Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23429 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23429 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 9787/2024 r.g. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME, anche nella qualità di eredi della loro madre, COGNOME NOME, rappresentati e difesi, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni di cancelleria all’indirizzo pec indicato, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso il suo studio.
-ricorrenti –
contro
COMUNE DI COGNOME, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME la quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni di cancelleria all’indirizzo di posta elettronica certificata in-
dicato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso il suo studio
-controricorrente-
avverso l’ordinanza della Corte di appello di Roma in data 17 ottobre 2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/6/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con il ricorso ex art. 702bis c.p.c. depositato il 15/10/2019, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in proprio e nella qualità di eredi della loro madre NOME COGNOME evidenziavano che il Tar del Lazio, dapprima con sentenza n. 13964 del 2009 aveva condannato il Comune di Montelibretti ad emanare un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43 d.P.R. n. 327 del 2001 (all’epoca vigente), e poi con sentenza n. 8346 del 2018, aveva accolto il ricorso per ottemperanza proposto dai ricorrenti, ordinando al Comune di eseguire il giudicato mediante emanazione di apposito decreto di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. citato, nominando un commissario ad acta in caso di inadempimento.
Il commissario ad acta , con provvedimento n. 8908 del 13/9/ 2019, aveva disposto, ai sensi dell’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001, l’acquisizione sanante in favore del Comune di Montelibretti delle aree di proprietà dei ricorrenti, sulle quali era stata realizzata un’opera stradale ed era stato liquidato il complessivo indennizzo di euro 104.437,91.
La Corte d’appello di Roma, con ordinanza n. 6425/2019 del 17/10/2023, per quel che ancora qui rileva, confermava le conclusioni del CTU, determinando l’indennizzo complessivo in euro
366.338,00, di cui euro 129.426,00 per il valore venale del bene, euro 151.357,00 per l’indennità di occupazione illegittima, pari a 5% del valore venale del bene, euro 12.943,00, per pregiudizio non patrimoniale, pari al 10% del valore venale del bene, nonché euro 72.612,00, per riduzione di valore delle proprietà residue.
La Corte territoriale condivideva le risultanze della CTU, anche in relazione alle risposte da questi date alle osservazioni dei rispettivi c.t. di parte.
Per quel che ancora qui rileva, la Corte d’appello, con riferimento alla osservazione della CTP dei ricorrenti in ordine alla svalutazione dei fondi residui, replicava «come la richiesta di incrementare i suddetti coefficienti di svalutazione di un ulteriore 10%, costituisca diverso parere tecnico non condivisibile dal sottoscritto CTU, trattandosi di percentuali generalizzate di analisi».
Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione gli attori.
Ha resistito con controricorso il Comune, depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la «violazione degli articoli 33 e 42bis del d.P.R. n. 327/2001, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
In sostanza, ad avviso dei ricorrenti, sono stati erroneamente computati sia il pregiudizio non patrimoniale, calcolato nella misura del 10% del valore venale del bene, sia il pregiudizio per l’occupazione illegittima, calcolato nella misura del 5% del valore venale del bene; quindi entrambe le voci dell’indennizzo sono state individuate in base ad una percentuale della somma riconosciuta quale inden-
nizzo per il valore venale delle aree oggetto del provvedimento di acquisizione, pari ad euro 129.426,00.
Ad avviso dei ricorrenti, invece, le percentuali di cui sopra dovevano essere computate con riferimento al valore dell’intero pregiudizio patrimoniale, costituito non solo dal valore venale del bene, ma anche dal deprezzamento delle aree residue non ablate, determinato nella somma di euro 72.612,00.
L’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001 fa riferimento, per determinare le suddette voci indennitarie, al «valore venale del bene», che va però parametrato al «pregiudizio patrimoniale» che, per la sua stessa definizione, concerne l’intera diminuzione economica subita.
Il pregiudizio patrimoniale, nella specie, non poteva che comprendere, dovendo essere integrale, entrambi i pregiudizi, «ossia quello derivante dalla perdita della parte acquisita e quello derivante dal deprezzamento dell’altra parte rimasta in proprietà».
Ciò, anche in coerenza con il sistema previsto dal d.P.R. 327 del 2001 per le espropriazioni condotte nelle forme ordinarie, laddove è certo che la base di calcolo dell’aumento automatico del 10% contemplato dall’art. 37, comma 2, del d.P.R. citato, e dell’indennità di occupazione temporanea di cui all’art. 50 del medesimo d.P.R., è costituita dall’indennità di espropriazione, che qualora riguardi una parte soltanto di un bene unitario va computata in base alle previsioni di cui all’art. 33, dovendosi tener conto anche del decremento di valore subito dalla parte del bene rimasta in proprietà dell’espropriato.
2. Il secondo motivo di impugnazione ricorrenti deducono «l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.».
La Corte d’appello non avrebbe considerato, ai fini della stima della diminuzione del valore delle aree residue, le fasce di rispetto stradale che, per effetto della realizzazione dell’opera pubblica, si sono ingenerati all’interno delle medesime aree residue e di cui il consulente tecnico d’ufficio non ha tenuto conto.
Tale circostanza era stata evidenziata sia dal consulente tecnico di parte dei ricorrenti, attraverso le osservazioni alla bozza di relazione del CTU, sia dalla difesa dei ricorrenti, attraverso le critiche l’elaborato finale del perito, contenute nelle note autorizzate del 25/5/2022 e nelle note conclusive del 4/9/2023.
In particolare, nelle osservazioni del 20/12/2021 i ricorrenti evidenziavano la necessità di incrementare le percentuali di svalutazione «tenendo conto anche delle fasce di rispetto (vincolo di inedificabilità) che si sono venute a creare a seguito della realizzazione della strada».
L’ordinanza della Corte d’appello non farebbe alcun cenno a tale fatto decisivo, sottoposto al contraddittorio, limitandosi ad aderire alla CTU che, però, a sua volta, non ha tenuto conto.
Il primo motivo è fondato.
3.1. Effettivamente la Corte d’appello ha calcolato il pregiudizio non patrimoniale relativo all’adozione del decreto di acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, facendo riferimento alle 10% del valore venale del bene.
Pertanto, poiché il valore venale del bene è stato determinato in euro 129.426,00, il pregiudizio non patrimoniale è stato individuato nella somma di euro 12.943,00.
Lo stesso procedimento matematico è stato utilizzato anche per il computo dell’indennizzo per l’occupazione senza titolo, quindi tenendosi conto della percentuale del 5% del valore venale del bene.
La Corte territoriale ha poi liquidato l’indennizzo per la riduzione del valore delle proprietà residue in euro 72.312,00.
Deve premettersi che l’istituto della espropriazione parziale di cui all’art. 33 del d.P.R. n. 327 del 2001 trova applicazione anche in materia di acquisizione sanante ex art. 42bis del medesimo d.P.R.
Si è ritenuto recentemente che, in tema di espropriazione parziale di un bene unitario, l’indennizzo dovuto ai sensi dell’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, anche ove si tratti di provvedimenti di acquisizione sanante, deve comprendere, in applicazione del generale principio desumibile dall’art. 33 del medesimo d.P.R., la diminuzione del valore economico della porzione di bene rimasta al privato che subisce la perdita del diritto sulla porzione acquisita dalla Pubblica Amministrazione (Cass., sez. 1, 15/1/2025, n. 999).
Le regole contenute nell’art. 33 del d.P.R. n. 327 del 2001 non sono altro che un corollario del principio del valore venale, quale criterio per la determinazione dell’indennizzo.
Ha chiarito questa Corte che «si tratta di indennizzare l’effettivo pregiudizio patrimoniale subito dal soggetto che perde la proprietà dell’immobile, il che comporta la necessità di tenere conto, in aumento dell’indennizzo, della perdita di valore del bene residuo e, in diminuzione, del vantaggio compensativo eventualmente indotto dalla realizzazione dell’opera pubblica» (Cass., sez. 1, 15/1/2025, n. 999).
Del resto, un cenno coerente con tale prospettiva si rinviene anche nella motivazione della sentenza interpretativa di rigetto n. 71 del 2015, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 42bis del d.P .R. citato.
I giudici rimettenti avevano prospettato la questione di legittimità basandosi sul solo dato letterale e trascurando un’interpreta-
zione che facesse riferimento genericamente al «valore venale del bene», limitandosi ad affermare che l’art. 42bis «non contemplerebbe l’ipotesi di espropriazione parziale e non consentirebbe, per questo motivo, di tener conto della diminuzione di valore del fondo residuo» (Cass., n. 999 del 2025).
Una volta stabilito che la fattispecie di espropriazione parziale può intervenire anche con riferimento all’acquisizione sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001, vanno applicati i principi generali, presenti nella fattispecie espropriativo ordinaria, laddove si è ritenuto che l’indennità di occupazione legittima, consistendo in una porzione dell’indennità espropriativa per la perdita del bene, va computata dovendosi tener conto dell’intero pregiudizio subito, e quindi anche del depauperamento delle porzioni di proprietà residua.
5.1. Per questa Corte, infatti, seppure ai fini del calcolo dell’indennità ex art. 22bis del d.P.R. n. 327 del 2001, sussiste un collegamento funzionale tra occupazione temporanea ed espropriazione (Cass., sez., 1, 6/9/2024, n. 23959; Cass., sez. 1, 23/5/2022, n. 16528, che richiama Cass. Sez. U, n. 10362 del 2009), pure se la prima è diretta a compensare la privazione del godimento del bene occupato e l’altra a «ristorare» l’ablazione, nel senso che il perimetro di tutela è lo stesso, nonostante siano distinti i beni della vita oggetto del «ristoro».
Ne consegue che l’unica indennità di esproprio, anche comprensiva del pregiudizio alla porzione non espropriata, è il parametro di calcolo ex art. 50 del d.P.R. n. 327 del 2001 dell’indennità di occupazione temporanea (Cass., sez. 1, 23/5/2022, n. 16528; successivamente, Cass., sez. 1, 6/9/2024, n. 23959).
Pertanto, la Corte territoriale, una volta accertata l’unità funzionale tra la parte espropriata e quella residua e la negativa influenza del distacco della prima della seconda, avrebbe dovuto determinare
l’indennità di occupazione legittima in misura percentuale rispetto alle somme astrattamente dovute a titolo di indennità di espropriazione, «ivi comprese quelle imputabili al deprezzamento subito dalle porzioni residue dell’immobile rimaste nella giuridica disponibilità del proprietario, pur se non siano divenute di fatto inutilizzabili a causa della realizzazione dell’opera pubblica» (Cass. n. 16528 del 2022; Cass., Sez. U, 25/6/2012, n. 10502, per cui l’indennità di occupazione legittima «va commisurata alla definitiva indennità di espropriazione effettivamente dovuta»).
A tale principio si deve dare continuità, essendo coerente con l’esigenza di garantire una piena reintegrazione patrimoniale del privato.
6. Inoltre, anche sul piano letterale l’art. 42bis del d.P.R. n. 327 del 2001 collega espressamente la determinazione del pregiudizio non patrimoniale ad una percentuale (il 10%) del «pregiudizio patrimoniale» (« l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale»).
Subito dopo, la disposizione specifica che il pregiudizio non patrimoniale va «forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene».
Allo stesso modo, l’art. 42bis , comma 3, del d.P.R. n. 327 del 2001, prevede che «salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità ».
Di nuovo risulta significativo il rimando al «pregiudizio patrimoniale» che, dunque, non può prescindere dalla perdita di valore dei fondi residui, estranei all’espropriazione, anche sanante.
Inoltre, in relazione all’indennizzo per l’occupazione illegittima, l’art. 42bis , comma 3, del d.P.R. citato, chiarisce che «per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma».
Non v’è dubbio, allora, che il parametro di riferimento per il computo del pregiudizio non patrimoniale e dell’indennizzo per occupazione illegittima debba essere individuato nel pregiudizio patrimoniale, ivi inteso come comprensivo anche della perdita di valore dei fondi residui non espropriati, a seguito di espropriazione parziale, anche sanante ex art. 42bis del d.P.R. n. 327 2001.
Il secondo motivo è inammissibile.
7.1. In realtà, la Corte d’appello non ha omesso l’esame del fatto decisivo costituito dall’esistenza di una zona di rispetto stradale che avrebbe comportato l’inedificabilità assoluta di una porzione dei terreni residui in proprietà dei ricorrenti.
Proprio dal motivo di ricorso per cassazione emerge che la Corte territoriale si è pronunziata sulla questione fattuale sollecitata.
Nel motivo di ricorso si riportano le osservazioni del CT di parte del 20/12/2021 ove si «richiama l’attenzione del CTU ad incrementare le percentuali di svalutazione tenendo conto anche delle fasce di rispetto (vincolo di inedificabilità) che si sono venute a creare a seguito della realizzazione della strada e che le tabelle utilizzate dal CTU non prendono in considerazione, tale per cui si ritiene congruo incrementare i coefficienti di svalutazione proposti dal CTU di un ulteriore 10%».
Tali osservazioni sono state considerate dal CTU, e dalla ordinanza della Corte d’appello di Roma che ha condiviso totalmente le risposte del CTU alle richieste di chiarimenti delle parti, come generiche, in quanto non è stata indicata neppure la destinazione urbanistica dei terreni residui, né l’estensione effettiva degli stessi, e neppure le ragioni dell’incremento del valore dei terreni residui nella misura del 10%, percentuale del tutto scollegata da parametri effettivi.
Nello stesso motivo di ricorso si riporta la risposta del CTU, nel senso che «il sottoscritto CTU evidenzia come la richiesta di incrementare i suddetti coefficienti di svalutazione di un ulteriore 10% costituisca diverso parere tecnico non condivisibile dal sottoscritto CTU trattandosi di percentuali generalizzate di analisi».
Allo stesso modo, la Corte d’appello, nella motivazione dell’ordinanza n. 6425 del 17/10/2023 ha ribadito, proprio in riferimento alla chiesta svalutazione dei fondi residui, quanto affermato dal CTU («il sottoscritto CTU evidenzia come la richiesta di incrementare i suddetti coefficienti di svalutazione di ulteriore 10%, costituisca diverso parere tecnico non condivisibile dal sottoscritto CTU, trattandosi di percentuali generalizzate di analisi»).
Pertanto, la Corte d’appello, così come CTU, ha preso in esame la circostanza dell’esistenza delle fasce di rispetto, ma l’ha motivatamente disattesa, sulla scorta delle argomentazioni e delle conclusioni del CTU.
La questione sottoposta alla Corte d’appello era dunque estremamente generica, e non chiariva neppure le ragioni di un incremento del valore delle aree residue pari al 10%, non essendo tale percentuale agganciata ad alcun valore concreto e, soprattutto, all’effettiva destinazione urbanistica dei terreni non espropriati, pur avendo subito un pregiudizio.
Del resto, nel controricorso, a conferma di quanto statuito dalla Corte d’appello, da un lato si rilevava che il CTP del Comune aveva, invece, rilevato il miglioramento dei terreni residui a seguito della realizzazione della strada con beneficio anche delle aree derelitte, e dall’altro, che il CTU, previa verifica comparativa tra il dato catastale e la cartografia del PRG vigente, aveva accertato il deprezzamento delle particelle residuali, in soli termini di «interruzione di fatto» della continuità dei fondi, in presenza «della servitù prediale di acquedotto Monterotondo».
Inoltre, sempre nel controricorso si deduce l’estrema genericità dell’aumento chiesto nella misura del 10%, «nonostante la molteplicità delle particelle ablate per un’estensione totale di mq 6791,00 (pagina 23 CTU) caratterizzate, tra l’altro, da diversa conformazione, consistenza e destinazione urbanistica».
Non è stata fornita prova alcuna in merito alla asserita creazione e/o avanzamento delle fasce di rispetto stradale, e neppure in ordine all’asserita possibilità di riduzione o perdita di capacità edificatoria dei fondi residui edificabili, a seguito della realizzazione dell’opera pubblica.
8. La sentenza deve, dunque, essere cassata, nei limti segnati dall’accoglimento del primo motivo d’impugnazione, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 giugno 2025