Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15558 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 15558 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7256/2021 r.g., proposto
da
NOME NOME , elett. dom.ta in INDIRIZZO, presso AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO, presso AVV_NOTAIO , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro n. 1172/2020 pubblicata in data 29/12/2020, n.r.g. 534/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 04/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME aveva adìto il Tribunale di Catanzaro per ottenere, previo riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro svolto dal 16/01/2007 al 04/12/2017 presso il RAGIONE_SOCIALE sulla base di formali contratti di prestazione d’opera stipulati come commercialista ‘per
OGGETTO:
lavoro
autonomo
o
subordinato
–
indici
rivelatori
–
natura
professionale
dell’attività
svolta – rilevanza – limiti
l’elaborazione della contabilità generale e IVA della società’, l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento, il suo conseguente annullamento e la tutela applicabile, nonché in ogni caso la condanna della società al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.
2.- Il Tribunale, in entrambe le fasi del giudizio instaurato secondo il rito di cui alla legge n. 92/2012, riteneva non raggiunta la prova della natura subordinata del rapporto e quindi rigettava l’impugnazione del licenziamento.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dalla COGNOME.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
il Tribunale non ha limitato l’esame delle risultanze istruttorie alle prove testimoniali raccolte nella prima fase, ma l’ha esteso anche ai documenti che la ricorrente ha prodotto al fine di dimostrare il suo inserimento nell’organizzazione della controparte e lo svolgimento di attività estranee a quella prevista dal contratto;
il Tribunale ha poi motivatamente ritenuto sufficiente la prova assunta nella prima fase, con l’escussione di ben sei testimoni, sicché ha ritenuto irrilevante l’audizione degli ulteriori testimoni addotti dalla lavoratrice;
questa scelta è ragionevole, laddove si consideri che in ricorso non erano state allegate circostanze relative all’assoggettamento al potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro, che rappresenta l’elemento costitutivo della subordinazione (Cass. n. 2728/2010);
da tale difetto di allegazione il Tribunale ha fatto discendere il difetto di prova, non potendo essere provato ciò che non è stato neppure allegato;
non sussiste alcuna presunzione di subordinazione, che è stata individuata dalla giurisprudenza solo in relazione a talune figure professionali come i commessi, i camerieri, i domestici, sicché non può essere estesa anche a prestazioni ordinariamente affidate a liberi professionisti, come nel caso di specie;
quanto agli indici sussidiari tipici della subordinazione c.d. attenuata, invocata dalla reclamante, il Tribunale ha escluso la subordinazione per difetto di allegazione (e prova) circa l’assoggettamento al potere direttivo della controparte datoriale;
effettivamente esaminando i capitoli di prova non si evince che la lavoratrice fosse destinataria di ordini, né che fosse sottoposta all’assiduo controllo datoriale nell’esecuzione della prestazione lavorativa, sicché difetta quell’ingerenza idonea a svilire l’autonomia del lavoratore, che integra il connotato essenziale della subordinazione;
in secondo luogo il Tribunale, con valutazione condivisibile, ha comunque escluso la subordinazione anche alla stregua degli indici presuntivi, elaborati dalla giurisprudenza proprio con riguardo ai casi di più difficile inquadramento relativi a prestazioni lavorative elevate e di contenuto intellettuale;
nel caso concreto è stato valorizzato il fatto che alla ricorrente non fosse stato imposto il rispetto di un determinato orario di lavoro, come desumibile dalla mancata allegazione di tale circostanza e dunque dalla mancata prova;
non è stato allegato né emerge dall’istruttoria che la sua diuturna presenza in ufficio fosse stata imposta o che le fosse stato chiesto di assicurarla per una certa durata oraria;
non è stato allegato né emerge che la ricorrente dovesse giustificare eventuali assenze o il mancato rispetto di un certo orario di lavoro;
il Tribunale, con valutazione condivisibile, ha considerato significativo dell’autonomia organizzativa la circostanza che la società aveva consegnato alla ricorrente le chiavi della sede, i codici di accesso alla cassaforte ed ai sistemi telematici ed informatici dell’ufficio, allo scopo di consentirle la più ampia autonomia nella gestione della contabilità aziendale e dei connessi adempimenti fiscali;
il difetto dell’obbligo di osservare un orario di lavoro si traduce nel difetto dell’obbligo di assicurare alla società quella disponibilità continuativa, che proprio nei casi di subordinazione c.d. attenuata costituisce l’indizio principale e a volte unico della subordinazione;
le direttive che la ricorrente ha documentato di aver ricevuto in alcune occasioni sono manifestazione di coordinamento relativo a particolari aspetti di gestione della spesa;
la cadenza mensile degli emolumenti è coerente con la previsione contrattuale di una rateazione del compenso annuale;
l’assenza di esclusività della prestazione, per effetto del contemporaneo esercizio della professione di commercialista in favore di altri committenti, è indice dell’autonomia dell’attività lavorativa;
è la stessa reclamante a ricondurre la fattispecie alla collaborazione continuativa e coordinata e la necessità che tale rapporto dovesse essere retto da un contratto di lavoro a progetto è esclusa ai sensi dell’art. 61, co. 3, d.lgs. n. 276/2003;
non sussistendo la subordinazione, neppure è configurabile un licenziamento.
4.Avverso tale sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi.
5.- RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
6.- La ricorrente ha depositato memoria.
7.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 2094 e 2697 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che la c.d. presunzione di subordinazione in favore di chi svolge attività lavorativa all’interno dei locali dell’impresa e con materiali ed attrezzature della stessa operi solo per i lavoratori come commessi, camerieri o domestici, e non anche in favore di chi svolge attività tipicamente riservate ai liberi professionisti.
Il motivo è infondato.
L’affermazione di principio della Corte territoriale è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, che talora ha limitato la c.d. presunzione di subordinazione ai lavori prettamente manuali e/o esecutivi e di minimo contenuto professionale (Cass. n. 58/2009). D’altro canto, anche nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione e, allo scopo
della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, il criterio dell’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, occorre, a detti fini, far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro (Cass. n. 1536/2009; Cass. n. 9251/2010; Cass. n. 23846/2017).
Dunque anche in caso di prestazioni elementari, ripetitive e predeterminate nelle modalità di esecuzione, per le quali il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare significativo, comunque ai fini della subordinazione non è sufficiente l’inserimento nell’organizzazione altrui, essendo necessario il concorso di altri indici cc.dd. sussidiari. Ciò a maggior ragione diviene necessario in presenza di prestazioni lavorative di denso contenuto intellettuale corrispondente a una determinata professione regolata dal legislatore.
In secondo luogo nessuna inversione dell’onere probatorio è stata operata dai giudici d’appello, che si sono limitati a verificare se tale onere che, come ammette anche la ricorrente, grava su chi agisce in giudizio per far accertare la subordinazione -fosse stato adempiuto oppure no.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n n. 3) e 4), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 2094 e 2697 c.c., nonché dell’art. 420 c.p.c. per avere la Corte territoriale condiviso il convincimento del Tribunale circa l’assenza di prova della subordinazione, nonostante ella avesse formulato ulteriori istanze istruttorie non ammesse.
Il motivo è complessivamente infondato.
La Corte territoriale ha evidenziato che il Tribunale non aveva limitato l’esame delle risultanze istruttorie alle prove testimoniali raccolte nella prima fase, ma l’aveva esteso anche ai documenti che la ricorrente aveva prodotto al fine di dimostrare il suo inserimento nell’organizzazione della
contro
parte e lo svolgimento di attività estranee a quella prevista dal contratto. Ha aggiunto che il Tribunale aveva poi motivatamente ritenuto sufficiente la prova assunta nella prima fase, con l’escussione di ben sei testimoni, sicché era irrilevante l’audizione degli ulteriori testimoni addotti dalla lavoratrice.
Tale motivazione è adeguata, non rappresenta alcun conculcamento del c.d. diritto alla prova, che è stata ammessa ed espletata (diversamente dai casi riportati dalla ricorrente e giudicati da questa Corte), né costituisce un’inversione dell’onere probatorio. Va ribadito che i capitoli di prova riportati dalla ricorrente nel suo ricorso per cassazione, p. 25 -sono stati ammessi e sono stati escussi ben sei testimoni. Ciò che è mancato -e di cui si duole la ricorrente -è l’escussione di ulteriori testimoni, pretesa questa che confligge con il potere discrezionale del giudice del merito di ritenere esaustiva la prova raccolta, non potendo essere costretto ad escutere ulteriori testimoni fino a quando la parte onerata non sia in ipotesi riuscita a dimostrare il suo assunto.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 24 Cost. e 2697 c.c. per avere la Corte territoriale omesso di pronunziarsi sulle reiterate istanze istruttorie.
Il motivo è inammissibile, posto che non sussiste alcuna illegittima inversione dell’onere probatorio, sicché la doglianza non è pertinente rispetto al motivo prospettato.
In ogni caso la doglianza è infondata, atteso che la Corte territoriale ha condiviso il convincimento del Tribunale (v. sentenza impugnata, pp. 3-4), laddove ha espresso un giudizio di sufficienza delle prove raccolte, con conseguente superfluità dell’escussione di ulteriori testimoni.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 111 Cost., 132, co. 2, n. 4), c.p.c. e 118 disp.att.c.p.c. per avere la Corte territoriale motivato in modo solo apparente la sua decisione.
Il motivo è infondato alla luce di tutti i punti della motivazione sopra riportati e in particolare di quelli relativi all’assenza dell’obbligo di rispettare un determinato orario di lavoro e all’assenza di esclusività a causa del
contemporaneo esercizio della professione anche in favore di altri committenti.
5.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ dell’art. 2094 c.c. per avere la Corte territoriale omesso di considerare che l’eterodirezione non è esclusa da eventuali margini di autonomia e per aver valutato gli elementi acquisiti in giudizio solo in modo atomistico.
Il motivo è palesemente infondato alla luce dei punti della motivazione sopra riportati. Quanto alla giurisprudenza di questa Corte, citata dalla ricorrente (v. ricorso per cassazione, p. 43), si tratta di pronunzie non pertinenti. In quei casi non erano emersi tutti gli elementi di segno contrario invece acquisiti nel primo grado di merito del presente giudizio, quali l’assenza di esclusività della prestazione lavorativa per effetto del contemporaneo esercizio della professione di commercialista in favore di altri committenti, che rappresenta un grave e pregnante indice dell’autonomia del rapporto lavorativo, e il tenore della difesa della lavoratrice, che aveva ricondotto essa stessa la fattispecie alla collaborazione continuativa e coordinata, deducendo poi la necessità che tale rapporto dovesse essere retto da un contratto di lavoro a progetto, necessità invece esclusa testualmente dall’art. 61, co. 3, d.lgs. n. 276/2003.
6.Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n n. 3) e 4), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ degli artt. 2094, 2697 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c. per avere la Corte territoriale mal valutato le risultanze istruttorie orali.
Il motivo è inammissibile, perché sollecita a questa Corte un diverso apprezzamento di quelle risultanze, attività riservata ai giudici di merito ed interdetta in sede di legittimità.
7.Con il settimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 111 Cost., 132, co. 2, n. 4), c.p.c. e 118 disp.att.c.p.c. per avere la Corte territoriale rigettato il reclamo senza esaminare specificamente le censure mosse alla sentenza di primo grado e facendo acritico ed immotivato rinvio alla decisione del Tribunale.
Il motivo è palesemente infondato alla luce della motivazione come sopra
riportata.
8.Con l’ottavo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 111 Cost., 132, co. 2, n. 4), c.p.c. e 118 disp.att.c.p.c. per avere la Corte territoriale escluso l’esistenza del l’obbligo di osservare un orario di lavoro rinviando acriticamente alla decisione del Tribunale.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha al riguardo osservato che la diuturna presenza della lavoratrice, pur dimostrata, non era sufficiente a provare l’esistenza di un obbligo di osservare un determinato orario di lavoro, anzi risultato smentito da elementi probatori contrari. Tanto basta ad integrare il ‘minimo costituzionale’ di motivazione richiesto dal le norme invocate.
9.Con il nono motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2094 e 2105 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto incompatibile lo svolgimento dell’attività professionale con l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Il motivo è palesemente infondato.
La Corte territoriale non ha affermato questa incompatibilità, ma ha solo considerato il coevo svolgimento dell’attività professionale in favore di altri plurimi committenti, unitamente ad altri elementi, quale indice pregnante e dimostrativo della natura autonoma del rapporto di lavoro.
10.Con il decimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione’ dell’art. 1362 c.c. per avere la Corte territoriale dato peculiare importanza alla volontà espressa dalle parti nel contratto, svalutando la condotta successiva.
Il motivo è palesemente infondato: la Corte territoriale ha esaminato tutti gli elementi propri dello svolgimento del rapporto di lavoro, ricavando il convincimento che fossero del tutto coerenti e corrispondenti con il tipo di contratto di lavoro autonomo concluso dalle parti.
11.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in
euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in