Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10508 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10508 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10831/2024 R.G. proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME
-intimati- avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO MILANO n. 3541/2023 depositata il 14/11/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati ammessi al passivo del fallimento, dichiarato il 16.4.2004, di RAGIONE_SOCIALE di cui erano stati lavoratori subordinati; la procedura fallimentare era stata chiusa in data 21.12.2022. Il Giudice
designato aveva rilevato l’eccedenza di durata della procedura fallimentare di 11 anni rispetto a quella ragionevole, individuata a partire dall’ammissione al passivo (il 3.11.2005) fino alla chiusura, liquidando € 400 per ogni anno di ritardo.
2. Proposta opposizione ex art.5 ter legge Pinto, il Ministero della Giustizia aveva lamentato che non si sarebbe tenuto conto: della tenuità degli importi residui, essendo stata rimborsata gran parte del credito sia di NOME COGNOME sia di NOME COGNOME entro il primo anno dall’ammissione al passivo per l’intervento del Fondo di Garanzia INPS; del fatto che entro il periodo di ragionevole durata erano stati versati acconti per importi consistenti (residuavano € 1.195,05 per NOME COGNOME ed € 4.600,82 per NOME COGNOME); del fatto che l’indennizzo non poteva essere comunque superiore al valore dei crediti accertato con riferimento al periodo di ingiustificato perdurare del fallimento. Secondo il Ministero i crediti residui sarebbero stati da considerare ( i ) palesemente irrisorio quello di NOME COGNOME e ( ii ) palesemente sproporzionato rispetto all’indennizzo riconosciuto quello di NOME COGNOME. Ciò avrebbe dovuto comportare il rigetto delle domande proposte.
La Corte d’Appello di Milano aveva parzialmente accolto l’opposizione, riducendo gli importi riconosciuti a favore degli ex lavoratori ad € 200,00 per ogni anno di ritardo. Per quanto qui ancora interessa la Corte aveva ritenuto che: l’intervento dell’INPS poteva giustificare un ulteriore scostamento rispetto ai parametri ordinari di liquidazione e, ove il credito residuo vantato dal lavoratore alla fine del periodo di ragionevole durata si fosse notevolmente ridotto rispetto a quello ammesso al passivo (per la percezione a distanza di pochi mesi dall’ammissione di gran parte del credito), come nel caso di specie, la riduzione poteva essere ancora maggiore e arrivare a € 200,00 per anno; -per la complessità del procedimento presupposto, si richiamava la relazione del Giudice Delegato al Presidente del Tribunale in data 4.8.2023, dalla quale emergeva che il ritardo era imputabile alle iniziative intraprese nell’esclusivo interesse dei creditori, giustificando il riferimento ai parametri annuali ulteriormente ridotti, come sopra indicati; -il credito residuo dopo l’intervento del FG INPS non poteva ritenersi irrisorio o bagatellare, trattandosi comunque di una somma dovuta ad un lavoratore persona fisica quale retribuzione; si riconoscevano quindi € 2.200,00 per ognuno degli ex lavoratori a titolo di indennizzo.
Il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo:
I) violazione e/o falsa applicazione dell’art.2 bis comma 3 della legge 24 marzo 2001 n.89, in relazione all’art.360 co 1 n.3 c.p.c.; per la posizione di NOME COGNOME la Corte avrebbe dovuto limitare l’indennizzo ad € 1.195,05, che costituisce la somma residua che l’ex lavoratore avrebbe potuto ancora pretendere al compimento del termine di ragionevole durata della procedura, alla quale sola poteva essere parametro il turbamento dell’animo dell’istanze per il protrarsi del fallimento; ciò anche per evitare illegittime locupletazioni.
NOME COGNOME è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. NOME COGNOME era stato ammesso al passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE per l’importo di € 10.831,58, sicuramente superiore alla misura dell’indennizzo riconosciutogli ex art. 2 bis l. n.89/2001 dalla Corte d’Appello di Milano in € 2.200,00 per il superamento pari a undici anni del termine di ragionevole durata della procedura fallimentare. E’ pure pacifico che al termine dei sei anni di durata ragionevole della procedura concorsuale l’ex lavoratore aveva già ottenuto il pagamento quasi integrale del dovuto per l’intervento del Fondo di Garanzia INPS: residuava ancora a suo credito, infatti, il solo importo di € 1.195,05, ulteriormente ridottosi in sede di riparto finale a € 914,01.
La valutazione del motivo di ricorso in esame richiede pertanto di stabilire che cosa si debba intendere per ‘valore della causa o, se inferiore’, valore del ‘diritto accertato dal giudice’, che rappresentano ex art.2 bis co 3 l. n.89/2001 il limite massimo dell’indennizzo liquidabile.
Questa Corte di Cassazione è recentemente intervenuta, proprio con riferimento alla durata irragionevole di un fallimento, con la sentenza n.1103/2025, sezione seconda, dando atto dell’esistenza al suo interno di orientamenti interpretativi non coincidenti sull’identificazione del ‘valore della causa’ e del ‘credito accertato’, da prendere a riferimento per l’operatività del limite individuato ex art.2 bis co 3 l. n.89/2001, e componendo il contrasto come segue: ‘ Ai fini dell’equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo fallimentare, i limiti dell’indennizzo ex art. 2-bis, comma 3, l. n. 89 del 2001 vanno individuati, per il creditore del fallito, quanto al valore della causa, nell’ammontare del credito indicato nell’istanza di ammissione e, quanto al valore del diritto accertato dal giudice, in quello del credito ammesso al passivo, mentre l’entità della pretesa creditoria rimasta insoddisfatta all’esito dei piani di riparto può, invece, riverberare i suoi effetti sulla misura del parametro
annuo di liquidazione del danno, ma non può costituire il limite dell’ammontare totale della liquidazione ‘.
Dalla condivisibile motivazione della sentenza, alle cui argomentazioni in diritto si fa riferimento, deriva che:
-gli importi da prendere a riferimento come tetto massimo, ex art.2 bis co. 3, per la liquidazione degli indennizzi ex l. n.89/2001 a favore dei soggetti interessati sono quelli risultanti dai provvedimenti di ammissione al passivo fallimentare, senza considerazione né di quanto versato dal Fondo Garanzia INPS, né di eventuali somme percepite in sede di riparto per diminuirne l’entità: l’ammissione al passivo integra, infatti, il ‘diritto accertato dal giudice’ al quale fa riferimento la norma richiamata;
-l’intervento di pagamenti da parte del Fondo di Garanzia INPS e/o nell’ambito di eventuali riparti in sede fallimentare, e le relative tempistiche non sono elementi in assoluto irrilevanti; essi non concorrono ad identificare il limite di indennizzo ai fini dell’art.2 bis co. 3 l. cit. ma possono e debbono essere considerati ai fini della determinazione dell’indennizzo in base ai commi 1 e 2 dell’art.2 bis cit.
Nel caso di specie, posto che l’importo da prendere a riferimento ai sensi dell’art.2 bis co 3 cit. è quello di € 10.831,58, la Corte di merito ha puntualmente tenuto conto dell’incidenza dell’intervenuto pagamento di gran parte del dovuto a favore di NOME COGNOME entro il termine di durata ragionevole della procedura, ritenendo che ciò, pur non permettendo la qualificazione del credito residuo, pur sempre correlato alla prestazione di lavoro subordinato, come irrisorio, giustificasse uno scostamento significativo verso il basso dai parametri ordinari di liquidazione dell’indennizzo.
Il provvedimento impugnato ha pertanto correttamente applicato le indicazioni interpretative che sono state infine ritenute appropriate dalla Corte di Cassazione con la sentenza sopra richiamata ed ha offerto una motivazione priva di intrinseca contraddittorietà in ordine alla debenza e alla quantificazione dell’indennità ex l. n.89/2001: il disposto dell’art.2 bis cit. appare pertanto essere stato pienamente rispettato, anche in ordine alle limitazioni poste dal suo ultimo comma.
Il ricorso deve essere conseguentemente respinto.
Nulla deve essere disposto in ordine alle spese del giudizio di legittimità non essendosi costituito il controricorrente.
La Corte respinge il ricorso;
Nulla sulle spese.
Così deciso in Roma, nell’adunanza in camera di consiglio del 22.1.2025