica del rapporto, divenendo vincolante per il giudice del merito, non potendo essere rimessa in discussione la giurisdizione stessa (Cass., sez. L, 22/3/2010, n. 6850; più recentemente Cass., sez. 1, 20/4/2021, n. 10412; più remote Cass., sez. 1, 27/7/2005, n. 15721; Cass., sez. L, 19/4/1995, n. 4341).
Nella specie, invece, la decisione in ordine alla giurisdizione è avvenuta senza che la qualificazione del rapporto dedotto in giudizio fosse fondata sull’accertamento dei fatti, ma esclusivamente sulla base della prospettazione della società attrice, e quindi in forza del criterio del petitum sostanziale.
Ciò che rileva, ai fini della giurisdizione, è non solo la concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto la causa petendi , ossia l’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed è individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati e dal rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione (Cass., Sez.U., n. 21677 del 2013; Cass., Sez.U., n. 23108 del 2010).
Nel caso in esame, questa Corte, a sezioni unite, con ordinanza n. 1530 del 27/1/2014, ha chiarito che «la RAGIONE_SOCIALE agisce per la risoluzione, per fatto e colpa dell’Anas, dei contratti de quibus e per il risarcimento dei danni, assumendo che, alla data delle comunicazioni di recesso, risultava rilasciata l’informazione antimafia ad essa favorevole».
Questo era, dunque, l’assunto da cui muoveva la società attrice. Ha precisato questa Corte, sul punto, che «la RAGIONE_SOCIALE assume dunque la mancanza dei presupposti per l’esercizio del potere».
Ha rimarcato, quindi, questa Corte che «in siffatta situazione, avuto riguardo al criterio del petitum sostanziale, non può che dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di controversia, attinente all’esecuzione di un contratto di diritto privato, nella quale non viene in questione l’illegittimo esercizio di un potere amministrativo, restando estranea al problema di giurisdizione ogni questione, attinente al merito, circa la fondatezza della prospettazione dell’attrice» (Cass., Sez.U., n. 1530 del 2014).
La Corte d’appello ha, però, respinto il gravame proposto dalla società attrice, dopo aver compiuto un effettivo accertamento dei fatti di causa, dai quali è emerso che la prospettazione della RAGIONE_SOCIALE era infondata, non essendosi verificata la risoluzione del contratto per fatto e colpa dell’Anas, ma esclusivamente a seguito della informazione antimafia interdittiva del prefetto del 23/11/2010 e della successiva informativa supplementare atipica del prefetto del 21/7/2011.
Rilevare che alla base del recesso vi era la seconda informativa atipica, a fronte della dedotta causa petendi , non viola il giudicato in quanto si tratta del rilievo di un fatto impeditivo.
I motivi primo e secondo, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono inammissibili.
Si è, infatti, in presenza di una doppia decisione conforme di merito: le due decisioni si basano sulla medesima ragione di fatto, e cioè che alla base del recesso vi fosse la seconda informativa interdittiva (atipica)
Ciò comporta l’impossibilità, ai sensi dell’art. 348ter c.p.c., di formulare il motivo di ricorso per cassazione per vizio di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c..
9.1. Va premesso un quadro normativo ragionato, tenendo presente che l’istituto della informativa antimafia si muove tra il principio di libertà economica e la tutela della sicurezza pubblica (vedi Corte Cost., sentenza n. 57 del 2020).
Va operata una previa distinzione tra comunicazione antimafia del prefetto ed informazione antimafia.
La distinzione è resa in modo limpido dalla normativa di cui al d.lgs. 6/9/2011, n. 159, ma era ben presente anche nella normativa applicabile ratione temporis , e quindi degli articoli 10 e 11 del d.P.R. 3/6/1998, n. 252.
10.1. L’art. 84, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011 chiarisce infatti che «la documentazione antimafia è costituita dalla comunicazione antimafia e dall’informazione antimafia».
Mentre la comunicazione antimafia «consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67», l’informazione antimafia «consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67, nonché, fatto salvo quanto previsto dall’art. 91, comma 7, nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nel comma 4» (art. 84, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011).
11. Tornando alla normativa applicabile, l’art. 4, comma 1, del d.lgs. 8/8/1994, n. 490, dispone che «le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti di cui all’art. 1, devono acquisire le informazioni di cui al comma 4 prima di stipulare, provare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire le concessioni o erogazioni indicate nell’allegato 3».
Al comma 4 dell’art. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994 si prevede che «il prefetto trasmette alle amministrazioni richiedenti, nel termine massimo di 15 giorni dalla ricezione della richiesta, le informazioni concernenti la sussistenza o meno, a carico di uno dei soggetti indicati nelle lettere d) ed e) dell’allegato 4, delle cause di divieto o di sospensione dei procedimenti indicate nell’allegato 1, nonché le informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate».
Si prevede poi al comma 6 dell’art. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994 che «quando a seguito delle verifiche disposte a norma del comma 4, emergono elementi relative a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni dal prefetto, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni».
Se poi le informazioni attengono a fatti accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all’autorizzazione del subcontratti, «l’amministrazione interessata può revocare le autorizzazioni e le concessioni o recedere dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite».
Quest’ultimo comma dell’art. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994, dunque, attiene proprio alla fattispecie in esame, essendo stati effettuati gli accertamenti dal prefetto dopo la stipulazione dei contratti del 13/11/2007, del 17/7/2008 e del 4/6/2009, quindi in piena fase di esecuzione degli stessi, quando è giunta l’informativa antimafia interdittiva del prefetto del 23/11/2010.
12. L’art. 10 del d.P.R. 3/6/1998, n. 252 (Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazione antimafia), stabilisce che «salvo quanto previsto dall’art. 1, ed in deroga alle disposizioni dell’art. 4 del d.lgs. 8/8/1994, n. 490 le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti di cui all’art. 1, devono acquisire le informazioni di cui al comma 2 del presente articolo, prima di stipulare approvare o autorizzare i contratti e subcontratti».
Al comma 2 dell’art. 10 del d.P.R. n. 252 del 1998 si legge che «quando, a seguito delle verifiche disposte dal prefetto, emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni, non possono stipulare, provare o autorizzare i contratti o subcontratti ».
Di particolare rilievo per questo giudizio è, poi, il comma 8 dell’art. 10 del d.P.R. n. 252 del 1998 che, si sofferma, proprio sulla richiesta di aggiornamento dell’informativa antimafia da parte dell’impresa.
Tale disposizione, dunque, stabilisce che «la prefettura competente estende gli accertamenti pure ai soggetti, residenti nel territorio dello Stato, che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell’impresa e, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito delle informazioni al venir
meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa».
Nella specie, dopo l’informativa interdittiva antimafia del prefetto del 23/11/2010, la società RAGIONE_SOCIALE ha chiesto l’aggiornamento della stessa. Tuttavia, a seguito dell’aggiornamento, è stata inviata l’informativa supplementare atipica in data 21/7/2011.
Altrettanto rilevante è il comma 9 dell’art. 10 del d.P.R. n. 252 del 1998, in quanto citato espressamente nella motivazione della sentenza la Corte d’appello.
Si prevede, infatti, che «le disposizioni dell’art. 1septies del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito con modificazioni dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726 non si applicano alle informazioni previste dal presente articolo, salvo che gli elementi o le altre indicazioni fornite siano rilevanti ai fini delle valutazioni discrezionali ammesse dalla legge».
Si prevede, insomma, che vi sia una possibile valutazione discrezionale da parte dell’amministrazione in ordine alle informative supplementari atipiche.
Ed infatti, l’art. 1septies del decreto-legge 6/9/1982, n. 629, stabilisce che «l’alto commissario può comunicare alle autorità competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni in materia di armi ed esplosivi e per lo svolgimento di attività economiche, nonché di titoli abilitativi alla conduzione di mezzi ed al trasporto di persone o cose, elementi di fatto ed altre indicazioni utili alla valutazione, nell’ambito della discrezionalità ammessa dalla legge, dei requisiti soggettivi richiesti per il rilascio, il rinnovo, la sospensione o la revoca delle licenze, autorizzazioni, concessioni e degli altri titoli menzionati».
È evidente, in questo caso, il riferimento alla discrezionalità dell’amministrazione nella valutazione di tali elementi forniti dall’alto commissario.
Quanto alla giurisprudenza amministrativa che si è pronunciata in ordine alle informative supplementari ed atipiche, si è ritenuto che, a differenza dell’informativa tipica di cui agli art. 84 e 91 del d.lgs. n. 159 del 2011, quella atipica non ha carattere direttamente interdittivo, ma consente all’amministrazione una valutazione discrezionale, cosicché la sua efficacia inibitoria e preclusiva può scaturire soltanto da un ulteriore filtro rappresentato dalla valutazione autonoma e discrezionale e deve essere sostenuta da un’adeguata motivazione, tale da consentire di ricostruire l’iter decisionale seguito (Cons. giust.amm. Sicilia sez. giurisd. 14/1/2019, n. 25; vedi anche Cons- Stato, sez. III, 22/7/2015, n. 3636, con riferimento all’art. 4 comma 10, d.lg. 8 agosto 1994, n. 490, ora tradotto nell’art. 84, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159).
L’effetto interdittivo delle informative antimafia supplementari, dunque, è dipendente da una valutazione discrezionale dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. VI, 20/10/2014, n. 5165; Cons. Stato, sez. V, 7/11/2006, n. 6536; Cons. Stato, sez. VI, 16/4/2003, n. 1979; Cons. Stato., sez. VI; 14/1/2002, n. 149, che segnala natura straordinaria della misura; TAR Campania, sez. I, Napoli, 12/5/2014, n. 2616), a differenza dell’informazione antimafia ordinaria che vincola la pubblica amministrazione ad adottare precisi provvedimenti, non lasciando all’amministrazione alcun margine di apprezzamento, poiché l’effetto inibitorio discende direttamente dalla legge (Cass., Sez.U., 28/11/2008, n. 28345; TAR Campania, sez. I, 26/2/2009, n. 1113).
14. In dottrina, si è evidenziato che l’informativa antimafia non è volta all’accertamento di responsabilità, ma si configura come
forma di massima anticipazione dell’azione di prevenzione inerente alla funzione di polizia e di sicurezza, sulla base di fatti e vicende solo sintomatici ed indiziari (anche Cons. Stato., sez. III, 11/1/2021, n. 383; Cons. Stato, sez. III, 2/11/2020, n. 6740).
Ovviamente non deve essere data la prova dell’effettiva infiltrazione mafiosa, ma solo di elementi tali dai quali è deducibile il tentativo di infiltrazione, secondo l’assioma del «più probabile che non», ogni volta che si possa ritenere tale presenza razionalmente credibile in base ad un complessivo apprezzamento dei fatti nel loro valore sintomatico.
Mentre il d.lgs. n. 490 del 1994 rimetteva totalmente al prefetto l’individuazione di tali elementi sintomatici, l’art. 10, comma 7, del d.P.R. n. 252 del 1998, così come pure l’art. 84, comma 4, del d.lgs. n. 159 del 2011, li hanno, per maggiore garanzia, espressamente elencati.
Sempre in dottrina, si è ritenuto che l’informativa supplementare atipica di cui all’art. 1septies del decreto-legge n. 629 del 1982, trova fondamento nel principio generale di collaborazione reciproca, con correlati obblighi di trasmissione di conoscenze, tra pubbliche istituzioni. Si tratta di atti, fatti e notizie attinenti a possibili collegamenti tra le imprese l’organizzazione mafiosa, privi del carattere di gravità richiesti dagli articoli 90 e seguenti del d.lgs. n. 159 2011 (in precedenza dall’art. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994) per l’adozione di informative interdittive tipiche. Da tali informazioni non scaturiscono automaticamente effetti interdittivi dei rapporti, ma si demanda alla stazione appaltante la potestà di valutazione discrezionale.
Dinanzi a questo panorama normativo e giurisprudenziale, sia il tribunale che la Corte d’appello, con decisione conforme quanto alla motivazione, hanno ritenuto legittimo il recesso dai tre contratti
esercitato dall’Anas attraverso l’informativa antimafia tipica del 23/11/2010, a carattere vincolante, e quella atipica del 21/7/2011, a carattere discrezionale.
16.1. Si è, dunque, in presenza di una doppia decisione conforme di merito, che non consente, ex art. 348ter c.p.c., nella versione all’epoca vigente, di articolare il motivo di ricorso per cassazione per omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
Tanto più che ricorre l’ipotesi della «doppia conforme» -applicabile ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012 – non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice d’appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Cass., sez. 6-2, 9/3/2022, n. 7724).
17. Nella specie, è pacifico che l’Anas ha disposto l’immediata interruzione dei tre contratti in date 13/12/2010, 14/12/2010 e 15/12/2010, dopo aver ricevuto l’informativa antimafia interdittiva del prefetto del 23/11/2010.
È altrettanto pacifico che l’Anas abbia proceduto al recesso dai contratti con provvedimento del 25/7/2011 e che l’informativa supplementare atipica sia stata emessa dal prefetto il 21/7/2011.
Non v’è dubbio che, mentre nel caso di informativa interdittiva antimafia del 23/11/2010 la stazione appaltante si trovava vincolata al recesso, nell’ipotesi dell’informativa supplementare atipica del 21/7/2011, la committente doveva esercitare il proprio potere discrezionale di valutazione.
17.1. Il tribunale, per quanto riportato dalla ricorrente, e per quanto emerge dalla sentenza della Corte d’appello, ha ritenuto che la stazione appaltante correttamente avesse provveduto al recesso dai contratti in virtù della sopraggiunta informativa supplementare atipica del 21/7/2011, che ha preceduto i recessi del 25/7/2011.
La Corte d’appello ha affermato che «tanto la prima quanto la seconda informativa legittimavano l’ente allo svolgimento di valutazioni discrezionali che nel caso di specie hanno portato Anas a comunicare, come documentato in atti, l’intenzione di recedere dai contratti per cui è causa».
Pertanto, a prescindere dalla considerazione che la Corte territoriale ha fatto impropriamente riferimento alla valutazione discrezionale anche in ordine alla prima informativa interdittiva antimafia del 23/11/2010, che invece ha natura vincolante, tuttavia la motivazione della sentenza di primo grado combacia con quella della Corte d’appello, alla stregua dell’interpretazione e della valutazione dei medesimi fatti storici, costituiti dalle due informative antimafia, di diversa tipologia.
18. Peraltro, la Corte territoriale si è anche soffermata sulla valutazione discrezionale dell’informativa antimafia supplementare e atipica, affermando che «la seconda informativa atipica specificamente risultava, poi, fondata sull’accertamento di elementi che, pur denotando il pericolo di collegamenti tra l’impresa della criminalità organizzata, non raggiungevano la soglia di gravità prevista dall’art. 4 d.lgs. n. 490/1994 ma che, come sopra evidenziato, pur non avendo efficacia interdittiva automatica, comunque legittimavano una valutazione autonoma e discrezionale dell’amministrazione destinataria dell’informativa stessa ex art. 10, comma 9, d.P.R. n. 252/1998».
Traspare da tale motivazione, non solo la consapevolezza da parte della Corte di merito della diversa valutazione delle due tipologie di informativa, automatica la prima e discrezionale la seconda, ma anche l’avvenuta valutazione di merito in ordine alla sussistenza di elementi che, pur non raggiungendo la gravità dell’informativa antimafia interdittiva atipica, comunque avevano dato luogo ad un provvedimento discrezionale di recesso dai contratti.
Ed infatti, la Corte d’appello ha aggiunto in motivazione che «per i suddetti motivi, quindi, parimenti infondata risulta la censura dell’appellante riferita alla erronea applicazione da parte del giudice di prime cure dell’art. 11, comma 2, d.lgs. 252/1998, in quanto, essendo il recesso di Anas legittimo tanto con riferimento alla prima quanto alla seconda informativa antimafia atipica, correttamente lo stesso ha ritenuto di disporre ‘il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite».
Trattasi, dunque, di valutazione di pieno merito, che non può essere intaccata in questa sede, con diversa valutazione dei fatti e degli elementi istruttori.
Il quarto ed il quinto motivo di impugnazione, che vanno affrontati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
19.1. Con riferimento alla domanda dell’attrice in ordine alla quantificazione del valore delle opere già eseguite e delle spese sostenute, la Corte d’appello ha rigettato la richiesta di CTU «in quanto priva di rilievo ai fini della decisione, avendo Safab rinunciato alla consulenza in primo grado non avendo contestato le quantificazioni operate da Anas all’esito della relazione degli stati di consistenza dei lavori effettuati».
19.2. Non sussiste il vizio di motivazione apparente, in quanto la motivazione è presente, non solo in senso grafico, ma anche nell’indicazione, seppure sommaria, delle ragioni logico-giuridiche sottese alla decisione adottata, pur se – in tesi – non condivisibili.
19.3. In relazione alla inammissibilità di una CTU meramente esplorativa, che vada a sgravare la parte onerata dall’obbligo di allegazione prova dei fatti dimostrativi del proprio diritto, sussiste un orientamento giurisprudenziale di legittimità del tutto consolidato (Cass., sez. 6-1, 15/12/2017, n. 30218, per cui tale mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, non potendo supplire alla deficienza delle allegazioni o offerte di prova; Cass., sez. 1, 15/9/2017, n. 21487).
Al limite costituito dal divieto per il consulente tecnico d’ufficio di compiere indagini esplorative è consentito derogare quando l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l’ausilio di speciali cognizioni tecniche, essendo, in questo caso, consentito al consulente di acquisire anche ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza (Cass., sez. 1, 11/1/2017, n. 512).
Si è affermato infatti che la c.t.u. costituisce un mezzo di ausilio per il giudice, volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti, la cui interpretazione richiede nozioni tecnicoscientifiche, e non un mezzo di soccorso volto a sopperire all’inerzia delle parti; essa, tuttavia può eccezionalmente costituire fonte oggettiva di prova, per accertare quei fatti rilevabili unicamente con l’ausilio di un perito. Ne consegue che, qualora la c.t.u. sia richiesta per acquisire documentazione che la parte avrebbe potuto produrre,
l’ammissione da parte del giudice comporterebbe lo snaturamento della funzione assegnata dal codice a tale istituto e la violazione del giusto processo, presidiato dall’art. 111 Cost., sotto il profilo della posizione paritaria delle parti e della ragionevole durata (Cass., sez. 1, 15/9/2017, n. 21487; Cass., sez. 1, 10/9/2013, n. 20695; Cass., sez. 3, 19/4/2011, n. 8989).
20. Il sesto motivo è inammissibile.
Infatti, la ricorrente, pur avendo riportato la comparsa di costituzione in appello dell’Anas, non ha però riportato né trascritto la comparsa di costituzione in primo grado dell’Anas, sicché non è possibile comprendere se, a fronte delle specifiche deduzioni dell’attrice contenute nell’atto di citazione, l’Anas abbia contestato in modo specifico le stesse, ai sensi dell’art. 115, secondo comma, c.p.c.
È fondato, invece, il settimo motivo di impugnazione.
21.1. Effettivamente la società attrice ha ritualmente trascritto il contenuto delle domande dell’atto di citazione, indicando tutte le specifiche contestazioni avanzate dalla RAGIONE_SOCIALE in occasione del verbale di consistenza, con apposizione di specifiche riserve.
In particolare, risultano apposte, in relazione al contratto relativo alla INDIRIZZO le riserve n. 11, per «mancata remunerazione di prestazioni eseguite» e la n. 12 per «omessa contabilizzazione materiali approvvigionati piè d’opera».
Allo stesso modo, risultano apposte, con riferimento al contratto relativo al collegamento viario tra la piana di Campo Felice l’Altipiano delle Rocche, le riserve n. 9 per «mancata remunerazione prestazioni eseguite», 10 per «omessa contabilizzazione materiali approvvigionati a piè d’opera» e 12.
Con riguardo al contratto per la realizzazione della variante di Portogruaro è stata iscritta alla riserva n. 3 per «mancata remunerazione di prestazioni eseguite».
In ordine alle domande oggetto delle riserve sopraindicate la RAGIONE_SOCIALE ha presentato specifiche istanze, ribadite anche in appello.
La Corte d’appello non ha provveduto su tali domande, in violazione dell’art. 112 c.p.c., senza spendere alcuna parola per respingerle.
La sentenza deve, quindi, essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa