Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31023 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31023 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17255/2022 R.G. proposto da COGNOME, COGNOME, COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME del foro di Milano, con procura speciale congiunta in calce al ricorso, ed elettivamente domiciliati all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
-ricorrenti –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore;
-intimato – avverso il decreto della Corte di appello di Palermo n. 7/2022 depositato il 3 gennaio 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 febbraio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva in fatto e in diritto
Ritenuto che:
con decreto n. 195 del 24.01.2019 il Presidente della Sezione Lavoro e Previdenza della Corte di appello di Palermo, previa riunione dei giudizi R.G. n. 781/2018 e R.G. n. 782/2018, accoglieva, per quanto di ragione, la domanda di equa riparazione presentata da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di eredi di NOME COGNOME, in relazione alla irragionevole durata di procedimento svoltosi dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale di Palermo e svoltosi dal 03.12.2002 al 25.08.2017 (perento dal 07.12.2011 al 26.03.2012 ed interrotto fino al 10.01.2017 per il decesso dell’originario ricorrente), liquidando a titolo di indennizzo la somma di euro 3.000,00, oltre ad interessi e a spese;
-decidendo sull’opposizione ex art. 5 -ter legge n. 89/2001 proposta avverso il citato decreto dagli originari ricorrenti, la Corte di appello, con decreto n. 1917 del 13.09.2019, riteneva fondata la censura concernente la erroneità del calcolo dell’indennizzo riconosciuto per essere stati instaurati due diversi giudizi presupposti avanti al Tar, per cui raddoppiava l’indennizzo;
-proposto ricorso dai Barone anche avverso quest’ultimo decreto, la Corte di cassazione, con ordinanza n. 17685/2021, in accoglimento del primo motivo, assorbito il secondo, affermava che più volte era stato espresso l’orientamento secondo cui, qualora la parte del giudizio civile (o amministrativo) presupposto decedesse, l’erede aveva diritto a conseguire, pro quota e iure successionis , l’eccessiva protrazione del processo, nonché iure proprio l’indennizzo dovuto in relazione all’ulteriore decorso della m edesima procedura, dal momento in cui avesse assunto formalmente la qualità di parte, ovverosia costituendosi nel giudizio;
-riassunto il giudizio, ai sensi dell’art. 392 c.p.c., dagli stessi Barone, in data 14.09.2021, avanti alla stessa Corte di appello, con decreto n. 7/2022, il giudice del rinvio con riferimento al procedimento n.
4616/2002, introdotto con ricorso del 03.12.2002, definito con sentenza del 25.08.2017, la durata complessiva era stata di 9 anni, 2 mesi e 26 giorni, arrotondati a nove anni, di cui solo sette mesi e quindici giorni maturati dopo la costituzione degli eredi (quindi meno di un anno), con la conseguenza che -applicata la decurtazione di legge riconosceva un indennizzo di euro 3.000,00 (euro 400 x 3 + 500 x 3 + 600 x 3 -1/3), che spettava agli eredi interamente iure ereditatis e quindi per quota. Eguali considerazioni venivano svolte anche con riferimento al processo presupposto n. 2213/2003;
la cassazione anche di questo decreto del giudice del rinvio è stata chiesta dai Barone sulla base di due motivi;
il Ministero è rimasto intimato.
Atteso che:
con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 2 e 2 bis della legge n. 89/2001, nonché dell’art. 6 CEDU, ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio discusso fra le parti quanto ai parametri di liquidazione del quantum, per non essere stati utilizzati i criteri di cui alla legge n. 134 del 2012, oltre alla decurtazione immotivata di un terzo.
Con il secondo mezzo nell’insistere per la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 2 e 2 bis della legge n. 89/2001, nonché dell’art. 6 CEDU, ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio discusso fra le parti, i ricorrenti lamentano che non sia stato loro riconosciuto l’indennizzo iure proprio per essere comunque decorso un termine di 7 mesi e 15 giorni, da arrotondare ad un anno, di durata irragionevole del giudizio, dovendo tale periodo essere sommato al primo.
Entrambe le censure sono fondate nei limiti di quanto di seguito esposto.
Quanto al primo motivo, occorre precisare che nella specie trova applicazione il comma 1 dell’art. 2 -bis della legge 24 marzo 2001, n.
89, come risultante dalle sostituzioni operate dall’art. 1, comma 777, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 per essere stato i ricorsi, poi riuniti, per equa riparazione depositati in data 21.08.2018 e dunque in epoca successiva alla sua entrata in vigore, fissata al 10 gennaio 2016. Ne consegue la correttezza dell’applicazione dell’art. 2 bis della legge 24 marzo 2001, n. 89, che aveva limitato la misura dell’indennizzo in una somma di denaro, non inferiore a 400 euro e non superiore a 800 euro per anno di ritardo. L’art. 2-bis, legge n. 89/2001, nello stabilire la misura ed i criteri di determinazione dell’indennizzo a titolo di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, rimette, quindi, al prudente apprezzamento del giudice di merito sindacabile in sede di legittimità nei soli limiti ammessi dall’art. 360, n. 5, c.p.c. – la scelta del moltiplicatore annuo, compreso tra il minimo ed il massimo ivi indicati (dapprima non inferiore a 500 euro e non superiore a 1.500 euro, per ciascun anno, poi non inferiore a 400 euro e non superiore a 800 euro per ciascun anno), da applicare al ritardo nella definizione del processo presupposto, orientando il quantum della liquidazione equitativa sulla base dei parametri di valutazione, tra quelli elencati nel comma 2 della stessa disposizione, che appaiano maggiormente significativi nel caso specifico (Cass. 16 luglio 2015 n. 14974; Cass. 1° febbraio 2019 n. 3157).
Pure condivisibile è la detrazione dei periodi della perenzione, dal 07.12.2011 al 26.03.2012 e della interruzione, dall’11.11.2014 al 10.01.2017, per il primo giudizio, e dal 24.04.2012 al 27.05.2012, e dall’11.11.2014 al 10.01.2017, per il secondo giudizio. Difatti come evidenziato dalla norma di cui all’art. 2 legge cit., che al comma terzo contempla il criterio per determinare la durata del processo presupposto. La disposizione prevede che “si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità. Si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in
un tempo non superiore a sei anni.
Ai fini del computo non si tiene conto del tempo in cui il processo è sospeso e di quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l’impugnazione e la proposizione della stessa”.
Tuttavia, la Corte distrettuale ha errato laddove ha apportato la decurtazione di 1/3 all’indennizzo liquidato senza fornire motivazione alcuna di siffatta operazione, peraltro riportata incidentalmente in parentesi.
Del pari la seconda censura è fondata per non avere la Corte territoriale riconosciuto alcun indennizzo iure proprio, pur avendo verificato che erano decorsi sette mesi e quindici giorni dopo la riassunzione del giudizio a causa del decesso di NOME COGNOME, periodo che va arrotondato ad un anno, ai sensi del medesimo art. 2 bis, giacché la qualificazione ordinamentale negativa del processo, ossia la sua irragionevole durata, era stata già acquisita nel segmento temporale nel quale parte era il “de cuius” e permane altresì in relazione alla valutazione della posizione dei successori – che subentrano, pertanto, in un processo oggettivamente irragionevole, come deve dirsi avvenuto nel caso in esame -, per cui l’erede ha diritto all’indennizzo “iure proprio” per l’irragionevole durata del giudizio successiva alla propria rituale costituzione.
In conclusione, il ricorso va accolto nei limiti di cui in motivazione e con cassazione in parte qua del decreto della Corte di appello di Palermo impugnato e, poiché non risultano necessari ulteriori accertamenti di fatto ex art. 384 comma 2° c.p.c., la decisione della causa nel merito nel senso che il Ministero dell’economia e delle finanze deve essere condannato al pagamento, in favore del ricorrente, dell’indennizzo riconosciuto, elidendo la decurtazione della quota di un terzo, e così per complessivi euro 4.500,00 per ciascuno dei due giudizi presupposti, in luogo del minore importo riconosciuto di euro 3.000,00, oltre accessori, da ripartirsi pro quota, cui va aggiunto un ulteriore importo di euro 400,00, oltre accessori, a titolo iure proprio per ciascuno dei due
giudizi, indennizzo da ripartirsi pro quota fra gli eredi.
Liquida le spese delle diverse fasi del giudizio, ai sensi della tabella 12, e del presente giudizio come da dispositivo, con distrazione in favore dei procuratori antistatari che ne hanno fatto richiesta.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione;
cassa il decreto della Corte di appello di Palermo -sempre nei limiti di cui in motivazione, confermata per il resto – e decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento in favore dei ricorrenti, pro quota, di un indennizzo pari ad euro 9.000,00, oltre interessi dalla domanda al soddisfo, iure hereditatis , oltre ad euro 800,00 per ciascuno, iure proprio , con interessi dalla domanda al soddisfo;
condanna l’Amministrazione alla rifusione delle spese processuali in favore dei ricorrenti che liquida per il primo giudizio dinanzi alla predetta Corte, in euro 1.080,00, aumentato di euro 410,00 per essere stati nella prima parte avviati due procedimenti monitori e per la pluralità delle parti, oltre ad euro 1.470,00 per il giudizio di rinvio ed euro 1.470,00 per il primo giudizio di legittimità, con rimborso forfettario per tutti i giudizi delle spese generali e agli accessori di legge e con distrazione in favore degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME dichiaratisi antistatari;
condanna, altresì, l’Amministrazione alla rifusione delle spese del presente giudizio che vengono liquidate in complessivi euro 1.300,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali ed accessori e con distrazione in favore dello stesso difensore, avvocato NOME COGNOME dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di cassazione, l’8 febbraio 2024.
Il Presidente dott. NOME COGNOME