Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20925 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20925 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18377/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME ;
– ricorrente –
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– resistente – avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA n. 74/2023, depositato il 06/02/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso in opposizione ai sensi dell’art. 5 -ter legge 24 marzo 2001, n. 89, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (e altri) ha
chiesto la revoca del decreto con cui il Giudice Delegato della Corte d’Appello di l’Aquila aveva rigettato la richiesta di indennizzo per danno non patrimoniale subìto dall’istante per minima entità dei credito, ex art. 2, comma 2sexies lett. g) legge n. 89 del 2001 – a séguito dell’irragionevole durata (circa 13 anni) di una procedura concorsuale in cui essa era stata immessa al passivo -in qualità di creditrice chirografaria rimasta del tutto insoddisfatta -per complessivi €. 8.332,57.
La Corte d’Appello ha accolto l’opposizione solo in parte. Secondo la Corte d’Appello, il credito fatto valere non poteva considerarsi irrisorio, visto che l’insinuazione al passivo della RAGIONE_SOCIALE era avvenuta per € . 8.332,57. In particolare, il giudice collegiale riteneva significativo ai fini della parametrazione dell’irrisorietà della pretesa, che il TUIR all’art. 101 comma 5, nell’affrontare il tema della deducibilità delle perdite sui crediti, avesse disposto che: «Il credito si considera di modesta entità quando ammonta ad un importo non superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione di cui all’articolo 27, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e non superiore a 2.500 euro per le altre imprese».
Per l’effetto, la Corte d’Appello rigettava le pretese di indennizzo per equa riparazione avanzate da altri opponenti la cui pretesa non superava i limiti di legge sopra riportati; liquidava a solo favore della società opponente RAGIONE_SOCIALE complessivi €. 4.160,00; somma risultante dal parametro annuo di €. 320,00 (€. 400,00, importo ridotto del 20%, ex art. 2bis , comma 1 bis legge n. 89 del 2001, in ragione del fatto che le parti del procedimento fallimentare erano più di dieci), moltiplicato per 13 anni di eccedenza della durata ragionevole del procedimento presupposto; condannava
il Ministero della Giustizia a rimborsare alla parte opponente le spese di giudizio, liquidate in €. 450,00, oltre a €. 27,00 per spese, nonché rimborso spese generali e accessorie di legge.
Ricorre per la cassazione del suddetto decreto collegiale RAGIONE_SOCIALE, con due motivi.
Il Ministero della Giustizia ha depositato un mero atto di costituzione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 -bis, comma 1bis , legge n. 89/2001, in relazione all’art. 6, paragrafo 1 della CEDU, all’art. 1 del primo protocollo addizionale ed agli artt. 111 e 117 della Costituzione – Art. 360, n. 3. Lamenta la ricorrente che l a Corte d’Appello ha erroneamente ritenuto di poter applicare l’art. 2 -bis , comma 1bis , legge n. 89/2001, anche al caso in cui il numero di soggetti superiori a 10 (o 50) fosse riferito al numero dei creditori ammessi al passivo del fallimento, giudizio presupposto. Tale assunto contrasta con quanto stabilito dalla Suprema Corte, che ha chiarito come il g iudice dell’equa riparazione, nell’accordare la misura risarcitoria annua in caso di irragionevole durata della procedura fallimentare, non possa fare applicazione delle diminuzioni percentuali previste per il procedimento ordinario con un numero delle parti anormalmente elevato.
Il motivo è fondato.
Il comma aggiunto (comma 1bis , introdotto dall’art. 1, comma 777, lett. f) legge 28 dicembre 2015, n. 208) all’art. 2 -bis della legge n. 89 del 2001 individua la categoria dei processi con plurimi soggetti, pur se riguardanti una sola delle parti, e consente al giudice dell’equa riparazione la riduzione dell’indennizzo in funzione della maggiore complessità della causa, dettata appunto dalla pluralità di soggetti,
tale da rendere «ragionevole» il protarsi del giudizio, senza che ciò sia addebitabile ad inerzie o disfunzioni del sistema.
Questa Corte ha stabilito che il comma 1bis e la limitazione ivi prevista, relativa al numero delle parti del giudizio presupposto, non è applicabile alle procedure fallimentari: mentre, infatti, nel «processo» (espressione letterale utilizzata dal legislatore) di cognizione la pluralità di parti rappresenta una mera eventualità e la presenza di più di dieci – o addirittura di più di cinquanta – parti costituisce evenienza infrequente, o addirittura rara, nelle «procedure fallimentari» è fisiologico che la massa dei creditori sia numerosa, e proprio per questa ragione la norma in esame non si applica alle procedure concorsuali.
Semmai, la novella di cui al comma 1bis dell’art. 2 -bis in esame può trovare applicazione nel caso in cui l’istanza di ammissione al passivo da esaminare risulti concernere una pluralità di creditori, il che potrebbe ulteriormente complicare il processo, imponendo vaglio e discrimine delle singole posizioni, ma non per il caso «ordinario» del procedimento fallimentare, fisiologicamente interessante una pluralità di creditori. Circostanza, questa, peraltro già prevista dalla legge in un’altra occasione, l’a rt. 2, comma 2bis , ove, proprio per la peculiare complessità delle procedure concorsuali, si individua la durata ragionevole in un tempo più lungo (6 anni) rispetto ai giudizi di merito ordinari ( ex multis : Cass Sez. 2, Ordinanza n. 80 del 03/01/2024, Rv. 669914 -01; Sez. 2, Ordinanza n. 4602 del 21.02.2024; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 25181 del 17/09/2021, Rv. 662165 – 01).
Del resto, il giudice del procedimento di equa riparazione per irragionevole durata del processo può ben mitigare l’indennizzo secondo il suo prudente apprezzamento, tenendo conto della
complessità della procedura che induce il rallentamento a causa dell’enormità del numero dei soggetti, ai sensi dell’art. 2, comma 2 , della stessa legge.
Nel caso di specie, la riduzione dell’indennizzo ex art. 2bis , comma 1bis , legge n. 89/2001, non era applicabile, non avendo rilievo, alla luce del richiamato orientamento interpretativo di legittimità, che i soggetti ammessi al passivo fossero in numero superiore a dieci. L’errore di diritto è palese e comporta la cassazione del decreto.
Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4, D.M. Giustizia n.55/2014 e degli artt. 2233, comma 2 cod. civ., 91, 92 cod. proc. civ. – Art. 360, n. 3. Lamenta la ricorrente che la Corte d’Appello ha errato nella scelta della tabella di cui al DM n. 55/2014, così pervenendo ad una complessiva liquidazione dei compensi per le spese di lite inferiore al minimo previsto dalla tariffa forense per un procedimento collegiale svoltosi avanti alla Corte d’Appello.
Anche tale motivo è fondato.
Per le cause di valore fino a €. 5.200,00 i minimi tariffari previsti dalle Tabelle vigenti sono €. 268 ,00 (per la fase di studio), €. 268,00 (per quella introduttiva), €. 496,00 (per quella di trattazione) e €. 496,00 (per quella di decisione).
La Corte d’Appello, liquidando la somma di € . 450,00 ha violato i minimi tariffari incorrendo così ancora una volta nella violazione di legge e pertanto il decreto va cassato anche in relazione a tale profilo.
Il giudice di rinvio (che si individua nella Corte d’Appello di L’Aquila in diversa composizione) rimedierà ai suddetti errori attenendosi ai principi citati e regolerà anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’Appello di L’Aquila in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2025.