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Indipendenza economica figlio e casa coniugale

La Corte di Cassazione ha confermato la revoca dell’assegnazione della casa coniugale al padre, poiché il figlio maggiorenne convivente è stato ritenuto economicamente indipendente dopo aver avviato una propria attività imprenditoriale. La sentenza sottolinea che l’ingresso nel mondo del lavoro è il fattore decisivo per l’indipendenza economica del figlio, a prescindere dal successo dell’attività, facendo venir meno il presupposto per il mantenimento del diritto all’abitazione.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Figlio Imprenditore e Indipendenza Economica: Quando si Perde la Casa Familiare?

L’avvio di un’attività imprenditoriale da parte di un figlio maggiorenne segna il raggiungimento della sua indipendenza economica? E quali conseguenze ha questo status sull’assegnazione della casa coniugale al genitore con cui vive? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti decisivi, stabilendo che la scelta di intraprendere un percorso lavorativo autonomo, anche se rischioso, è sufficiente a considerare il figlio economicamente autosufficiente, con importanti ricadute sul diritto all’abitazione.

I Fatti del Caso

La vicenda nasce dalla richiesta di una madre di revocare l’assegnazione della casa coniugale, una prestigiosa villa, all’ex marito. Il presupposto della richiesta era che il figlio venticinquenne, convivente con il padre, avesse ormai raggiunto la propria indipendenza economica.

Il figlio, dopo il diploma, aveva deciso di seguire la tradizione familiare dedicandosi all’attività di impresa. Aveva avviato un’azienda individuale nel settore del marketing e della commercializzazione di bevande, utilizzando la stessa casa familiare come sede legale e come location per eventi pubblicitari. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione alla madre, revocando l’assegnazione della casa. Il padre e il figlio, ritenendo ingiusta la decisione, hanno quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla revoca della casa

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei giudici di merito. I giudici hanno ritenuto infondate le argomentazioni dei ricorrenti, i quali sostenevano che non fosse stata accertata l’effettiva capacità del figlio di mantenersi con un reddito adeguato a garantirgli un’esistenza libera e dignitosa.

Le motivazioni e il concetto di indipendenza economica del figlio

Il cuore della decisione risiede nel principio consolidato secondo cui l’obbligo di mantenimento del genitore non cessa automaticamente al compimento dei 18 anni, ma perdura finché il figlio non raggiunge l’indipendenza economica. Tuttavia, questo obbligo viene meno quando il figlio è stato messo nelle condizioni concrete di essere autosufficiente, ma non ne trae profitto per sua colpa o per sua scelta.

Nel caso specifico, la Corte ha osservato che il figlio, a 25 anni e con anni di esperienza professionale, aveva fatto una scelta consapevole: quella di diventare un imprenditore. Secondo la Cassazione, l’ingresso nel mondo del lavoro è il fattore cruciale. Non è necessario che l’attività imprenditoriale produca immediatamente un reddito elevato; ciò che conta è la scelta di intraprendere un percorso che, per sua natura, comporta dei rischi.

La Corte ha specificato che l’andamento dell’attività, positivo o negativo che sia, è una conseguenza della scelta imprenditoriale e non può far risorgere un obbligo di mantenimento che si è già estinto. In altre parole, il genitore ha il dovere di supportare il figlio fino a quando non è in grado di ‘camminare con le proprie gambe’; una volta che il figlio inizia a camminare, il genitore non è più responsabile se questi inciampa.

Le conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici per le famiglie separate o divorziate. Stabilisce un punto fermo: l’indipendenza economica del figlio maggiorenne non è legata alla stabilità o alla redditività del suo lavoro, ma alla sua effettiva attivazione nel mondo professionale. La scelta di avviare un’impresa è considerata una manifestazione definitiva di questa attivazione.

Di conseguenza, un genitore non può più pretendere di mantenere l’assegnazione della casa coniugale sulla base della presenza di un figlio che, sebbene convivente, ha intrapreso un’autonoma carriera lavorativa. La protezione dell’abitazione familiare è legata alla necessità di tutelare la prole non ancora autosufficiente; una volta venuto meno questo presupposto, anche il diritto all’assegnazione può essere revocato.

L’avvio di un’attività imprenditoriale da parte di un figlio maggiorenne lo rende automaticamente economicamente indipendente?
Sì, secondo questa ordinanza. La Corte considera l’ingresso nel mondo del lavoro, come l’avvio di un’impresa, il fattore determinante per l’indipendenza economica, a prescindere dai profitti o dalle perdite effettivi dell’attività.

Se un figlio maggiorenne usa la casa familiare per la sua attività lavorativa, questo influisce sull’assegnazione della casa?
Sì, può influire. La decisione evidenzia che l’uso della casa familiare per scopi imprenditoriali è considerato estraneo alla finalità di tutela dell’habitat domestico dei figli e può quindi supportare la richiesta di revoca dell’assegnazione.

Fino a quando dura l’obbligo di mantenimento dei genitori verso un figlio maggiorenne?
L’obbligo non cessa automaticamente al compimento della maggiore età, ma perdura fino a quando il figlio non raggiunge l’indipendenza economica o, in alternativa, è stato messo nelle condizioni concrete di poter essere autosufficiente ma non lo diventa per propria colpa o scelta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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