Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30475 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30475 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 651/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) , elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrente-
contro
PRESIDENZA DEL RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa per legge dall’ RAGIONE_SOCIALE (P_IVA), elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di CAMPOBASSO n. 155/2020 depositata il 14/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/10/2024 dal Presidente NOME COGNOME.
R.G. 651/2021
COGNOME.
Rep.
C.C. 17/10/2024
C.C. 14/4/2022
RESPONSABILITÀ CIVILE P.A.
FATTI DI CAUSA
In data 28 aprile 2005, in Ferrazzano (CB), NOME COGNOME e NOME COGNOME assassinarono volontariamente NOME COGNOME e sua figlia NOME COGNOME e per tale delitto vennero condannati il primo alla pena dell’ergastolo e il secondo a quella di anni trenta di reclusione.
A seguito del tragico evento NOME COGNOME, rispettivamente figlio e fratello delle vittime, convenne in giudizio la RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, davanti al Tribunale di Campobasso, chiedendo che fosse condannata al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, da lui subiti, e richiamando a sostegno della sua domanda la sentenza 15 dicembre 2009 della Corte EDU la quale aveva accertato la violazione, da parte dello Stato italiano, dell’art. 2 della CEDU, non avendo il medesimo adeguatamente protetto la vita delle due donne assassinate.
Si costituì in giudizio la convenuta, chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale rigettò la domanda, dando rilievo in via preminente alla circostanza che la direttiva 2004/80/CE prevedeva, come condizione di applicabilità del risarcimento, la sussistenza del c.d. elemento transnazionale , dovendosi quindi escludere l’applicazione della stessa nel caso di specie, nel quale i due omicidi erano stati commessi da cittadini italiani ed il richiedente era anch’egli residente in Italia.
La decisione è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di Campobasso, con sentenza del 14 maggio 2020, ha rigettato il gravame e ha compensato le ulteriori spese del grado.
2.1. Ha premesso la Corte territoriale che, pur avendo l’appellante richiamato integralmente le conclusioni del giudizio di primo grado, in realtà egli aveva argomentato soltanto su un punto, costituito dal rigetto della domanda per la mancata
attuazione della direttiva 2004/80/CE; l’altra ragione posta a fondamento della domanda in primo grado -e cioè l’accertata violazione dell’art. 2 della CEDU non era stata in alcun modo motivata ed era da ritenere, pertanto, inammissibile.
2.2. Così delimitato il campo d’indagine, la Corte d’appello ha osservato che l’impugnazione era da respingere per una ragione diversa da quella indicata dal Tribunale.
L’art. 18, par. 2, della suindicata direttiva, infatti, dava facoltà agli Stati membri di prevedere l’applicazione delle disposizioni ivi contenute soltanto a favore di richiedenti a seguito di reati commessi dopo il 30 giugno 2005. Tale discrimine temporale -idoneo a determinare il rigetto della domanda anche volendo ammettere, in ipotesi, che la citata direttiva si applichi a prescindere dal c.d. elemento transnazionale -faceva sì che, mentre per i delitti commessi dopo quella data gli Stati membri erano obbligati a adeguare la propria legislazione interna, per il periodo antecedente «sussisteva un margine di discrezionalità», potendo gli Stati legittimamente decidere di escludere l’indennizzo. E poiché si trattava, appunto, di una facoltà, l’iniziativa autonoma del legislatore nazionale non poteva costituire un diritto in capo ai richiedenti.
2.2. La sentenza è poi passata a ricostruire la successiva evoluzione della normativa interna, richiamando la legge 7 luglio 2016, n. 122, e la legge 20 novembre 2017, n. 167.
Gli artt. 11 e 12 della legge n. 122 del 2016 non hanno previsto alcuna delimitazione temporale relativa all’epoca di commissione del reato. Tuttavia, in mancanza di una disciplina transitoria, da tale omissione discendeva «che il diritto all’indennizzo poteva dirsi riconosciuto soltanto in riferimento ai reati dolosi con violenza alla persona commessi a partire dal 23 luglio 2016, data di entrata in vigore della legge n. 122 del 2016».
Successivamente, l’art. 6, comma 2, della legge n. 167 del 2017 ha stabilito che l’indennizzo previsto dalla legge n. 122 spetta anche a chi è vittima di un reato intenzionale violento commesso successivamente al 30 giugno 2005 e prima dell’entrata in vigore della legge medesima. Ne conseguiva, secondo la Corte molisana, che lo Stato italiano ha dato attuazione alla direttiva del 2004 «senza estendere il suo ambito temporale di applicazione oltre il limite obbligatorio del 30 giugno 2005»; ulteriore conferma, dunque, dell’inesistenza di un diritto all’indennizzo per le vittime di fatti avvenuti prima di quella data (com’era avvenuto, appunto, nel caso di specie).
2.3. In ultimo, la Corte d’appello ha esaminato il problema del limite costituito dal c.d. elemento transnazionale , sostenendo che era da ritenere corretta la decisione del Tribunale che aveva assunto quel limite come sufficiente al rigetto della domanda.
Richiamando una serie di pronunce della Corte EDU e l’ordinanza 31 gennaio 2019, n. 2964, di questa Corte Suprema, di rimessione alla Corte di giustizia dell’Unione europea, la Corte d’appello ha osservato che le considerazioni poste nell’ordinanza n. 2964 cit. avevano ad oggetto la disparità di trattamento che si verrebbe a creare in danno di coloro che restano vittime di reati violenti commessi all’interno dello Stato di residenza. Ma nel caso in esame, ha concluso la sentenza, nessuna disparità di trattamento si poteva porre, perché «qualunque cittadino europeo non residente in Italia non avrebbe avuto diritto all’indennizzo per un reato intenzionale violento commesso in Italia prima del 30 giugno 2005».
Contro la sentenza della Corte d’appello di Campobasso propone ricorso NOME COGNOME con atto affidato a due motivi.
Resiste la RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione all’art.360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per avere erroneamente la Corte d’appello escluso l’esistenza del diritto al risarcimento.
Secondo il ricorrente, la norma dell’art. 6, comma 2, della legge n. 167 del 2017, che ha limitato il diritto ai fatti commessi dopo il 30 giugno 2005, non riguarderebbe il caso in esame, avendo natura sostanziale e non processuale, come tale non applicabile per «rapporti sorti anteriormente alla sua entrata in vigore». La direttiva 2004/80/CE non avrebbe contenuto obbligatorio in relazione al periodo antecedente la data suindicata, per cui gli Stati membri avevano facoltà di disporre un termine diverso. Deriverebbe da questo che il tardivo adeguamento alla direttiva non può creare un vulnus al diritto fatto valere dal ricorrente, in ragione dei principi di irretroattività e di ragionevolezza.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., sostenendo che la Corte d’appello non avrebbe considerato che la Corte di giustizia UE, rispondendo ai quesiti posti con l’ordinanza n. 2964 del 2019, avrebbe dato supporto alla tesi del ricorrente. Ne deriverebbe che è illegittimo rigettare la pretesa risarcitoria per mancato adeguamento dello Stato a una direttiva europea «applicando norme di natura sostanziale che sono intervenute successivamente alla nascita del diritto vantato dalla parte e nel corso del giudizio».
La Corte osserva, innanzitutto, che i due motivi di ricorso, benché tra loro differenti, possono essere trattati congiuntamente, in considerazione dell’evidente stretta connessione che li unisce.
La Corte rileva altresì che -nonostante il controricorso abbia eccepito l’inammissibilità del ricorso per mancanza di un’esposizione sommaria dei fatti idonea a dar corso allo scrutinio
di legittimità -tale eccezione debba essere respinta in quanto il ricorso, sebbene obiettivamente molto stringato nella descrizione della vicenda processuale, consente comunque di comprendere quale essa sia stata e quali siano le questioni poste all’esame della Corte.
3.1. Per esaminare il cuore del problema è necessario compiere una breve ricostruzione del quadro normativo e della vicenda sostanziale che fa da sfondo all’odierno ricorso.
Com’è noto, l’art. 1 della direttiva 29 aprile 2004, n. 2004/80/CE, prevede che gli Stati membri siano tenuti ad assicurare che, se un reato intenzionale violento è stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui il richiedente l’indennizzo risiede abitualmente, «il richiedente ha diritto di presentare la domanda presso un’autorità o qualsiasi altro organismo di quest’ultimo Stato membro». Il successivo art. 12, comma 2, dispone che tutti gli Stati membri debbano provvedere «a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato alle vittime».
Tale impostazione della direttiva comunitaria costituisce la ragione per la quale -fermo il ritardo nella sua attuazione da parte dell’Italia, del quale in seguito si dirà si è per un certo tempo dato per certo che l’indennizzo in questione potesse essere concesso solo in presenza di illeciti c.d. transnazionali , cioè commessi in uno Stato membro diverso da quello nel quale il richiedente risiede abitualmente.
Su questo aspetto del problema ha inciso in modo decisivo, com’è noto, la rimessione alla Corte di giustizia dell’Unione europea disposta con l’ordinanza interlocutoria 31 gennaio 2019, n. 2964, da questa stessa Sezione della Corte, nella quale, tra l’altro, fu chiesto al Giudice europeo di stabilire la configurabilità, in relazione
alla situazione di intempestivo e incompleto recepimento nell’ordinamento interno della direttiva 2004/80/CE, della responsabilità dello Stato membro anche nei confronti di soggetti non transfrontalieri .
Al quesito ha dato risposta la Corte di Lussemburgo con la sentenza 16 luglio 2020 (in causa C-129/19), stabilendo che il diritto dell’Unione « dev’essere interpretato nel senso che il regime della responsabilità extracontrattuale di uno Stato membro per danno causato dalla violazione di tale diritto è applicabile, per il motivo che tale Stato membro non ha trasposto in tempo utile l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE del RAGIONE_SOCIALE, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato, anche nei confronti di vittime residenti in detto Stato membro, nel cui territorio il reato intenzionale violento è stato commesso ».
Dando seguito alla pronuncia suindicata, questa Corte, con la successiva sentenza 24 novembre 2020, n. 26757, ha stabilito, tra l’altro, che l’indennizzo di cui all’art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE compete alle vittime di ogni reato intenzionale violento commesso nel territorio di uno Stato membro e, pertanto, pure in relazione al delitto di violenza sessuale previsto, in Italia, dall’art. 609bis cod. pen., benché dette vittime risiedano nel territorio del medesimo Stato membro (vittime c.d. non transfrontaliere ), senza che sia necessario instaurare un giudizio civile di responsabilità nei confronti degli autori del fatto, qualora questi ultimi si siano resi latitanti.
Il breve riassunto di tale complessa vicenda normativa e giurisprudenziale dà conto della circostanza, ormai pacifica, per cui l’indennizzo previsto dalla citata direttiva europea spetta anche in caso di vittima residente nel medesimo Stato membro; ed è logico che la Corte molisana, avendo depositato la sentenza qui in esame in data 14 maggio 2020, non potesse essere a conoscenza della decisione della Corte europea, per cui comprensibilmente nella
motivazione si presenta detta interpretazione estensiva come ancora ipotetica.
3.2. Tutto questo premesso, la Corte osserva come la domanda di indennizzo avanzata dall’odierno ricorrente sia stata respinta dalla Corte di merito sulla base di un diverso ragionamento, fondato essenzialmente sul dato temporale, del quale occorre adesso occuparsi.
Ed invero l’art. 18, comma 1, della direttiva 2004/80/CE stabilisce che gli Stati membri siano tenuti a mettere in atto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative conformative entro il 1° gennaio 2006, tranne che per l’art. 12, comma 2, per il quale la data è anticipata al 1° luglio 2005. Il successivo comma 2 dell’art. 18 è chiarissimo nel disporre che le disposizioni conformative necessarie debbano trovare applicazione « unicamente ai richiedenti le cui lesioni derivino da reati commessi dopo il 30 giugno 2005 » .
Tale direttiva, come si è già accennato, ha avuto in Italia un recepimento tardivo, compiuto solo con gli artt. 11 e 12 della legge 7 luglio 2016, n. 122, la quale è intervenuta sulla spinta di una procedura di infrazione mossa nei confronti del nostro Paese (n. 2011/4147). È da notare che tale legge, mentre ha stabilito il riconoscimento del diritto all’indennizzo in favore delle vittime di reati violenti (art. 11), indicandone anche le condizioni (art. 12), nulla ha disposto in ordine al discrimine temporale per la sua applicabilità. Tale vuoto è stato colmato dall’art. 6 della successiva legge 20 novembre 2017, n. 167, il cui comma 2 stabilisce che l’indennizzo in questione «spetta anche a chi è vittima di un reato intenzionale violento commesso successivamente al 30 giugno 2005» ma prima dell’entrata in vigore della legge n. 122 del 2016. Ne consegue che, alla luce di questi due interventi normativi interni di attuazione della direttiva suindicata, deve pervenirsi alla conclusione secondo cui la prestazione indennitaria spetta per i fatti
criminosi avvenuti dopo il 30 giugno 2005 ma anche prima dell’approvazione della legge n. 122 del 2016 . In altri termini il legislatore nazionale, avendo dato tardiva attuazione alla direttiva europea soltanto nel 2016, ha stabilito una sorta di operatività retroattiva dell’obbligo anche per il periodo precedente l’entrata in vigore della legge n. 122 del 2016, ma sempre e comunque a decorrere dal 30 giugno 2005 ; termine, quest’ultimo, che è in armonia con quello fissato dall’art. 18, comma 2, della direttiva 2004/80, per cui la conclusione da trarre è che la normativa interna si è attenuta alle indicazioni temporali di quella comunitaria, senza ampliarne la portata.
3.3. Alla luce di tutte le precedenti riflessioni, è evidente che l’odierno ricorso non può essere accolto, perché la Corte d’appello di Campobasso ha correttamente ricostruito, ratione temporis , il sistema normativo applicabile.
Il ricorrente insiste, soprattutto nel primo motivo, sostenendo che il legislatore nazionale avrebbe potuto estendere il diritto all’indennizzo anche ai fatti avvenuti come nel caso di specie -anteriormente al 30 giugno 2005. Tale osservazione, in sé sicuramente corretta, non muta i termini del problema e non giova all’accoglimento del ricorso; il legislatore nazionale, come si è visto, si è pur sempre attenuto, benché in una forma, per così dire, quanti minoris , alle indicazioni della direttiva europea, la quale vincolava gli Stati membri solo in relazione ai reati commessi dopo il 30 giugno 2005, e non anche per il periodo anteriore. Il che viene a significare che, una volta escluso che tale ampliamento ci sia stato per un’autonoma iniziativa del legislatore italiano, la pretesa del ricorrente non è accoglibile, né è prospettabile una violazione della normativa europea da parte di quella interna di recepimento.
Non giovano al ricorrente, d’altronde, le considerazioni sulla natura sostanziale della norma di cui all’art. 6, comma 2, della legge n. 167 del 2017, così come non giova il richiamo alla
suindicata giurisprudenza europea che ha fatto venire meno la natura transnazionale dell’illecito come condizione per la sua indennizzabilità.
La precedente giurisprudenza di questa Corte, d’altra parte, nel dare atto del limite temporale di estensione del diritto al pagamento dell’indennizzo solo a decorrere dalla data del 30 giugno 2005, non risulta aver affrontato esplicitamente la questione odierna, avendo avuto in esame fatti criminosi successivi a tale data (v. in tal senso la citata sentenza n. 26757 del 2020, la sentenza 25 novembre 2020, n. 26758, e le ordinanze 29 settembre 2021, n. 26302, e 27 luglio 2022, n. 23414).
Si impone, infine, un’ulteriore considerazione.
Questa Corte, con la recente ordinanza interlocutoria 27 settembre 2024, n. 25872, è tornata a rimettere all’esame della Corte di giustizia dell’Unione europea un’altra questione di interpretazione relativa alla normativa qui in esame, avente ad oggetto, però, il limite di parentela con la vittima entro il quale è possibile esperire l’azione risarcitoria. Anche nel caso di cui alla citata ordinanza il fatto criminoso si collocava in data successiva a quella del 30 giugno 2005; ma è comunque evidente che tale rimessione non ha alcuna influenza sul giudizio odierno, che può dunque essere deciso senza necessità di attendere la pronuncia della Corte europea.
Il ricorso, pertanto, è rigettato, enunciandosi il seguente principio di diritto:
« In tema di indennizzo spettante alle vittime di reati intenzionali violenti ai sensi della direttiva 2004/80/CE, il sistema derivante dall’attuazione tardiva di quest’ultima, disposta in Italia prima con gli artt. 11 e 12 della legge n. 122 del 2016 e poi con l’art. 6, comma 2, della legge n. 167 del 2017, deve essere interpretato nel senso che il diritto all’indennizzo sorge solo per crimini commessi a decorrere dal 30 giugno 2005, data che è
conforme alla previsione di cui all’art. 18, comma 2, della direttiva suindicata ».
Ritiene la Corte che, in considerazione dei numerosi dubbi interpretativi sulla normativa in questione e della assurda tragicità del duplice omicidio che ha dato causa al giudizio odierno, le spese del giudizio di cassazione debbano essere interamente compensate.
Sussistono tuttavia i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza