Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1325 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1325 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25297/2022 R.G. proposto da COMUNE DI ARZACHENA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata: EMAIL;
-ricorrente e controricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE NORD EST SARDEGNA, in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato il seguente indirizzo di posta elettronica certificata: EMAIL
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, n. 253/22, depositata l’8 agosto 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 settembre 2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 26 novembre 2013, il Tribunale di Tempio Pausania a) rigettò la domanda di pagamento dell’indennizzo di cui all’art. 1671 cod. civ. proposta dal C.I.RAGIONE_SOCIALE Provinciale Nord Est Sardegna nei confronti del Comune di Arzachena, in relazione al recesso da quest’ultimo esercitato dal contratto di appalto stipulato il 2 luglio 2003, avente ad oggetto il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani e di gestione del ciclo dei rifiuti degli abitati di Cannigione, La Conia, Baia Sardinia e Liscia di Vacca, e b) dichiarò inammissibile la domanda di riconoscimento dell’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento proposta in via subordinata, c) condannando il Consorzio alla restituzione della somma di Euro 1.009.682,33, oltre interessi, versata dal Comune in esecuzione dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 186quater cod. proc. civ. nel corso del giudizio.
A fondamento della decisione, il Tribunale affermò la spettanza della controversia alla giurisdizione del Giudice ordinario, ma ritenne che il Consorzio non avesse interesse ad impugnare l’atto di recesso, poiché con sentenza del 6 febbraio 2008, n. 124, passata in giudicato, il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna aveva annullato gli atti di affidamento del servizio, per violazione dell’art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, con conseguente inefficacia del contratto ex tunc .
L’impugnazione proposta dal Consorzio fu accolta dalla Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, che con sentenza del 29 febbraio 2016, n. 87 dichiarò il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario in ordine alla domanda proposta dal Consorzio.
Avverso la predetta sentenza il Comune propose ricorso per cassazione, accolto con sentenza del 10 dicembre 2020, n. 28179, con cui questa Corte, a Sezioni Unite, riconobbe la spettanza della giurisdizione al Giudice ordinario, dando atto del giudicato esterno formatosi in ordine alla qualificazione del rapporto per effetto della sentenza del 12 ottobre 2017, n. 385, con cui, in un altro giudizio avente ad oggetto il medesimo rapporto, la Corte
d’appello di Cagliari aveva inquadrato nell’appalto di servizi il contratto stipulato tra le parti, ed escludendo quindi la configurabilità di un accordo tra Pubbliche Amministrazioni.
4. La causa è stata pertanto riassunta dinanzi alla Corte d’appello, che con sentenza dell’8 agosto 2022, n. 253, ha accolto l’appello proposto dal Consorzio, condannando il Comune al pagamento della somma di Euro 876.735,83, oltre interessi legali con decorrenza dalla data del recesso sulla somma rivalutata anno per anno, e interessi legali dalla data della sentenza.
A fondamento della decisione, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che il giudicato formatosi in ordine alla qualificazione del rapporto come appalto di servizi prevalesse, in quanto successivo, su quello formatosi a seguito dell’annullamento degli atti di affidamento del servizio, escludendo pertanto la possibilità di sostenere l’inefficacia del contratto. Ha aggiunto che con la sentenza del 2017 erano state riconosciute al Comune le penali previste dall’art. 29 del capitolato d’appalto, in tal modo riconoscendosi che l’inefficacia del contratto non aveva pregiudicato le posizioni giuridiche sorte medio tempore in base allo stesso, ed escludendosene quindi l’inefficacia ex tunc . Ha ritenuto quindi irrilevante stabilire la portata della sentenza n. 124/08, nella parte in cui aveva fatto salve le istanze risarcitorie eventualmente derivanti dalle attività esecutive poste in essere, e, rilevato che con atto del 26 settembre 2006 il Comune aveva esercitato il diritto di recesso previsto dall’art. 31 del capitolato, ha concluso per la spettanza al Consorzio dell’indennizzo di cui all’art. 1671 cod. civ.
Premesso poi che il c.t.u. nominato nel corso del giudizio aveva calcolato le spese sostenute dal Consorzio per l’acquisto dei macchinari e dei beni strumentali e per il pagamento delle retribuzioni, nonché il mancato guadagno, escludendo le spese non riferibili univocamente a servizi resi in favore del Comune, ha ritenuto che i costi non ammortizzati al momento del recesso non potessero essere quantificati in Euro 1.010.343,28, in virtù del principio di non contestazione, essendo la documentazione assistita da una presunzione di legittimità e veridicità, in quanto riferita ad un ente pubblico, ed avendo il Comune contestato specificamente l’importo richiesto. Ha ritenuto non dirimenti le prove testimoniali assunte in primo grado, in quanto generi-
che, e non dovuti i costi per l’assunzione e la formazione del personale, essendo stati documentati solo i costi sostenuti per retribuzioni relative all’attività svolta prima del recesso.
Avverso la predetta sentenza il Comune ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, illustrati anche con memoria. Il Consorzio ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale in parte condizionato, articolato in otto motivi ed anch’esso illustrato con memoria, cui il Comune ha resistito a sua volta con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, il Comune denuncia la violazione dell’art. 2909 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver attribuito efficacia di giudicato esterno alla sentenza della Corte d’appello n. 385 del 2017, senza considerare che la stessa riguardava una controversia caratterizzata da un petitum e una causa petendi diversi, in quanto avente ad oggetto il pagamento del corrispettivo delle prestazioni rese in esecuzione del contratto di appalto, previa riduzione delle penali applicate dal Comune, e fondata sull’esatto adempimento del contratto.
Con il secondo motivo, il ricorrente insiste sulla violazione e la falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver affermato la prevalenza del giudicato derivante dalla sentenza n. 385 del 2017 su quello derivante dalla sentenza del Tar Sardegna n. 124 del 2008, senza considerare che quest’ultima non faceva salvo il diritto al pagamento del corrispettivo delle prestazioni rese medio tempore , ma le istanze risarcitorie connesse alle attività esecutive poste in essere nel periodo di vigenza del contratto, tra le quali non poteva essere incluso l’indennizzo di cui all’art. 1671 cod. civ., giacché a seguito dell’annullamento degli atti di affidamento il rapporto negoziale era degradato a mero rapporto di fatto. Aggiunge che il giudicato formatosi in ordine all’inefficacia del contratto era stato riconosciuto dalla stessa sentenza n. 385 del 2017, la quale aveva escluso la possibilità di fondare sul contratto la domanda di riconoscimento dell’indennizzo.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ.,
osservando che, nel ricollegare l’efficacia del contratto alla diversa qualificazione giuridica del rapporto, la Corte territoriale non ha considerato che la sentenza n. 385 del 2017 aveva ritenuto il rapporto affetto non già da nullità, ma da inefficacia, per effetto della sentenza amministrativa. Premesso che, proprio per tale ragione, la domanda di riconoscimento dell’indennizzo avrebbe dovuto essere rigettata, sostiene che l’affermazione dell’efficacia del contratto non risultava incompatibile con la qualificazione del rapporto come appalto di servizi, come riconosciuto anche dalla sentenza n. 385 del 2017.
Con il quarto motivo, il ricorrente insiste sulla violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., ribadendo che il riconoscimento dell’indennizzo di cui all’art. 1671 cod. civ. si pone immotivatamente in contrasto con l’affermata inefficacia del contratto. Aggiunge che, anche a voler ritenere che la sentenza impugnata abbia inteso riconoscere la sopravvenuta inefficacia del contratto, conformemente alla sentenza n. 385 del 2017, la tesi in tal modo sostenuta risulterebbe contraddittoria, fondandosi sul richiamo a precedenti del Giudice amministrativo che, in riferimento alla caducazione automatica del contratto per effetto dell’annullamento degli atti amministrativi a monte, hanno fatto salve le situazioni soggettive consolidate, e a precedenti del Giudice ordinario che hanno affermato l’operatività ex tunc della predetta caducazione.
Con il primo motivo del ricorso incidentale, proposto per l’ipotesi di accoglimento del ricorso principale, il Consorzio denuncia a sua volta la violazione dell’art. 2909 cod. civ., rilevando che, nell’interpretazione del giudicato costituito dalla sentenza n. 124 del 2008, la sentenza impugnata non ha considerato che, facendo salve le azioni risarcitorie, il Giudice amministrativo aveva inteso escludere dall’inefficacia del contratto tutte le azioni volte a garantire il riequilibrio patrimoniale alterato dall’esecuzione della prestazione.
Con il secondo motivo, anch’esso condizionato, il controricorrente deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 1671 cod. civ., osservando che, anche a voler escludere il vincolo del giudicato, la sentenza impugnata avrebbe dovuto procedere alla riqualificazione della domanda, da esso sollecitata in via subordinata, in modo tale da tenere indenne esso controricorrente dal pregiudizio patrimoniale cagionato dall’esecuzione della pre-
stazione, indipendentemente dall’applicazione del contratto.
Con il terzo motivo, il Consorzio lamenta, in via ancor più gradata, la violazione degli artt. 112 e 183 cod. proc. civ. e dell’art. 2041 cod. civ., rilevando che la sentenza impugnata ha omesso di pronunciare in ordine al motivo di gravame proposto da esso controricorrente in ordine alla dichiarazione d’inammissibilità della domanda subordinata di riconoscimento dello indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, avanzata nella prima memoria di cui all’art. 183 cod. proc. civ., e fondata sui medesimi fatti e le medesime prove dedotti a sostegno della domanda di pagamento del corrispettivo.
Con il quarto motivo, il controricorrente denuncia la violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost. e dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., per apparenza e contraddittorietà della motivazione, osservando che, nel procedere alla liquidazione dell’indennizzo, la sentenza impugnata ha escluso i costi risultanti da fatture non riferibili specificamente al cantiere di Arzachena, in virtù del mero richiamo alla relazione del c.t.u., il quale si era limitato ad indicarne l’importo complessivo. Aggiunge che la Corte territoriale ha escluso il costo della manodopera relativo all’attività lavorativa svolta prima del recesso, senza indicarne le ragioni.
Con il quinto motivo, il controricorrente deduce la violazione degli artt. 115, 116, 166, 167 e 183 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto non provata la riferibilità dei costi sostenuti per l’esecuzione della prestazione al cantiere di Arzachena, senza tenere conto della natura fattuale e non valutativa di tale elemento, dell’avvenuto deposito dell’intera contabilità relativa al cantiere e della genericità della contestazione sollevata al riguardo dal Comune.
Con il sesto motivo, il Consorzio lamenta la violazione degli artt. 61, 116, 191 e 194 cod. proc. civ., degli artt. 2697-2721 cod. civ., dello art. 111, sesto comma, Cost. e dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., osservando che, ai fini dell’esclusione di determinati costi dall’indennizzo, la sentenza impugnata ha richiamato la relazione del c.t.u., la quale non costituisce mezzo di prova, trascurando invece le risultanze della prova testimoniale, riguardanti proprio la riferibilità dei costi all’esecuzione della prestazione contrattuale.
Con il settimo motivo, il controricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per non avere tenuto conto del controllo svolto dagli uffici del Consorzio in ordine alla tenuta della contabilità di cantiere, non contestato dalla difesa del Comune e provato mediante la produzione di documenti e la deduzione di prova testimoniale.
Con l’ottavo motivo, il controricorrente deduce la violazione degli artt. 91, 92 e 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. e dell’art. 111, sesto comma, Cost., per apparenza della motivazione, censurando la sentenza impugnata per aver disposto la compensazione delle spese di tutti i gradi del giudizio, per ragioni non riconducibili all’art. 92 cit., e per aver omesso qualsiasi motivazione in ordine al regolamento delle spese del giudizio di legittimità, nel quale esso Consorzio era risultato totalmente vittorioso.
Il primo motivo del ricorso principale, riguardante il riconoscimento dell’efficacia di giudicato esterno della sentenza n. 385 del 2017 della Corte d’appello, è inammissibile.
La sussistenza dei presupposti necessari per il riconoscimento della predetta efficacia non può essere infatti rimessa in discussione in questa sede, essendosi al riguardo formato il giudicato interno, per effetto della sentenza n. 28179 del 2020, con cui questa Corte, proprio in virtù di tale efficacia, affermò la riconducibilità della controversia in esame alla giurisdizione ordinaria, osservando che, in quanto attinente al pagamento dell’indennizzo di cui all’art. 1671 cod. civ., la domanda proposta nel presente giudizio costituiva una domanda ex contractu , collegata al recesso del Comune da una convenzione ormai definitivamente qualificata come appalto di servizi dalla sentenza n. 385 del 2017.
In tema di giudicato esterno, questa Corte ha d’altronde affermato ripetutamente che, ove due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sen-
tenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (cfr. Cass., Sez. III, 22/03/2024, n. 7834; 24/01/2024, n. 2387; 21/11/2023, n. 32370). Nessun rilievo può dunque assumere, nel caso di specie, la circostanza, fatta valere dal ricorrente, che la domanda sulla quale ha pronunciato la sentenza n. 385 del 2017 avesse ad oggetto non già il riconoscimento dell’indennizzo di cui all’art. 1671 cod. civ., bensì il pagamento del corrispettivo delle prestazioni rese in esecuzione del contratto di appalto, trattandosi di una pretesa fondata sul medesimo rapporto allegato a sostegno di quella in esame, il cui accoglimento implicava la soluzione di questioni di fatto e di diritto almeno in parte comuni al presente giudizio.
14. E’ invece fondato il secondo motivo, riflettente la violazione del giudicato esterno formatosi in ordine all’inefficacia del contratto di appalto, per effetto della sentenza n. 385 del 2017, mentre sono infondati i primi due motivi del ricorso incidentale condizionato, da esaminarsi congiuntamente ad esso, in quanto aventi anch’essi ad oggetto la violazione del giudicato esterno, in riferimento alla sentenza del Tar Sardegna n. 124 del 2008.
Non può infatti condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che il giudicato formatosi in ordine alla qualificazione giuridica del rapporto come appalto di servizi, per effetto della sentenza n. 385 del 2017, prevalesse su quello relativo all’inefficacia del medesimo contratto per annullamento degli atti di affidamento diretto del servizio, costituito dalla sentenza del Tar Sardegna n. 124 del 2008, presupponendo quest’ultimo una qualificazione del rapporto del tutto diversa, con la conseguenza che, dovendo escludersi l’inefficacia ex tunc del contratto, non solo il Comune era tenuto al pagamento delle penali previste dall’art. 29 capitolato d’appalto, come stabilito dalla sentenza n. 385 del 2017, ma doveva riconoscersi il diritto del CIPNES anche al pagamento dell’indennizzo di cui all’art. 1671 cod. civ., previsto dall’art. 31 del medesimo capitolato per l’ipotesi di esercizio della facoltà di recesso da parte del Comune.
La qualificazione del rapporto intercorso tra le parti come appalto, anziché come accordo tra Pubbliche Amministrazioni, risultante dalla sentenza n. 385
del 2017, ritenuta prevalente da questa Corte con la sentenza n. 28179 del 2020, non può considerarsi infatti incompatibile con la dichiarazione d’inefficacia del contratto, in conseguenza dell’annullamento degli atti di affidamento del servizio, disposto dal Tar con la sentenza n. 124 del 2008, per violazione dell’art. 113, comma quattordicesimo, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata, la sentenza n. 385 del 2017 non aveva affatto ritenuto che l’annullamento degli atti di affidamento comportasse l’inefficacia ex nunc del contratto, ma aveva richiamato l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo cui l’annullamento degli atti di affidamento comporta automaticamente l’inefficacia successiva del contratto, la quale, «al pari della nullità successiva, agisce retroattivamente, ma differentemente dalla seconda incontra il duplice limite delle situazioni soggettive che si siano già consolidate in capo ai terzi fino alla domanda volta a far dichia rare l’inefficacia e delle prestazioni già eseguite nei contratti di durata In ordine alle conseguenze derivanti dall’inefficacia successiva, va precisato che essa non estende i suoi effetti sulle prestazioni medio tempore eseguite» (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28/05/2004, n. 12629 ; nel medesimo senso, v. anche, successivamente, Cons. Stato, Sez. VI, 4/04/ 2007, n. 1523). Affermare che l’inefficacia successiva del contratto non esclude il diritto dell’appaltatore al pagamento del corrispettivo delle prestazioni già eseguite non equivale d’altronde in alcun modo a sostenere che il contratto debba trovare integralmente applicazione, ed in particolare che in caso di recesso del committente l’appaltatore abbia diritto all’indennizzo di cui all’art. 1671 cod. civ., giacché quest’ultimo, oltre a presupporre l’operatività del contratto, non comprende solo l’importo delle spese sostenute e l’equivalente dei lavori eseguiti, ma anche il mancato guadagno, che non è commisurato alle prestazioni rese, ma all’utile netto conseguibile mediante l’esecuzione del contratto, da calcolarsi in base alla differenza tra il prezzo globale pattuito e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione dell’intera opera commissionata (cfr. Cass., Sez. II, 17/07/ 2020, n. 15304; 5/04/2017, n. 8853; 6/06/2012, n. 9132).
Sotto tale profilo, deve anzi escludersi la sussistenza di qualsiasi contrasto tra la sentenza della Corte d’appello n. 385 del 2017 e la sentenza del Tar
n. 124 del 2008, poiché la stessa, nell’affermare che all’illegittimità degli atti di affidamento diretto doveva seguire la declaratoria d’inefficacia del contratto ed il venir meno dell’interesse ad impugnare l’atto di recesso, aveva fatto espressamente salve «le istanze risarcitorie che potranno essere eventualmente spiegate in relazione alle attività esecutive degli impegni contrattuali medio tempore poste in essere», senza menzionare in alcun modo il diritto all’indennizzo. Era stata la stessa Corte territoriale a rimarcarlo nella sentenza n. 385 del 2017, astenendosi però dal pronunciare in ordine al riconoscimento dell’indennizzo, in virtù del rilievo che la relativa domanda di pagamento era stata avanzata nel giudizio conclusosi con la sentenza n. 87 del 2016 (successivamente cassata da questa Corte con la sentenza n. 28179 del 2020), e non esaminata, in quanto ritenuta assorbita, in quella sede, dall’affermazione della natura non privatistica dello strumento utilizzato dal Comune per sciogliersi dal contratto. In proposito, la predetta sentenza aveva peraltro richiamato incidentalmente anche un precedente di legittimità in tema di appalto di opere pubbliche (cfr. Cass., Sez. I, 21/11/2011, n. 24438), il quale aveva affermato che la speciale indennità prevista in favore dell’appaltatore dall’art. 345 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, per l’ipotesi di recesso dell’ente committente, presuppone l’esistenza di un contratto di appalto valido ed operante, e non è pertanto dovuta allorché l’aggiudicazione del contratto sia stata annullata dal Giudice amministrativo, stante il carattere retroattivo dell’annullamento, il quale comporta che l’appalto debba considerarsi come mai venuto ad esistenza (nello stesso senso, v. anche, successivamente, Cass., Sez. I, 8/02/2016, n. 2408).
Ai fini dell’individuazione della regula juris applicabile nel caso in esame, non è pertanto necessario disporre il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 TFUE, come richiesto dalla difesa del Comune nella memoria di cui all’art. 380bis .1 cod. proc. civ., nella quale si fa valere la contrarietà del giudicato derivante dalla sentenza n. 385 del 2017 e della stessa sentenza impugnata alla direttiva comunitaria 2007/66/CE, osservandosi che, per effetto dell’esclusione dell’inefficacia automatica del contratto, in caso di annullamento degli atti di affidamento del servizio, e dell’attribuzione al Giudice amministrativo del potere di decidere sulla sorte del con-
tratto di appalto, se stipulato, nonché della subordinazione della conservazione degli effetti del contratto alla sussistenza di esigenze imperative connesse a un interesse generale, la prevalenza avrebbe dovuto essere assegnata al giudicato derivante dalla sentenza del Tar n. 124 del 2008, che aveva affermato l’inefficacia ex tunc del contratto di appalto, con il conseguente travolgimento totale dei relativi effetti. E’ infatti sufficiente rilevare che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, la prevalenza del giudicato derivante dalla sentenza n. 385 del 2017 su quello costituito dalla sentenza del Tar n. 124 del 2008, pur imponendo la qualificazione giuridica del rapporto come appalto, non escludeva l’inefficacia successiva del contratto, riconosciuta anzi da entrambe le sentenze, le quali erano inoltre pervenute alle medesime conclusioni con riguardo alla sorte delle prestazioni già eseguite dall’appaltatore, lasciando invece impregiudicata la questione riguardante il riconoscimento dell’indennizzo di cui all’art. 1671 cod. civ., la quale avrebbe dovuto tuttavia essere risolta tenendo conto della diversità di tale indennizzo dal corrispettivo delle prestazioni già eseguite, nonché della portata retroattiva dell’inefficacia del contratto di appalto, concordemente affermata dalle predette sentenze.
Restano conseguentemente assorbiti il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, riflettenti la contraddittorietà, l’illogicità e l’incomprensibilità della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che la prevalenza del giudicato in ordine alla qualificazione giuridica del rapporto, derivante dalla sentenza della Corte d’appello n. 385 del 2017, comportasse l’inefficacia ex nunc del contratto di appalto.
L’accoglimento del ricorso, nella parte riguardante il riconoscimento del diritto all’indennizzo, determinando la caducazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 336, primo comma, cod. proc. civ., anche nella parte in cui ha proceduto alla liquidazione dell’importo dovuto al predetto titolo ed al regolamento delle spese processuali, comporta l’assorbimento anche dei motivi dal quarto all’ottavo del ricorso incidentale, aventi ad oggetto l’esclusione di determinati costi, ritenuti non provati dalla Corte territoriale, e la compensazione delle spese dell’intero giudizio, asseritamente immotivata.
E’ invece inammissibile il terzo motivo del ricorso incidentale condi-
zionato, riflettente l’omessa pronuncia in ordine al motivo di gravame avente ad oggetto la dichiarazione d’inammissibilità della domanda di riconoscimento dell’indennizzo per ingiustificato arricchimento, proposta in via subordinata.
Tale questione non può trovare ingresso in questa sede, essendo stata ritenuta implicitamente assorbita dalla sentenza impugnata, per effetto dello intervenuto accoglimento della domanda di riconoscimento dell’indennizzo di cui all’art. 1671 cod. civ., proposta in via principale, con la conseguenza che non solo non è configurabile, in proposito, un’omissione di pronuncia, ma, per effetto dell’accoglimento del ricorso principale, la questione può essere riproposta nel giudizio di rinvio.
L’omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, è infatti configurabile soltanto quando risulti completamente assente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, e può quindi essere utilmente prospettata soltanto con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che, ritualmente e incondizionatamente proposta, richiede una pronuncia di accoglimento o di rigetto: tale vizio deve essere pertanto escluso quando, pur in assenza di una specifica argomentazione, la questione non esaminata debba considerarsi esplicitamente o anche implicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza (cfr. Cass., Sez. lav., 26/01/2016, n. 1360; Cass., Sez. V, 20/02/2015, n. 3417), con la conseguenza che, ove quest’ultima venga cassata in accoglimento di un motivo riguardante la questione assorbente, l’esame della questione assorbita va rimesso al giudice di rinvio, salva l’eventuale ricorribilità per cassazione della successiva sentenza che abbia affrontato le questioni precedentemente ritenute superate (cfr. Cass., Sez. I, 16/06/2022, n. 19442; Cass., Sez. V, 5/11/ 2014, n. 23558).
18. La sentenza impugnata va pertanto cassata, in accoglimento del secondo motivo del ricorso principale, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo, dichiara assorbiti il terzo ed il quarto motivo, rigetta i primi due motivi del ricorso incidentale, dichiara inammissibile il terzo ed assorbiti i motivi dal quarto all’ottavo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 25/09/2024