Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34399 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 34399 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 19239 del ruolo generale dell’anno 2021 , proposto da
COGNOME NOME (c.f.: CODICE_FISCALE), nato a Cinquefondi il 6 aprile 1946, residente in Cinquefondi (89021), INDIRIZZO; COGNOME NOME (c.f.: CODICE_FISCALE), nata a Cinquefondi il 29 luglio 1947, residente in Roma (00193), INDIRIZZO; COGNOME NOME (c.f.: CODICE_FISCALE), nato a Cinquefondi il 27 settembre 1950, residente in Catanzaro (88100), INDIRIZZO; COGNOME NOME (c.f.: CODICE_FISCALE), nata a Cinquefondi il 12 febbraio 1954, residente in Roma (00193), INDIRIZZO; COGNOME NOME (c.f.: CODICE_FISCALE), nata a Cinquefondi il 12 febbraio 1954, residente in Roma (00193), INDIRIZZO, rappresentati e difesi, giusta procura speciale in calce al ricorso, dal Prof. Avv. NOME COGNOME nato ad Ovada il 26 novembre
1947 (c.f.: CODICE_FISCALE; PEC: EMAIL), e con domicilio eletto presso il suo studio sito in Roma, INDIRIZZO
Ricorrenti
contro
Comune di Melicucco (CF: 00217530807) in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso in come da procura speciale in calce al controricorso dall’Avv. NOME COGNOME (CF: CODICE_FISCALE; pecEMAIL -fax NUMERO_TELEFONO), giusta delibera della Giunta Comunale n. 53 del 5 agosto 2021, con dichiarazione di voler ricevere, ai sensi dell’art. 125, comma 1, c.p.c., nonché de ll’art. 136, co. 3 c.p.c., ogni comunicazione all’indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL – elezione di domicilio in Roma presso la Cancelleria della Suprema Corte.
Controricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria n° 251 depositata il 27 aprile 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 dicembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .-All’esito di un contenzioso iniziato da NOME COGNOME proprietario di un suolo ricadente in zona C ed allibrato al foglio 7, particella 945 del catasto del Comune di Melicucco, oggetto di un piano particellare di esproprio per la viabilità comunale -la Corte d’appello di Reggio Calabria, adita dal proprietario onde ottenere l’indennità di esproprio e quella di occupazione, con sentenza n° 119 del 13 marzo 2012 liquidava la sola indennità di occupazione legittima del fondo (avendo l’attore insistito solo per essa) per il periodo compreso tra il 2 marzo 2001 e il 2 marzo 2005 in euro
25.494,98, sulla base della consulenza tecnica d’ufficio resa dal Dott. NOME COGNOME che aveva stimato il valore del suolo occupato in euro 120,00 al mq con riferimento alla data di compimento dei lavori (29 novembre 2002).
Scaduti i termini dell’occupazione legittima, senza che fosse stato emesso il decreto di esproprio, il COGNOME adiva il Tar Calabria onde ottenere la liquidazione dell’indennizzo per la perdita della proprietà e il giudice adito con sentenza n° 696/2008 gli riconosceva euro 324.135,41, liquidando sempre euro 120,00 al mq (somma pagata dal Comune all’ablato).
2 .- Con delibera consiliare n° 15 del 26 giugno 2013 il Comune acquisiva l’area in questione al proprio patrimonio indisponibile, ai sensi dell’art. 42 -bis d.P.R. n° 327/2001, liquidando un’indennità di euro 92.339,00.
Successivamente il Consiglio di stato, su impugnazione del Comune soccombente davanti al Tar Reggio Calabria, con sentenza n° 6066/2013 ha dichiarato improcedibile l’appello ed il ricorso di primo grado a causa della sopravvenuta acquisizione sanante.
Infine, la Corte d’appello di Reggio Calabria (dopo che gli eredi COGNOME, subentrati a NOME, si erano rivolti dapprima al Tribunale di Palmi e poi alla Corte di cassazione in sede di regolamento di giurisdizione) con la sentenza qui impugnata ha aderito alle conclusioni rese dal nuovo c.t.u. ed ha quindi accertato la corretta estensione del fondo (mq 1874), quantificando, ai sensi del citato art. 42bis , l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale in euro 40,00 al mq, per complessivi euro 74.960,00.
Ha poi liquidato, quella Corte, l’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale in euro 7.496,00 e quello per il periodo di occupazione illegittima -protrattasi dal 2 marzo 2005 al 15 dicembre 2008 (data a partire dalla quale il suolo era detenuto dal Comune in esecuzione alla sentenza n° 796/2009 del TAR Calabria, Sezione di Reggio Calabria) -in euro 14.055,00, per un totale di 96.511,00.
E poiché tale importo era inferiore a quello ricevuto dagli ablati in esecuzione della sentenza n° 696/2008 del Tar Reggio Calabria (euro 324.135,41), in accoglimento della domanda del Comune disponeva la restituzione della somma eccedente.
3 .- Osservava la Corte, per quello che qui ancora rileva, che i ricorrenti avevano infondatamente invocato il giudicato derivante dalla precedente sentenza emessa dalla stessa Corte (n° 119/2012), in quanto la statuizione contenuta in tale pronuncia aveva efficacia in relazione alla qualità del fondo (ritenuto edificatorio), ma non al valore dello stesso.
Nemmeno poteva essere considerata, al fine di liquidazione dell’indennizzo, l’opera pubblica realizzata dal Comune sul suolo del Guerrisi, trattandosi di fatti e questioni del tutto nuovi ed anche infondati, sia in ragione della giurisprudenza unionale (Corte di giustizia UE 22 dicembre 2009, Guiso-Gallisay contro Italia), sia in ragione del testo dell’art. 42 -bis , che prevede la liquidazione dell’indennità commisurata ‘ al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità ‘, lasciando con ciò intendere che l’espressione ‘ bene utilizzato ‘ si riferiva necessariamente al suolo e non anche all’opera pubblica realizzata.
4 .- Ricorrono per la cassazione di tale sentenza gli eredi COGNOME affidando il gravame a tre mezzi.
Resiste il Comune, che conclude per l’inammissibilità e, comunque, per il rigetto dell’impugnazione.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato una memoria ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5 .- Col primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ.
Con la sua precedente sentenza n° 119 del 13 marzo 2012 la Corte d’appello aveva liquidato l’indennità per l’occupazione legittima partendo dalla constatazione che il suolo fosse edificabile ed il valore al mq pari ad euro 120,00.
Con la sentenza qui impugnata, invece, la Corte, pur osservando il giudicato sulla natura edificabile del suolo derivante dalla sentenza n° 119, lo avrebbe arbitrariamente limitato, affermando, sulla scorta della c.t.u., che il corretto valore unitario del bene fosse pari ad euro 40,00 al mq.
6 .- Il motivo è infondato, essendo contrario alla giurisprudenza di questa Corte.
In tema di espropriazione per pubblica utilità, è stato recentemente ribadito (Cass., sez. 1, 25 luglio 2018, n° 19758) che le opposizioni alla stima dell’indennità di occupazione e quelle all’indennità di espropriazione contengono domande distinte ed autonome, avuto riguardo alle diversità delle relative causae petendi, costituite l’una dalla privazione del godimento del bene occupato e l’altra dall’ablazione di quello espropriato.
Di conseguenza, in relazione ai rapporti tra i detti giudizi può assumere efficacia di cosa giudicata esclusivamente la qualificazione giuridica del terreno, quale antecedente logico giuridico della statuizione sull’indennità di occupazione legittima, ma non l’accertamento del suo valore di mercato, tanto per l’evidenziata autonomia dei rapporti, quanto per la diversità dei periodi considerati (per tutte: Cass., sez. 1, 14 ottobre 2019, n° 25859).
7 .- Col secondo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e della falsa applicazione dell’art. 42 -bis , primo comma, del d.P.R. n° 327/2001.
La Corte aveva escluso che nella quantificazione dell’indennizzo potesse tenersi conto dell’opera pubblica realizzata sul fondo anteriormente al provvedimento di cosiddetta acquisizione sanante. Per contro, l’acquisizione ex art. 42bis non ha effetto retroattivo, con la conseguenza che ogni opera costruita sul suolo anteriormente all’acquisizione predetta accede al suolo, ai sensi dell’art. 934 cod. civ. e deve essere considerata nella liquidazione dell’indennizzo.
8 .- Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
Anzitutto la Corte, pur avendolo esaminato nel merito, ha premesso che la questione della liquidazione dell’indennizzo tenendo conto dell’opera pubblica realizzata sul fondo devolveva al Collegio l’esame di fatti del tutto nuovi (come pure rileva il resistente a pagina 15 del controricorso).
Questo passaggio motivazionale -che costituisce una autonoma ratio decidedi -non è stato aggredito dai ricorrenti, con la conseguenza che tale omissione ne determina l’inammissibilità.
In ogni modo, questa Sezione (Cass., sez. I, 6 giugno 2024, n° 15822; Cass., sez. I, 13 aprile 2023, n° 9871) ha già deciso che ai fini dell’indennizzo ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, il valore venale del bene oggetto del provvedimento di c.d. « acquisizione sanante » debba essere determinato (con riferimento alla data di adozione del provvedimento acquisitivo) senza tenere conto del valore delle opere pubbliche realizzate medio tempore dalla PA.
Infatti, il legislatore ha previsto unicamente una misura forfettizzata (5%) per il periodo di occupazione sine titulo e, quanto al danno patrimoniale, ha previsto che l’indennità sia commisurata « al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità » e non a quello del bene « risultante dalla » predetta utilizzazione.
L’espressione « utilizzato » vale solo ad individuare il bene oggetto della misura indennitaria, ma non legittima l’inclusione nel valore
del bene anche di quello dell’opera pubblica su di essa realizzata, non dal privato ma dalla pubblica amministrazione.
Da ciò si è arguito che, se quello che rileva è il valore intrinseco del bene occupato e trasformato, non può essere inglobato in esso anche il valore delle opere nel frattempo realizzate dalla pubblica amministrazione, così da evitare che l’indennizzo si traduca in un indebito arricchimento dell’ablato ed in una altrettanto indebita duplicazione di costo per la amministrazione, la quale, dopo avere realizzato le opere a proprie spese, dovrebbe rimborsarne il valore al proprietario, senza nemmeno beneficiare dell’indennizzo previsto dagli artt. 936 cod. civ. per l’ipotesi -alternativa alla acquisizione -della restituzione del bene nello stato in cui si trova dopo la trasformazione.
Si è inoltre osservato che l’art. 42 -bis comma 3, in punto di quantificazione del pregiudizio patrimoniale, fa espresso rinvio all’art. 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7, del d.P.R. n° 327/2001 e che l’art. 37, comma 4, fa salva la disposizione dell’art. 32, primo comma.
Quest’ultima norma detta le regole generali da seguire nel computo dell’indennità di espropriazione ed espressamente prescrive, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione sulla base delle caratteristiche del bene « alla data dell’emanazione del decreto di esproprio », che si debba valutare « l’incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa» e che non si considerino «gli effetti del vincolo preordinato all’esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell’eventuale opera prevista, anche nel caso di espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà o di imposizione di una servitù».
In sostanza, gli effetti connessi alla realizzazione dell’opera pubblica non vanno considerati né in diminuzione né in accrescimento del valore venale del bene.
Anche la Corte Costituzionale, nella sentenza n° 283/1993, nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 5bis del decreto legge
11 luglio 1992 n° 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992 n° 359, aveva già chiarito, al § 6.6, che, una volta rispettato il canone di adeguatezza espresso dall’art. 42, comma 3, Cost., «rientra nella discrezionalità del legislatore fissare i criteri di determinazione dell’indennità espropriativa secondo generali valutazioni di politica economico-finanziaria che possono tenere conto anche del fatto che la rendita di posizione, della quale è parzialmente privato il soggetto espropriato, è frutto in larga parte – oggi più ancora che in passato – di investimenti della collettività». Infine anche la Corte EDU, Grande Chambre, nella sentenza RAGIONE_SOCIALE contro Italia del 22 dicembre 2009, citata anche nel provvedimento impugnato, ha confermato il revirement della giurisprudenza inaugurato dalla sentenza del 21 ottobre 2008, in tema di calcolo del risarcimento dei danni da espropriazione indiretta finora seguito (consistente nel riconoscere alle vittime una somma pari al valore attuale del fondo espropriato aumentata del plusvalore apportato dalla costruzione delle opere: sentenza Papamichalopoulos del 31 ottobre 1995 e sentenza Carbonara e Ventura dell’11 dicembre 2003), affermando che il criterio secondo cui l’indennizzo equo debba ricomprendere anche il plusvalore apportato dall’opera pubblica reca un pericolo discriminatorio decisivo, quello di differenziare il ristoro dovuto ai proprietari espropriati sulla base di un elemento, indipendente dalla loro volontà, del tutto casuale, quale il valore dell’opera costruita dall’ente pubblico procedente.
Merita quindi di ricevere continuità il principio formulato da questa Sezione, condiviso dal Collegio e non confutato dalle difese dei ricorrenti, secondo il quale « In tema di indennizzo ex art.42 bis d.p.r. 327/2001, ai fini della determinazione del valore venale del bene oggetto del provvedimento di c.d. acquisizione sanante, alla data della adozione dello stesso, non deve computarsi, alla luce del tenore della citata disposizione, nonché del richiamo all’art.37,
comma 4, d.p.r. 327/2001, che fa salva la disposizione dell’art.32, comma 1, anche il valore dell’opera pubblica che sullo stesso bene sia stata, anche solo parzialmente, realizzata dalla pubblica amministrazione ».
Del resto, anche sotto il profilo sistematico, tale conclusione resta indirettamente avvalorata dai principi che disciplinano l’accessione di diritto comune, che comunque porterebbero ad escludere la correttezza della soluzione di attribuire al proprietario del fondo acquisito una indennità parametrata al valore attuale del fondo acquisito, incluso il valore dell’opera pubblica sullo stesso nel frattempo realizzata, sol perché oggetto di acquisto medio tempore per accessione da parte del privato.
L’art. 936 cod. civ. in tema di « Opere fatte da un terzo con materiali propri » prevede che, quando le piantagioni, costruzioni od opere sono state fatte da un terzo con suoi materiali, il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle.
Se il proprietario preferisce di ritenerle, deve pagare a sua scelta il valore dei materiali e il prezzo della mano d’opera oppure l’aumento di valore recato al fondo.
Poiché in caso di acquisizione sanante è da escludersi che il proprietario del bene acquisito possa imporre la rimozione delle opere realizzate alla Pubblica Amministrazione, inevitabilmente in sede di valutazione del valore di mercato del bene ablato occorre tener conto dell’onere economico suddetto, che grava sulla proprietà acquisita, considerata la pacifica natura ambulatoria dell’obbligazione in questione.
8 .- Col terzo motivo, contenente due profili, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 42 -bis , terzo comma, del d.P.R. n° 327/2001.
Secondo un primo profilo, la Corte avrebbe liquidato l’indennizzo da occupazione senza titolo riconoscendo euro 14.055,00, ma senza
considerare -come invece dedotto dagli ablati -che ove il procedimento espropriativo si fosse concluso con l’emissione tempestiva del decreto di esproprio la perdita del fondo sarebbe stata indennizzata con euro 120,00 al mq.
Pertanto, dato che ai sensi dell’art. 42 -bis , terzo comma, l’occupazione senza titolo è indennizzata mediante gli interessi al 5% annuo sul valore venale del bene, era chiaro che i Guerrisi avrebbero ottenuto un maggior ristoro: donde ‘ la prova di una diversa entità del danno ‘ ai sensi dell’art. 42 -bis , terzo comma.
Con un ulteriore profilo deducono che la Corte avrebbe erroneamente individuato il periodo di occupazione senza titolo ‘ dal 02 marzo 2005 al 15 dicembre 2008 ‘, data a partire dalla quale il suolo era detenuto dal Comune in esecuzione della sentenza n° 696/2009 del TAR Calabria.
Al contrario, nel caso di specie l’occupazione illegittima si era protratta dal 2 marzo 2005 fino al 26 giugno 2013, quando il Comune di Melicucco aveva adottato il provvedimento -non retroattivo -di acquisizione sanante ex art. 42bis , d.P.R. n. 327 del 2001.
9 .- Il primo profilo è manifestamente infondato, in quanto si fonda su un’interpretazione non persuasiva dell’art. 42 -bis , terzo comma, secondo periodo.
Tale disposizione, infatti, prevede che l’occupazione senza titolo sia liquidata mediante l’attribuzione di un interesse pari al cinque per cento annuo sul valore venale del suolo, ‘ se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno ‘.
Anzitutto, la diversa entità del danno reclamato dai ricorrenti non emerge qui ‘ dagli atti del procedimento ‘, ma è affidata ad un giudizio controfattuale, ossia ad un periodo ipotetico, secondo il quale ‘ se il procedimento ablatorio si fosse perfezionato con l’emissione del decreto di espropriazione ‘, la sentenza n° 119/2012 della Corte d’appello di Reggio Calabria ‘ avrebbe necessariamente
liquidato l’indennità di espropriazione del terreno sulla base del valore unitario di euro 120,00 al mq ‘.
Tale assunzione tralascia, tuttavia, di considerare che l’indennizzo da occupazione senza titolo va pur sempre liquidato in base al valore venale del suolo al momento dell’emissione del decreto di acquisizione sanante, con la conseguenza che la valutazione del cespite deve necessariamente tener conto delle fluttuazioni del mercato immobiliare e, dunque, anche della diminuzione del valore dei cespiti, fermo restando che la Corte d’appello può sempre adottare un diverso criterio di determinazione del valore venale del cespite, posto che -come si è detto sopra -il precedente giudicato eventualmente intervenuto preclude una diversa qualificazione del suolo, ma non impedisce una diversa valutazione di esso.
Il secondo profilo appare invece meritevole di accoglimento.
Premesso, infatti, che con la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria n° 119/2012 è stato liquidato l’indennizzo per l’occupazione senza titolo tra il 2 marzo 2001 (data dell’occupazione) ed il 15 dicembre 2008 (giorno a partire dal quale il suolo era detenuto dal Comune in esecuzione alla sentenza del TAR Calabria); e premesso altresì che la sentenza del Tar Reggio Calabria è venuta meno per effetto della sentenza n° 6066/2013 del Consiglio di stato (con la quale è stato dichiarato improcedibile l’appello proposto dal Comune e, in riforma della sentenza impugnata, improcedibile il ricorso originario), è evidente che il Comune si è trovato nella detenzione del suolo senza un titolo dal 2 marzo 2001 al 26 giugno 2013, data di emissione del provvedimento di acquisizione sanante.
Ne deriva, da un lato, che l’indennizzo per l’occupazione senza titolo è già stata liquidato in euro 25.498,48 per il periodo dal 2 marzo 2001 al 2 marzo 2005 e che la Corte territoriale avrebbe dovuto liquidare l’ulteriore indennizzo per l’occupazione, del pari
senza titolo, dal 2 ( recte : 3) marzo 2005 al 26 ( recte : 25) giugno 2013.
Per questo limitato profilo, la sentenza va cassata e rimessa alla Corte che ha emesso il provvedimento impugnato, la quale provvederà anche sulle spese del giudizio.
p.q.m.
la Corte accoglie il terzo motivo di ricorso nei limiti indicati in motivazione. Respinge i primi due motivi. Cassa in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 17 dicembre 2024, nella camera di