Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12118 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12118 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35744/2019 R.G. proposto da :
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE CATANIA, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che l a rappresenta e difende
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 1952/2019 depositata il 10/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria del R.RAGIONE_SOCIALE (costituito con la stessa RAGIONE_SOCIALE) – cui era stato aggiudicato un appalto per la realizzazione dei lavori di ristrutturazione e messa a norma del Presidio ospedaliero di Paternò per l’importo di € 5.031.857,67 – hanno convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Catania l’Azienda Sanitaria Provinciale di Catania (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE di Catania) perché fosse accertato il loro diritto al risarcimento conseguente al recesso esercitato dallo stesso RTI determinato dal fatto che la stazione appaltante aveva redatto una perizia di variante che doveva, in realtà, considerarsi un nuovo progetto, in quanto comportante un costo superiore al quinto rispetto a quello posto a base d’asta appaltato.
Il Tribunale di Catania, in parziale accoglimento della domanda delle attrici, ha condannato l’A.SRAGIONE_SOCIALE. di Catania al pagamento della
somma di € 441.827,2, oltre accessori, a titolo di indennizzo, calcolato nella misura prevista dall’art. 35 DPR 1063/1962.
La Corte d’Appello di Catania, in parziale accoglimento dell’appello, ha ridotto tale indennizzo alla somma di € 417.989,2, oltre accessori.
Il giudice di secondo grado, per quanto ancora rileva, ha rigettato il motivo d’appello con cui l’Azienda Sanitaria aveva eccepito l’utilizzo da parte del CTU di documenti non prodotti tempestivamente dalle parti, ritenendo che i conteggi si fondavano su documenti e dati regolarmente acquisiti. Ha, inoltre, condiviso l’impostazione del primo giudice in ordine al criterio di quantificazione dell’indennizzo, da determinarsi nella misura del 10% dell’importo complessivo di aggiudicazione, e non commisurato agli utili che l’appaltatore avrebbe conseguito nel caso di completamento dell’opera (come invocato dalla ARAGIONE_SOCIALE di Catania).
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE Catania affidandolo a due motivi.
RAGIONE_SOCIALE , in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria del R.T.I., e la curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE con due atti distinti, ma di contenuto assolutamente identico, redatti dallo stesso legale, hanno resistito in giudizio con controricorso.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso.
Tutte le parti hanno depositato le memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stato dedotto l’omesso esame del primo motivo d’appello nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 183 comma 6° c.p.c. e 2697 c.c. .
Espone la ricorrente che con l’atto di citazione in appello aveva chiesto che la CTU fosse dichiarata nulla in quanto si fondava su documenti non prodotti dalle parti nei termini di cui all’art. 183
comma 6° c.p.c. (il progetto originario e la perizia di variante relativi all’appalto di cui è causa), conclusione già svolta sia alla prima udienza utile successiva al deposito della CTU nel corso del giudizio di primo grado, sia in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado.
Si duole la ricorrente che la Corte d’Appello, nel rispondere al motivo d’appello con l’argomentazione ‘ ….i conteggi di cui all’art. 122 DPR n. 554/199, posti a base della confermata condanna, si fondano su documenti e dati regolarmente acquisiti’ , aveva reso una motivazione del tutto apparente e come tale affetta da nullità. Infatti, il giudice d’appello non aveva spiegato per quale motivo i documenti e i dati su cui si fondava la relazione tecnica fossero da considerarsi ‘regolarmente acquisiti’. Peraltro, nel caso di specie, il progetto originario e la perizia di variante, tardivamente acquisiti al processo, erano già nella disponibilità delle appellate e avrebbero dovuto essere prodotti nei prescritti termini processuali.
Il motivo presenta concomitanti profili di infondatezza ed inammissibilità.
Va osservato che la motivazione con cui la sentenza impugnata ha rigettato l’eccezione di nullità della CTU non è affatto apparente, atteso che la Corte d’Appello, nell’affermare che ‘ ….i conteggi di cui all’art. 122 DPR n. 554/199, posti a base della confermata condanna, si fondano su documenti e dati regolarmente acquisiti’ , ha reso una motivazione che soddisfa il requisito del ‘minimo costituzionale’, il cui significato è stato, tuttavia, frainteso dalla ricorrente.
In particolare, la Corte d’Appello, con l’espressione contestata, non ha affatto inteso affermare che i documenti di cui l’odierna ricorrente ha lamentato la tardiva produzione erano stati depositati tempestivamente, ma che i conteggi del CTU si fondavano su ‘documenti e dati regolarmente acquisiti’, intendendo per tali documenti diversi da quelli (progetto originario e perizia di
variante) per i quali era contestata la regolare acquisizione. In sostanza, la sentenza impugnata ha implicitamente affermato l’irrilevanza dei documenti asseritamente prodotti oltre i termini di cui all’art. 183 c.p.c., fondandosi i conteggi del CTU su altri e diversi documenti.
Con tale argomentazione, nei termini intesi da questo Collegio, la ricorrente non si è minimamente confrontata, con la conseguenza che le sue censure sono anche inammissibili.
Con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso esame del secondo motivo d’appello, violazione e falsa applicazione degli artt. 122 DPR n. 554/1999 e 12 Preleggi.
Lamenta la ricorrente che la Corte d’Appello non si è pronunciata sulla propria prospettazione secondo cui il diritto di recesso non era stato esercitato dalla stazione appaltante, bensì dal RTI. Il mancato esame di tale circostanza aveva inficiato l’intero iter motivazionale.
La ricorrente contesta il criterio di quantificazione dell’indennizzo adottato dal giudice d’appello, determinato nella misura del 10% dell’importo complessivo di aggiudicazione, e non commisurato agli utili dell’appaltatore.
Evidenzia che l’art. 122 DPR 554/199 disciplina l’ipotesi del recesso della stazione appaltante, mentre, nel caso di specie, il recesso era stato esercitato dall’appaltatore, con la conseguenza che tale articolo ‘non va applicato nel suo contenuto letterale, ma va applicato analogicamente al caso di specie’.
Rileva che, ove l’indennizzo fosse commisurato non all’utile dell’appaltatore, ma nella percentuale del 10% del valore dell’aggiudicazione come effettivamente avvenuto nel caso di specie sarebbe riconosciuto all’appaltatore un utile superiore a quello che avrebbe conseguito in caso di regolare esecuzione dell’appalto.
Infine, la ricorrente deduce che, nonostante il giudice d’appello avesse compreso la sua eccezione, laddove aveva chiesto
l’applicazione dell’art. 122 DPR 554/1999, non la aveva valutata, non considerando che il recesso era stato esercitato dal RTI e non dalla stazione appaltante.
4. Il motivo è infondato.
Va osservato che dall’esame della sentenza impugnata emerge che la Corte d’Appello era pienamente consapevole che, secondo la prospettazione dell’odierna ricorrente, il recesso dal contratto d’appalto era stato esercitato dall’appaltatore, e non già dalla stazione appaltante. Significativo è il richiamo della Corte d’Appello, a pag. 13 della sentenza impugnata, alle deduzioni svolte dall’appellante in questi termini.
La Corte d’Appello ha ritenuto implicitamente irrilevante tale questione, avendo evidenziato che la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva invocato l’applicazione analogica dell’art. 122 DPR 554/1999, fattispecie che contempla il recesso della stazione appaltante. L’interpretazione della norma prospettata dalla RAGIONE_SOCIALE non è stata ritenuta in alcun modo accoglibile dalla Corte di merito, sul rilievo che nell’art. 122 legge cit. il legislatore non aveva minimamente fatto cenno al criterio degli utili, con la conseguenza che il parametro invocato dall’Azienda si fondava su ‘motivazioni di carattere non interpretativo, ma chiaramente metagiuridiche’.
Il Collegio condivide tale impostazione.
Come ben evidenziato dal giudice d’appello, anche l’RAGIONE_SOCIALE di Catania, per la determinazione dell’indennizzo in caso di recesso dell’appaltatore, ha invocato l’applicazione analogica di una norma -l’art. 122 DPR 554/1999 di cui, tuttavia, pretende di modificare profondamente il testo per adattarla al caso concreto (appunto, il recesso dell’appaltatore e non già della stazione appaltante), introducendo un criterio -gli utili -di cui non vi è, tuttavia, alcuna traccia nella stessa norma. Non vi è dubbio che, con tale richiesta, la ricorrente non abbia chiesto, in realtà, l’applicazione analogica dell’art. 122 legge cit. -l’applicazione analogica presuppone,
infatti, che, in una fattispecie caratterizzata da una lacuna normativa, intervenga una norma, nella sua corrente formulazione, che regoli un caso simile -ma abbia invocato una lettura ‘creativa -modificativa’ della norma per adattarla al caso concreto, operazione giuridicamente scorretta, in quanto estranea alla logica e alla ratio dell’art. 12 delle preleggi, che non consente affatto tale soluzione.
5. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, tenuto conto che la difesa di entrambe le controricorrenti, pur formalmente articolata con due atti distinti, è, in realtà, unica, avuto riguardo al contenuto assolutamente identico sia dei controricorsi che delle memorie ex art. 380-bis. 1 c.p.c., sì che, giusta il criterio risultante dall’art. 4, comma 2, d.m. 55/2014, il compenso unico (Cass. 17215/2015) andrà aumentato in ragione del 30%.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore di entrambe le ricorrenti nella somma, omnicomprensiva, di € 14.400,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I Sezione civile