Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25408 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25408 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 10588/2021 r.g. proposto da:
NOME, NOME, NOME, in proprio e quali procuratori generali di COGNOME dCOGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale, la quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni al proprio indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrenti –
contro
Comune di Spinea, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e
dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale allegata in foglio separato in calce al controricorso, i quali dichiarano di voler ricevere ogni comunicazione all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 2674/2020, depositata in data 13 ottobre 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11/7/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
Gli attori NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, tutti in proprio e quali procuratori generali dell’usufruttuaria NOME COGNOME d’COGNOME, titolari dell’area censita al foglio 7, mappale 57 (in pate) e 1060, del Comune di Spinea, per la superficie pari a mq 18.940, i primi tre in qualità di comproprietari e la COGNOME quale usufruttuaria, con atto di citazione notificato al Comune in data 1/3/2013 chiedevano la determinazione dell’indennità per la reiterazione del vincolo espropriativo ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 327 del 2001.
In particolare, chiedevano nelle conclusioni della citazione: «dato atto -stante il giudicato amministrativo formatosi sulle sentenze n. 1359/2002 del Tar Veneto e n. 2863/2007 del Consiglio di Stato che il Comune di Spinea, a mezzo della variante generale di PRG del 1998-2000 e della successiva variante parziale viabilistica del 20042005, ha reiterato, sull’area di proprietà degli attori, vincoli di natura espropriativa».
Nel corso degli anni i terreni di loro proprietà erano stati più volte assoggettati dal Comune a vincoli preordinato all’esproprio, reiterati ma mai tradottisi in provvedimenti finalizzati alla realizzazione delle opere pubbliche.
Il primo vincolo risaliva alla delibera del 13/6/1966, seguita dal programma di fabbricazione approvato con decreto del provveditore alle opere pubbliche n. 7584 del 30/3/1968, con la destinazione dell’area a verde attrezzato e a scuola dell’obbligo.
Tale vincolo veniva confermato nel PRG del 1976 e con la delibera della Giunta regionale n. 3203 del 21/6/1983, con la conseguente classificazione delle aree in zone destinate a verde attrezzato e viabilità.
La variante generale di PRG, approvata con delibera della Giunta regionale n. 2140/2000 ricomprendeva l’area in zona ‘SC’ destinata a «attrezzature a parco, per il gioco e lo sport», nell’ambito degli «spazi pubblici o riservati alle attività collettive».
Il vincolo veniva infine reiterato con variante parziale al PRG adottata con la delibera di Consiglio comunale n. 54/2004 e n. 17/2005, con successiva approvazione di Giunta regionale n. 3450 del 30/10/2007.
Ad avviso degli attori, la natura di vincolo preordinato all’esproprio della variante generale del 2000 era stata accertata in giudizio dalla sentenza del Tar Veneto n. 1359 del 2002. Il Consiglio di Stato con sentenza n. 2863 del 2007 aveva confermato la pronuncia del Tar.
2. La Corte d’appello di Venezia, a seguito di CTU, con sentenza n. 688 del 2015, rigettava la domanda in quanto gli attori erano «decaduti» dalla possibilità di agire ex art. 39 del d.P.R. n. 327 del 2001.
La Corte territoriale evidenziava che l’istanza di indennizzo, avanzata dagli attori il 6/10/2008, era stata rigettata dal Comune con nota del 9/6/2009, senza che gli stessi avessero proposto impugnazione nel termine decadenziale.
Tale decadenza non era stata superata neppure dalla rinnovazione della richiesta di indennizzo, presentata nel 2012, perché riferita ad un atto ricognitivo.
Ad avviso della Corte d’appello, poi, la disciplina invocata, ossia l’art. 39 del d.P .R. n. 327 del 2001, non era applicabile ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore.
L’usufruttuaria, quindi, era priva di legittimazione, mentre «l’esame del giudicato amministrativo, favorevole alla tesi dei proprietari, ma di rigetto del ricorso dagli stessi proposto , restava assorbito».
Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione gli attori. In particolare, con il primo ed il secondo motivo i ricorrenti deducevano «la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 327 del 2001, la nullità della sentenza per contraddittorietà ed illogicità della motivazione e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oltre che la violazione dell’art. 112 c.p.c.».
La Corte territoriale – ad avviso dei ricorrenti – sarebbe incorsa in contraddizione, in quanto, da un lato, aveva sanzionato con la decadenza il mancato rispetto del termine di cui all’art. 39 del d.P.R. n. 327 del 2001, e, dall’altro, aveva affermato che l’intera disciplina del d.P.R. n. 327 del 2001 non era applicabile, trattandosi di fatti anteriori alla sua entrata in vigore.
Peraltro, la domanda degli attori doveva essere valutata tenendo conto della sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999, sulla quale si era fondato anche il giudicato amministrativo. Non v’era stata alcuna decadenza nei confronti degli attori.
Infine, la Corte d’appello non aveva considerato che il vincolo ad attrezzature pubbliche di cui alla variante generale di PRG del 2000 era stato successivamente reiterato dalla variante alla viabilità approvata nel 2007.
3.1. Con il terzo motivo i ricorrenti si dolevano che la Corte d’appello:a) non aveva valorizzato il giudicato amministrativo (sentenza del Tar Veneto n. 1359 del 2002 e sentenza del Consiglio di Stato n. 2863 del 2007) asseritamente formatosi in ordine alla natura di vincolo espropriativo; b) non aveva considerato che, in virtù dei suoi contenuti, l’art. 30 delle NTA del Comune di Spinea, recante la disciplina del vincolo, aveva la valenza di vincolo preordinato all’esproprio, come tale comportante l’obbligo di corresponsione a favore dei titolari dell’area dell’indennità prevista in materia espropriativa.
3.2. Con il quarto motivo di impugnazione i ricorrenti censurano la condanna alle spese.
3.3. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano l’omessa pronuncia sull’oggetto della propria domanda giudiziale, richiamando a sostegno le risultanze della CTU.
La Corte di cassazione, con ordinanza n. 28165 del 24/11/2017, accoglieva (parzialmente) i primi due motivi di ricorso.
L’art. 39 del d.P.R. n. 327 del 2001 non era applicabile, in quanto entrato in vigore il 30/6/2003, quindi in epoca successiva alla richiesta di indennizzo per la reiterazione del vincolo, «che si afferma avvenuta mediante la variante del 2000».
Tuttavia – precisava la Corte di cassazione – la previsione della indennizzabilità del vincolo a carattere espropriativo, in ragione della sua reiterazione, era stata riconosciuta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 55 del 1968. Successivamente la legge n. 1187 del 1968 aveva codificato la necessaria temporaneità di detti vincoli. Era
poi giunta la sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999 a riconoscere la indennizzabilità della reiterazione di vincoli espropriativi.
La sentenza del Tar Veneto n. 1359 del 2002 aveva fatto espressamente riferimento proprio alla sentenza n. 179 del 1999 della Corte costituzionale, in ordine alla variante generale al PRG approvato con D.G.R. 7 luglio 2000, valutando il vincolo come indennizzabile. Tale decisione del Tar era stata poi confermata dalla sentenza n. 2863 del 2007 del Consiglio di Stato.
La Corte d’appello, dunque, erroneamente aveva affermato che la domanda, per come era stata presentata (violazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 327 del 2001), non poteva che essere respinta, in quanto avrebbe dovuto qualificare giuridicamente la stessa.
Era erronea anche l’applicazione di termini di decadenza previsti da una norma (art. 39 del d.P.R. n. 327 del 2001) che era entrata in vigore (30 giugno 2003) successivamente alla reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio (anno 2000).
Era errata anche la affermata carenza di titolarità dell’usufruttuaria a pretendere l’indennizzo.
Con riguardo, invece, all’ulteriore reiterazione del vincolo che sarebbe stato imposto con la variante parziale approvata nel 2007, nella vigenza del d.P.R. n. 327 del 2001, il motivo non era fondato (parte del primo motivo).
La Corte territoriale, infatti, aveva escluso la sussistenza della reiterazione «in quanto il vincolo opposto con tale variante parziale era afferente a viabilità».
Pertanto, la Corte di cassazione accoglieva il primo e il secondo motivo, restando assorbiti i motivi terzo, quarto e quinto «relativi rispettivamente, alla nullità della sentenza ed alla violazione dei principi in tema di giudicato, oltre che dell’art. 39 del d.P.R. n. 327
del 2001, per avere la Corte ritenuto assorbita la questione della sussistenza del giudicato amministrativo sulla natura espropriativa del vincolo reiterato con la variante dell’anno 2000 ed averlo, poi ritenuto, insussistente nel merito».
5. La Corte d’appello di Venezia, in sede di giudizio di rinvio, dopo l’espletamento di nuova CTU (affidata al AVV_NOTAIO), da cui si discostava, con la sentenza n. 2674/2020, depositata il 13/10/2020, in parziale accoglimento della domanda, accertava che il Comune di Spinea, per la reiterazione del vincolo posto con la variante al PRG n. 2140/2000, approvata con la delibera di Giunta regionale 7/7/2000 ed efficace dal 16/8/2000, era tenuto a corrispondere l’indennizzo di euro 37.575,00, oltre interessi legali dalla domanda giudiziale.
A seguito del passaggio in giudicato della sentenza del Tar Veneto n. 1359 del 2002 e del Consiglio di Stato n. 2863 del 2007, era stata accertata la natura di vincolo espropriativo dell’area classificata ‘SC’.
La Corte d’appello, dunque, non poteva discostarsi da quanto ritenuto dalla Corte di cassazione in ordine alla reiterazione del vincolo espropriativo.
In ordine alla quantificazione dell’indennizzo la Corte d’appello non condivideva la determinazione effettuata dagli attori NOME, per i quali l’indennizzo doveva essere calcolato sul «valore differenziale» dell’area, quindi sulla differenza tra il valore ipotetico del bene senza la reiterazione del vincolo (perizia COGNOME, primo CTU, euro 1.547.659,75) e il valore reale con la reiterazione del vincolo (perizia COGNOME euro 947.000,00), e quindi sul valore di euro 600.659,75.
La Corte d’appello neppure condivideva le conclusioni del AVV_NOTAIO, per il quale agli attori non spettava alcun indennizzo, «manca un parametro di riferimento per la situazione
precedente al 2000, atteso che l’area era stata ricompresa in ambito PEEP fin dal 1966-1968».
La Corte territoriale evidenziava invece che, ai sensi della sentenza n. 179 del 1999 della Corte costituzionale, l’indennizzo per il protrarsi del vincolo preordinato all’esproprio dovrà essere commisurato «o al mancato uso normale del bene, ovvero alla riduzione di utilizzazione, ovvero alla diminuzione di prezzo di mercato (locativo o di scambio) rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo».
Pertanto, veniva ricostruito l’inquadramento urbanistico dei mappali 57 e 1060: 1. Con delibera del 13/6/66 il fondo era destinato, all’interno della compartimentazione PEEP, ad zona verde (mappale 1060) e zona verde, zona servizi sociali, scuola dell’obbligo (mappale 57); 2. Con il piano di fabbricazione del 1968, il fondo era destinato a verde attrezzato-scuola dell’obbligo (mappale 1060) e in parte a verde di rispetto, verte attrezzato e in parte ad zona intensiva (mappale 57); 3. Con il PRG del 1976, il fondo era destinato a verde attrezzato-asilo nido di progetto (mappale 1060) e in parte a verde attrezzato-asilo di progetto, in parte viabilità e in parte ad zone residenziali di completamento intensive A e B (mappale 57); 4. Con la delibera del piano delle zone del 12/11/79, erano state individuate le diverse zone del comparto PEEP, con il terreno destinato a verde attrezzato scuola materna, come con la successiva delibera del 24/10/88; 5. Con delibera 20/9/93 e del 23/5/94 era stata riproposta la riperimetrazione, con terreno destinato a verde attrezzato scuola materna; 6. Con la variante al PRG n. 2140 del 7/7/2000, i fondi erano stati destinati all’interno dello strumento attuativo vigente PEEP 2 – in parte zonaSC – aree attrezzate a parco, gioco e sport (art. 30 NTA) e parte a verde privato; 7. Ccon delibera del 15/4/02 era stato eliminato il perimetro PEEP, ferma la destinazione d’uso in
parte ad zona SC – aree attrezzate a parco, gioco e sport (art. 30 NTA) e parte a verde privato; 8. Con la variante efficace dal 5/12/07 i fondi erano stati destinati ad zona ad attrezzature a parco, gioco e sport ed area verde privato, tranne che una parte di mq 1350 destinata viabilità stradale, preordinato all’esproprio.
Pertanto, poiché la situazione anteriore all’anno 2000, in cui era stata introdotta la variante al PRG, era rimasta sempre la stessa, il CTU del rinvio aveva ritenuto «non sussistere alcuna differenza di valore da porre a base della stima per l’indennizzo».
Per contro, secondo la Corte, il parametro utilizzato per la liquidazione dell’indennizzo era quello relativo alla «diminuzione di prezzo di mercato (locativo o di scambio) rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo». Doveva tenersi conto della edificabilità legale, mentre l’edificabilità di fatto aveva solo valore complementare.
Proseguiva la Corte d’appello evidenziando che «l’area in questione, classificata come zona SC – Area per attrezzatura parco, per il gioco e lo sport -, in cui il Comune, mediante espropriazione o i soggetti interessati, mediante convenzione, possono intervenire realizzando opere a carattere pubblico o di generale interesse, aveva nel complesso una destinazione a standard a cui il AVV_NOTAIO ha attribuito un valore quale area con una limitata capacità edificatoria». Pertanto, doveva confrontarsi il valore delle aree senza la reiterazione del vincolo, in base all’effettiva destinazione d’uso prevista in considerazione di una domanda interessata al bene quale ‘area standard’ «e non certo, quale area, con destinazione ‘ordinaria di tipo residenziale’, non corrispondente alla situazione effettiva».
La differenza era di euro 189.400,00; tale cifra andava rivalutata al 16/8/2000, data di efficacia del vincolo, e costituiva la base di calcolo per la determinazione dell’indennizzo «secondo il criterio indicato
dagli stessi attori, fondato sugli interessi legali maturati in relazione alla somma anno per anno rivalutata».
Il metodo di calcolo dell’indennizzo, dunque, corrispondeva alla somma degli interessi legali sul valore differenziale maturati nel solo periodo di reiterazione del vincolo, ossia dal 16/8/2000 al 5/12/2007 (data di efficacia del nuovo vincolo conformativo del 2007.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, in proprio e quali procuratori generali di NOME COGNOME, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso il Comune di Spinea, depositando memoria scritta.
Il consigliere delegato ha depositato l’8/11/2023 proposta di definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380bis c.p.c.
I ricorrenti, rilasciando procura speciale, anche quali eredi dell’usufruttuaria, con istanza del 18/12/2023 hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con un unico motivo di impugnazione i ricorrenti deducono «in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dei principi sanciti dall’ordinanza di codesta Corte n. 28155/2017 nella parte in cui richiama la sentenza additiva della Corte costituzionale n. 179/1999».
Per i ricorrenti la decisione della Corte d’appello, in sede di rinvio, si sarebbe discostata dalle indicazioni fornite dall’ordinanza della Corte di cassazione per la quantificazione dell’indennizzo.
La Corte territoriale ha individuato, come metodo di calcolo dell’indennità, la somma degli interessi legali sul valore differenziale maturato nel solo periodo di reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio, ossia dalla 16/8/2000 al 5/12/2007, e quindi nel valore
differenziale tra quello dell’area come qualificata prima del vincolo del 2000 ed il valore al 2005, in base alle stime delle CTU COGNOME. Tuttavia – ad avviso dei ricorrenti – il vincolo apposto nel 2000 era in realtà una reiterazione di un analogo vincolo precedente, sicché «la situazione immediatamente antecedente al 2000 è radicalmente inidonea ad essere presa quale termine di raffronto, in quanto anche in essa era presente una compressione del diritto proprietario che ne comportava una diminuzione di valore, ed era anch’essa reiterativa di analoghi vincoli espropriativi decaduti».
Il vincolo impresso all’area, come risultante dalle due CTU effettuate, sarebbe «un vincolo assai risalente che, comportando una r eductio della naturale vocazione edificatoria dell’area non può assurgere ex se a parametro per il confronto se non tramite una palese illogicità: quella di indennizzare un vincolo assumendo a valore di confronto il valore dell’area col precedente vincolo di analogo contenuto, a sua volta reiterativo di analogo vincolo espropriativo già decaduto». Tutti i terreni circostanti quello degli attori avevano, invece, destinazione residenziale ed erano stati in concreto edificati. Ciò avrebbe dovuto comportare la vocazione edificabile anche del terreno dei ricorrenti.
La Corte d’appello, dunque, non potendo assumere a termine di raffronto per il calcolo del valore differenziale il valore delle aree già sottoposte a vincolo, avrebbe dovuto assumere un altro valore delle aree quale base per il calcolo fondato sul valore differenziale.
Tale termine di confronto poteva rinvenirsi nella medesima CTU COGNOME, il quale aveva individuato un ipotetico valore dell’area qualora la stessa fosse stata classificata come residenziale, decurtando quindi dall’importo di euro 1.547.659,75, calcolato quale valore delle aree ‘con destinazione ordinaria a carattere
residenziale’, l’importo di euro 947.000,00, indicato come ‘il più probabile valore venale dei terreni per cui è causa’.
La differenza di euro 600.659,75 rappresentava, dunque, – secondo i ricorrenti – l’incidenza del vincolo espropriativo al 2005. Su tale importo avrebbe dovuto essere quantificato l’indennizzo, quale somma degli interessi legali sul valore differenziale maturati nel periodo di reiterazione del vincolo. In tal modo, il valore differenziale sarebbe rappresentato dalla differenza risultante tra il valore ‘ipotetico, delle aree «in assenza di vincolo» ed il valore reale delle aree «dopo la reiterazione del vincolo».
In alternativa, la Corte d’appello avrebbe potuto far uso di uno degli ulteriori criteri indicati dal CTP dei ricorrenti: «a) indennizzo commisurato al 4% dell’indennità di espropriazione per ogni anno di reiterazione ;b) indennizzo pari all’interesse legale sull’indennità di espropriazione per ogni anno di reiterazione ; c) indennizzo pari alla metà dell’indennità prevista per l’occupazione di urgenza per ogni anno di reiterazione».
2. Il motivo è inammissibile.
In adesione alla proposta di definizione accelerata, si ritiene che, a fronte di una sentenza di rinvio che ha applicato correttamente i principi della sentenza rescindente di questa Corte, n. 28165/2017, i ricorrenti sollecitano – mediante un motivo, peraltro, generico una rivisitazione del merito.
Ed infatti, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici o delle risultanze istruttorie operata dal giudice di merito (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547;
Cass., 04/04/2017, 8758; Cass., 02/08/2016, n. 16056; Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34476; Cass., 04/03/2021, n. 5987).
2.1. Invero, la Corte d’appello, in sede di rinvio, si è attenuta al principio di diritto enunciato da questa Corte con l’ordinanza n. 28165 del 2017.
Questa Corte ha richiamato il principio di indennizzabilità per reiterazione di vincoli espropriativi (non conformativi), come da sentenza della Corte costituzionale n. 55 del 1968 e n. 179 del 1999, espressamente menzionate nella motivazione.
Sulla materia sono intervenute tre pronunce della Corte costituzionale.
3.1. La prima è la sentenza n. 55 del 1968, per la quale la mancata previsione di limiti temporali di durata del vincolo faceva sì che la situazione del bene ad esso sottoposto, comportando la privazione (di fatto) delle ordinarie fondamentali facoltà di godimento del bene, configurava un’espropriazione sostanziale, senza però che a questa corrispondesse alcun indennizzo. Pertanto, se era tollerabile il sacrificio temporalmente (e ragionevolmente) limitato, intollerabile e dunque illegittimo era invece il vincolo protratto indefinitamente, tale da equivalere ad una sostanziale espropriazione e, come tale, suscettibile di indennizzo. Si è dichiarata dunque l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, nn. 2,3,4, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica), e dell’art. 40 della stessa legge, nella parte in cui non prevedono un indennizzo per l’imposizione di limitazioni operanti immediatamente e a tempo indeterminato nei confronti dei diritti reali, quando le limitazioni abbiano contenuto espropriativo.
3.2. Successivamente, è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999, la quale ha indicato i casi cui non vi è diritto all’indennizzo. In particolare si è ritenuto che «restano al di fuori dell’ambito dell’indennizzabilità i vincoli incidenti con carattere
di generalità e in modo obiettivo su intere categorie di beni – ivi compresi i vincoli ambientali – paesistici -, i vincoli derivanti da limiti non ablatori posti normalmente nella pianificazione urbanistica, i vincoli comunque estesi derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l’iniziativa privata in regime di economia di mercato, i vincoli che non superano sotto il profilo quantitativo la normale tollerabilità, e i vincoli non eccedenti la durata (periodo di franchigia) ritenuta ragionevolmente sopportabile».
È stata dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 7, nn. 2, 3 e 4, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), nella parte in cui consentivano all’amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportassero l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo secondo modalità legislativamente previste.
4. Tra l’altro, la sussistenza del vincolo preordinato all’esproprio sui due mappali in contestazione (nn. 57 e 1060) è stata oggetto di specifica affermazione da parte di questa Corte nell’ordinanza n. 28165 del 2017, in relazione alla sentenza del Tar Veneto n. 1359 del 2002 ed a quella del Consiglio di Stato n. 2863 del 2007 (cfr. ordinanza Corte di cassazione n. 28165 del 2017: «alla decisione 179/99 della Consulta si è, peraltro, espressamente riferita la decisione del Tar Veneto n. 1359 del 2002 intervenuta inter partes , che, dopo aver esaminato in dettaglio le disposizioni della variante generale del PRG approvato con d.g.r. 7 luglio 2000, quali regolate dall’art. 30 del NTA, ed aver valutato il vincolo in riferimento al preveggente strumento urbanistico, ha, appunto, ritenuto che sulla proprietà NOME era stato apposto un vincolo indennizzabile,
decisione che è stata confermata in parte qua con la sentenza n. 2863 del 2007, dal Consiglio di Stato »).
Non si fa riferimento, dunque, come vorrebbero i ricorrenti, al valore differenziale da individuare nella differenza tra il valore dei terreni a seguito della variante generale al PRG n. 2140 del 2005 ed il valore dei terreni prima del 1966, ossia prima della delibera 13/6/66 che individuava come destinazione urbanistica di tali terreni la zona verde, per la particella mila e 60, ed in parte zona verde ed in parte zona servizi sociali per la particella n. 57.
5. In ordine, poi, alla quantificazione del valore dell’indennizzo si è più volte affermato che «la reiterazione dei vincoli scaduti, preordinati all’esproprio o sostanzialmente espropriativi, è considerata legittima, purché sia riconosciuta un’indennità che ripaghi i proprietari della diminuzione del valore di scambio o di utilizzabilità dei loro beni, individuando in tal modo, nella pur legittima attività della RAGIONE_SOCIALE, l’esistenza, in linea di principio, di un pregiudizio non tollerabile dal singolo, nel rispetto dell’art. 42 Cost., terzo comma, e per questo indennizzabile sulla base di un meccanismo sostanzialmente automatico (Cass. n. 8530 del 2010), che è tipico della responsabilità da atto legittimo» (in tal senso anche Cass., 3 dicembre 2021, n. 38326).
Pertanto, la quantificazione dell’indennità, ove demandata al giudice, deve essere vagliata in sede giudiziale anche prescindendo dalle prospettazioni delle parti, come già ritenuto a proposito della individuazione del criterio legale di determinazione dell’indennizzo di aree soggette all’esproprio (Cass., 1° agosto 2013, n. 18435; Cass., 6 giugno 2018, n. 14623), non essendo neppure necessario che nell’atto di citazione sia quantificata la somma pretesa titolo di indennità (Cass., 25 giugno 2020, n. 12619).
Per questa Corte – che ha richiamato i principi di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1999 – «ai proprietari interessati da un provvedimento di reiterazione del vincolo espropriativo va riconosciuto ristoro che deve essere non necessariamente integrale o equivalente al sacrificio, ma neppure simbolico per una serie di pregiudizi, che si possono verificare a danno del titolare del bene immobile colpito, commisurato al mancato uso normale del bene, ovvero alla riduzione di utilizzazione, ovvero alla diminuzione del prezzo (locativo o di scambio) rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo».
Trova, allora, applicazione il principio giurisprudenziale di legittimità per cui la reiterazione dei vincoli scaduti preordinati all’esproprio o sostanzialmente espropriativi, oltre il limite temporale consentito, è riconducibile a un’attività legittima della P.A., la quale è tenuta a svolgere una specifica ed esaustiva indagine sulle aree incise, tenendo conto delle loro caratteristiche in concreto, al fine di determinare nell’atto medesimo, quantomeno in via presuntiva, e poi di liquidare, un indennizzo in misura non simbolica, che ripaghi il proprietario della diminuzione del valore di mercato o delle possibilità di utilizzazione dell’area rispetto agli usi o alle destinazioni ai quali essa era concretamente, o anche solo potenzialmente, vocata; a tali accertamenti provvede il giudice del merito nei casi in cui la liquidazione sia omessa dalla P.A., o sorgano contestazioni sulla misura dell’indennizzo liquidato in favore del proprietario ma al privato non si richiede di fornire la prova di aver subito un danno ingiusto, competendogli un indennizzo per il sacrificio sofferto in conseguenza di un atto lecito della RAGIONE_SOCIALE, e non il risarcimento del
danno conseguente ad un atto illecito (Cass., sez. 1, 21 maggio 2018, n. 12468).
Nella specie, quindi, la Corte d’appello di Venezia, in sede di rinvio, si è attenuta non solo al principio di diritto enunciato da questa Corte con l’ordinanza 28165 del 2017, ma anche alla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, in ordine ai criteri di valutazione di tale indennizzo, in precedenza indicati.
Per converso, il ricorso mira, in definitiva, ad una diversa valutazione degli elementi istruttori, compiutamente effettuata da parte del giudice d’appello, certamente non consentita in questa sede, dovendosi anche tenere conto del principio di diritto enunciato da questa Corte con l’ordinanza n. 28165 del 2017.
Costituisce, del pari, piena valutazione di merito, la richiesta da parte del ricorrente di adottare, in luogo del valore differenziale delle aree, altri criteri, indicati dal c.t. di parte.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico dei ricorrenti e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 380bis , terzo comma, c.p.c., «se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la Corte procede sensi dell’art. 380-bis.1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’art. 96».
In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), che, per i casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, richiama l’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., si applica ai giudizi di cassazione pendenti alla data del 28 febbraio 2023, poiché l’art. 35, comma 6, del citato d.lgs. fa riferimento ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data
dell’1 gennaio 2023 per i quali non sia stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio e una diversa interpretazione, volta ad applicare la normativa in esame ai giudizi iniziati in data successiva al 28 febbraio 2023, depotenzierebbe lo scopo di agevolare la definizione delle pendenze in sede di legittimità, anche tramite l’individuazione di strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi prive di giustificazione (Cass., Sez.U., 23/4/2024, n. 10955).
Inoltre, si è ritenuto che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), nel richiamare, per i casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. codifica, attraverso una valutazione legale tipica, un’ipotesi di abuso del processo, ma non prevede l’applicazione automatica delle sanzioni ivi previste, che resta affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, in base a un’interpretazione costituzionalmente compatibile del nuovo istituto (Cass., Sez.U., 27/12/2023, n. 36069).
Nella specie, stante la ritenuta piena condivisibilità della PDA, che concludeva per il rigetto del ricorso, tale sanzione processuale va applicata.
I ricorrenti soccombenti vanno, pertanto, condannati al pagamento, in favore del Comune, della ulteriore somma, oltre le spese processuali, di euro 7.000,00, valutata equitativamente, nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di euro 2.500,00.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento in favore del Comune, a titolo di rimborso delle spese processuali, della somma di euro 7.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Condanna i ricorrenti al pagamento della ulteriore somma di euro 7.000,00, nonché al pagamento in favore della cassa delle ammende, della somma di euro 2.500,00, ex at. 96, commi terzo e quarto, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 luglio 2024