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Indennizzo talidomide: nesso causale e prescrizione

Una persona con malformazione congenita ha richiesto l’indennizzo talidomide. La Corte d’Appello ha respinto la tesi della prescrizione, affermando che il termine decorre dalla conoscenza effettiva del nesso causale, non da una presunzione. Tuttavia, ha negato il diritto all’indennizzo perché la consulenza medica ha giudicato “improbabile” il legame tra la patologia e il farmaco, non raggiungendo lo standard probatorio del “più probabile che non”.

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Pubblicato il 30 novembre 2024 in Diritto Civile, Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Indennizzo Talidomide: Quando Scatta la Prescrizione e Come si Prova il Danno?

Una recente sentenza della Corte d’Appello di Genova ha affrontato due temi cruciali in materia di indennizzo talidomide: la decorrenza della prescrizione e l’onere della prova del nesso causale. La decisione, pur ribaltando la motivazione del primo grado sulla prescrizione, ha confermato il rigetto della domanda, sottolineando come la prova del legame tra patologia e farmaco debba superare la soglia del “più probabile che non”.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una persona nata nel 1959 con una grave malformazione a un arto superiore. Anni dopo, ritenendo che la sua condizione fosse dovuta all’assunzione del farmaco talidomide da parte della madre durante la gravidanza, ha avviato un’azione legale per ottenere l’indennizzo previsto dalla normativa.

Il Tribunale di primo grado aveva respinto la domanda, accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dalla controparte. Secondo il primo giudice, il richiedente avrebbe dovuto essere a conoscenza della possibile causa della sua patologia ben prima del 2008, data di entrata in vigore della legge sull’indennizzo, data la notorietà del caso talidomide. Di conseguenza, la sua richiesta era tardiva.

L’interessato ha proposto appello, sostenendo che la conoscenza certa del nesso causale era stata acquisita solo nel 2018, a seguito di una perizia medico-specialistica, e che prima di allora non era possibile stabilire con certezza tale collegamento.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello ha riesaminato il caso, giungendo a conclusioni diverse rispetto al primo grado su uno dei punti centrali, ma confermando l’esito finale.

La Decorrenza della Prescrizione per l’indennizzo talidomide

La Corte ha innanzitutto respinto la tesi della prescrizione. Richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione, ha chiarito un principio fondamentale: il termine di prescrizione per il risarcimento del danno (o per l’indennizzo) non decorre dal momento in cui il danno si manifesta, ma da quando il danneggiato percepisce, o può percepire con l’ordinaria diligenza, che il danno è conseguenza del comportamento di un terzo.

Nel caso specifico, non vi era alcuna prova che l’appellante fosse a conoscenza del nesso causale prima della perizia del 2018. Anzi, la sua specifica malformazione (monolaterale, terminale e trasversa) era addirittura inclusa in un elenco dell’Istituto Superiore di Sanità tra quelle non tipicamente attribuibili alla talidomide. Pertanto, non si poteva presumere una sua conoscenza pregressa. L’eccezione di prescrizione è stata quindi ritenuta infondata e la sentenza di primo grado è stata corretta su questo punto.

La Prova del Nesso Causale

Aperta la via all’esame del merito, la Corte ha basato la sua decisione sulla Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) disposta in appello. Il collegio di periti, dopo aver analizzato la documentazione e visitato l’appellante, ha classificato la malformazione come “difetto terminale trasversale”.

Secondo gli esperti, le caratteristiche della patologia (in particolare la sua natura monolaterale e l’assenza di alterazioni al cingolo scapolare) rendevano “improbabile” l’associazione con l’embriopatia da talidomide. Sebbene esistano casi documentati di malformazioni monolaterali (stimati tra l’1% e il 5%), la probabilità complessiva che la condizione dell’appellante fosse riconducibile al farmaco è stata valutata inferiore al 5%.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato il rigetto dell’appello basandosi sul principio del “più probabile che non”, che governa la prova del nesso causale nel processo civile. Affinché un diritto all’indennizzo sia riconosciuto, non è sufficiente che il legame causale sia semplicemente possibile; è necessario che, sulla base delle prove scientifiche e fattuali, la sua esistenza sia più probabile della sua inesistenza (ovvero, con una probabilità superiore al 50%).

Nel caso di specie, la CTU aveva concluso per una probabilità “assai improbabile” e comunque inferiore al 5%. Di fronte a un quadro probatorio così debole, la Corte non ha potuto far altro che constatare il mancato raggiungimento della prova richiesta dalla legge. L’appello è stato quindi respinto, non per prescrizione, ma per carenza di prova sul nesso eziologico.

Le Conclusioni

Questa sentenza offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, consolida l’orientamento secondo cui la prescrizione per i danni lungolatenti, come quelli da farmaci, decorre solo dal momento in cui la vittima acquisisce una consapevolezza informata della causa del proprio danno, e tale conoscenza non può essere meramente presunta. In secondo luogo, riafferma il rigore richiesto nella prova del nesso causale: la mera compatibilità o la possibilità teorica non sono sufficienti per fondare una pretesa di indennizzo talidomide. È indispensabile una dimostrazione scientifica che attesti una probabilità concreta e preponderante, superiore al 50%, un onere che, in questo caso, non è stato soddisfatto.

Quando inizia a decorrere il termine di prescrizione per la richiesta di indennizzo per danni da farmaci?
Il termine di prescrizione decorre non dal giorno in cui il danno si manifesta, ma da quello in cui la persona danneggiata percepisce o può percepire, usando l’ordinaria diligenza, che il danno è una conseguenza ingiusta del comportamento di un terzo.

Qual è il criterio di prova necessario per dimostrare il nesso causale tra una malformazione e l’assunzione di talidomide?
È necessario applicare il criterio del “più probabile che non”. Questo significa che il richiedente deve dimostrare, sulla base di prove scientifiche, che la probabilità che la malformazione sia stata causata dal farmaco è superiore al 50%.

Una malformazione monolaterale può essere ricondotta alla sindrome da talidomide ai fini dell’indennizzo?
Sebbene esistano casi documentati, la sentenza evidenzia che una malformazione monolaterale, unita ad altre caratteristiche non tipiche, rende l’associazione con la talidomide “improbabile”. Secondo la consulenza tecnica del caso, la probabilità è risultata inferiore al 5%, un valore insufficiente a soddisfare il criterio del “più probabile che non”.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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