Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14505 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14505 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13625/2021 proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e COGNOME
difesa dall’AVV_NOTAIO (EMAIL);
– ricorrente –
contro
NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO.to NOME COGNOME (EMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3070/2020 della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA, depositata il 22/12/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/4/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 22/12/2020, la Corte d’appello di Venezia ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha dichiarato inefficace il contratto di sublocazione tra la RAGIONE_SOCIALE (in qualità di sublocatrice) e NOME (in qualità di subconduttrice), con la conseguente condanna della RAGIONE_SOCIALE alla restituzione, in favore della NOME, di quanto ricevuto a titolo di deposito cauzionale;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva evidenziato l’inefficacia del principale contratto di locazione originariamente intercorso tra la società proprietaria dell’immobile oggetto di causa e la RAGIONE_SOCIALE, atteso che tale contratto era stato trascritto nei registri immobiliari successivamente all’atto di pignoramento ad esito del quale la proprietà dell’immobile era pervenuta a un soggetto terzo (tale COGNOME) il quale aveva manifestato la propria volontà di non proseguire nel rapporto;
conseguentemente, venuto meno il titolo giuridico a fondamento della legittimazione della RAGIONE_SOCIALE a pretendere alcunché nei confronti di NOME COGNOME, la società sublocatrice doveva ritenersi tenuta alla restituzione di quanto percepito a titolo di deposito cauzionale, non avendo manifestato alcuna contestazione in ordine alle condizioni dell’immobile goduto dalla subconduttrice;
avverso la sentenza d’appello, la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione;
NOME resiste con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, la società ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia in relazione al motivo dell’appello riguardante la proponibilità dell’eccezione di
inefficacia/inopponibilità del contratto di locazione principale (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c.), avendo la corte territoriale trascurato di pronunciarsi su una questione di importanza preliminare ed assorbente, più volte sollevata dalla società istante nei gradi di merito, concernente la proponibilità, da parte della NOME, dell’eccezione relativa all’inefficacia/inopponibilità del contratto di locazione principale, essendo la NOME estranea e dunque terza (e non parte) rispetto a tale contratto, con la conseguenza che solamente il nuovo proprietario dell’immobile (tale COGNOME, oggi locatore principale), avrebbe potuto eccepire tale inopponibilità nei suoi confronti;
ciò posto, non essendo il COGNOME parte del presente giudizio, del tutto fondatamente RAGIONE_SOCIALE (conduttrice principale e sublocatrice) avrebbe affermato di non accettare il contraddittorio relativamente ad eccezioni sollevate senza titolo dalla COGNOME, in considerazione della relativa qualità di mera sub-conduttrice, terza rispetto al contratto di locazione principale;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi inconfigurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa ad una prospettata tesi difensiva) o di un ‘ eccezione di nullità (ritualmente sollevata o sollevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise implicitamente; peraltro, il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale, non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 cod.
proc. civ., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (Sez. 1, sentenza n. 7406 del 28/03/2014, Rv. 630315 -01; cfr. altresì Sez. 2, sentenza n. 13649 del 24/06/2005, Rv. 582099 -01; Sez. 1, sentenza n. 11844 del 19/05/2006, Rv. 589393 -01; Sez. 1, sentenza n. 7406 del 28/03/2014, Rv. 630315 -01);
nel caso di specie, una volta rilevata l’inefficacia del contratto di locazione principale, in ragione dell’inopponibilità dello stesso al nuovo proprietario che aveva trascritto il proprio pignoramento anteriormente alla trascrizione del contratto di locazione invocato da RAGIONE_SOCIALE a fondamento della domanda proposta in questo giudizio, incombeva su quest’ultima l’onere di prospettare in vizio (proprio o derivato) della decisione per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in considerazione del carattere eventualmente errato della soluzione implicitamente data dal giudice d’appello alla questione relativa all’inopponibilità del contratto di locazione originario;
a tanto non avendo provveduta l’odierna società ricorrente, la censura in esame deve ritenersi priva di fondamento;
con il secondo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1175 e 1372 c.c. (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale -dopo aver correttamente accertato che il COGNOME decise volontariamente di subentrare nel contratto di locazione principale (rinunciando a far valere l’art. 2923, co. 2, c.c.), salvo poi cambiare idea in seguito -erroneamente omesso di rilevare l’inefficacia del pentimento del COGNOME, siccome manifestato in violazione dell’art. 1372 c.c., ai sensi del quale, una volta concluso un contratto, lo stesso può essere risolto unicamente con il mutuo consenso delle parti contraenti;
sotto altro profilo, la corte territoriale avrebbe trascurato la violazione, da parte del COGNOME, dell’art. 1175 c.c., per essersi
quest’ultimo scorrettamente svincolato dall’efficacia di un contratto di locazione dopo aver espressamente manifestato la propria volontà di proseguirlo;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la censura in esame risulti fondata sul presupposto in forza del quale il COGNOME, attraverso la sua preliminare manifestazione di volontà di subentrare nel contratto di locazione con RAGIONE_SOCIALE (di cui alla pag. 10 della sentenza impugnata), avrebbe sostanzialmente manifestato una volontà negoziale vincolante vòlta alla prosecuzione del rapporto di locazione: una volontà negoziale che, in tesi, non avrebbe potuto essere revocata dalla successiva manifestazione di volontà di escludere la prosecuzione del rapporto locativo;
in relazione a tale vicenda, tuttavia, la corte territoriale ha ritenuto di condurre una lettura interpretativa completamente diversa (con particolare riguardo alla ricostruzione del contenuto dell’effettiva volontà negoziale del COGNOME); una lettura interpretativa che il giudice a quo ha desunto dalla medesima documentazione richiamata dalla ricorrente, affermando che la congiunta valutazione delle due dichiarazioni (la prima affermativa e la seconda negativa) imponesse di ritenere (‘senza alcun dubbio interpretativo’: cfr. pag. 10 della sentenza impugnata) che la volontà del proprietario fosse quella ‘di considerare cessato il contratto di locazione in essere RAGIONE_SOCIALE‘ (pag. 10 della sentenza impugnata);
ferme tali premesse, là dove l’odierna società ricorrente avesse inteso contestare la legittimità dell’ interpretazione della volontà del COGNOME fatta propria dalla corte territoriale, avrebbe dovuto orientare la propria censura attraverso la descrizione del modo mediante il quale il giudice d’appello (sulla scorta di quanto affermato
dal giudice di primo grado) si sarebbe sottratta all’applicazione dei canoni legali di ermeneutica negoziale;
la mancata impostazione della censura in esame secondo tale prospettiva vale a rendere inammissibile la censura in esame, risolvendosi la stessa in una sostanziale proposta di rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove, secondo un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per falsa applicazione dell’art. 2923 c.c. (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di considerare che il COGNOME, là dove avesse voluto avvalersi dell’art. 2923, co. 2, c.c. (nel caso in cui non vi avesse rinunciato), avrebbe dovuto esperire un’apposita azione giudiziale tesa all’accertamento dei relativi presupposti, mentre, nel caso di specie, tale azione giudiziaria non è mai stata intrapresa, essendo il COGNOME rimasto estraneo al presente giudizio ed avendo altresì espressamente rinunciato a far valere tale suo diritto, come documentato in atti e riconosciuto nella sentenza impugnata;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come la doglianza in esame risulti basata sul presupposto in forza del quale l’assegnatario di un immobile in sede esecutiva, al fine di far valere l’inopponibilità a sé di un contratto di locazione trascritto posteriormente alla trascrizione dell’atto di pignoramento sull’immobile ottenuto, avrebbe l’onere di agire in giudizio per accertare detta inopponibilità, pena la persistente opponibilità di tale contratto di locazione;
una simile tesi deve ritenersi, tuttavia, del tutto priva di fondamento giuridico, dovendo escludersi l’esistenza di alcun obbligo di fonte normativa vòlto ad imporre tale preliminare onere di iniziativa giudiziaria in capo a ll’assegnatario in sede esecutiva, così come del
tutto priva di fondamento deve ritenersi l’affermazione secondo cui il COGNOME avrebbe espressamente rinunciato a far valere il suo diritto all’inopponibilità del contratto di locazione (‘come documentato in atti’), avendo la corte territoriale piuttosto interpretato la documentazione richiamata dall’odierna ricorrente nel senso esattamente contrario, ossia ravvisando l’intenzione del COGNOME di considerare definitivamente cessato il contratto di locazione con RAGIONE_SOCIALE;
con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale disatteso l’appello proposto dall’odierna società istante, in relazione al punto concernente la restituzione del deposito cauzionale, ritenendo erroneamente che RAGIONE_SOCIALE non avesse allegato l’esistenza di pendenze numerarie che legittimassero la ritenzione di tale cauzione, trascurando la valutazione dell’avvenuta richiesta di ingiunzione di pagamento dei canoni insoluti dalla RAGIONE_SOCIALE nonché il valore dell’arredamento dell’immobile esattamente quantificato in un documento proAVV_NOTAIOo dall’odierna istante e mai contestato da controparte;
il motivo è inammissibile;
al riguardo, osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 348ter c.p.c., nel caso di una doppia decisione conforme di merito (ossia di due decisioni di merito, di primo e di secondo grado, fondate sulle medesime premesse di fatto, come nel caso di specie), non è consentita la proposizione del ricorso per cassazione attraverso l’evocazione del vizio di cui all’articolo 360 n. 5 c.p.c.;
da tale premessa deriva l’inammissibilità della censura in esame, avendo la ricorrente evocato formalmente il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. in presenza di una duplice decisione di merito di contenuto conforme in ordine alla risoluzione delle questioni di fatto affrontate;
sulla base di quanto precede, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 1.900,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione