Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33159 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33159 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19878/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata a ll’i ndirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE, l’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA n. 403/2021, depositato il 02/02/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con ricorso ex art. 2 legge 24 marzo 2001, n. 89, NOME COGNOME chiedeva alla Corte d’Appello di L’Aquila la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un indennizzo per i danni non patrimoniali da lei subìti in conseguenza dell’eccessiva durata di una procedura fallimentare ancora pendente al momento della proposizione della domanda di equa riparazione, che aveva avuto inizio il 22 marzo 1994 con la dichiarazione di fallimento della stessa COGNOME.
1.1. Il Giudice Designato chiedeva l’integrazione della documentazione con le relazioni del curatore; non essendo stata tale documentazione prodotta dalla COGNOME, per rifiuto della cancelleria del Tribunale fondato sul divieto posto dall’art 90 legge fallimentare, il Giudice Designato respingeva l’istanza.
Avverso il decreto del giudice monocratico veniva proposta opposizione ex art. 5ter legge n. 89 del 2001 innanzi alla Corte d’Appello di L’aquila, che rigettava l’opposizione estendendo un principio -ritenuto di carattere generale – enunciato da questa Corte di legittimità con riferimento a procedure esecutive individuali, secondo cui la ragionevole durata della procedura tesa alla liquidazione dei beni pignorati al debitore -come dell’intero patrimonio del fallito -costituisce un danno sicuramente ingiusto per i creditori, ma non anche per il debitore esecutato (come per il fallito); per cui, per queste due categorie, non opera la presunzione di sussistenza del danno non patrimoniale derivante dalla semplice durata della procedura: a giudizio della Corte territoriale, il fallito, così come il debitore esecutato è gravato da un onere di allegazione e probatorio relativo alla
dimostrazione dello specifico interesse che assume essere stato leso dall’eccessiva durata di quel giudizio.
Il decreto veniva impugnato per la cassazione da NOME COGNOME con ricorso affidato a due motivi e illustrato da memoria.
Resisteva il Ministero della Giustizia depositando controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, legge n. 89/2001, in relazione all’art. 6, par. 1 della CEDU, all’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale e degli artt. 111 e 117 della Costituzione, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice dell’opposizione, la ricorrente ritiene che la giurisprudenza della Suprema Corte, a partire dalla sentenza n. 362/2003, sia costante nell’affermare che il fallito in proprio ha diritto all’equa riparazione, e che per costui – contrariamente alla ben diversa posizione del debitore esecutato – operano le regole generali in materia di risarcimento per l’eccessiva durata del processo, ivi comprese le note presunzioni di sussistenza del danno non patrimoniale. Stesso orientamento è riferibile alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che ha riconosciuto il diritto all’equa riparazione in capo al soggetto fallito (per tutte: Corte EDU, Gallucci c. Italia ).
1.1. Il motivo è fondato. Ritiene il Collegio che debba essere condiviso l’orientamento espresso da questa Corte (oltre alla pronuncia riferita in ricorso: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13605 del 30/05/2013, Rv. 626285 -01; Cass. n. 17261 del 2002; Cass. n. 12807 del 2003; orientamento confermato, tra le altre, da: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 6576 del 2023 e Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 6577 del 2023, in motivazione, riportate in memoria dalla ricorrente; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 28499 del 2020, in motivazione) secondo cui il fallito rientra tra i titolari del diritto alla ragionevole durata di procedimento
fallimentare, come configurato dall’art. 6, par. 1, della Convenzione europea, e ciò sulla base del rilievo che la procedura fallimentare riguarda lui prima e più di chiunque altro. Ciò è, poi, confermato in modo indiscutibile dalla tutela che lo stesso ordinamento gli assicura, nell’ambito del procedimento che conduce alla dichiarazione del fallimento, a causa delle molte e rilevanti conseguenze giuridiche che la declaratoria di fallimento ed il successivo procedimento esecutivo concorsuale sono destinati direttamente a produrre nella sua sfera giuridica.
Il fatto, poi, che, perdurando tale procedimento, egli sia soggetto anche a gravose limitazioni di carattere personale, diversamente dal debitore esecutato, vale ulteriormente a dimostrare che – ai fini della titolarità del diritto alla ragionevole durata del processo, nell’accezione che ad un simile termine deve essere riconosciuta in siffatto contesto normativo – il fallito è parte del processo fallimentare, essendo la sua posizione giuridica direttamente interessata al maggiore o minor protrarsi di tale processo nel tempo.
Tale orientamento appare maggiormente rispondente alla logica della legge n. 89 del 2001 e alla configurazione del diritto della parte alla ragionevole durata del procedimento in termini di diritto fondamentale e dell’indennizzo alla stessa spettante in caso di violazione in termini di ristori di un pregiudizio morale.
D’altra parte, ove si consideri che il curatore fallimentare è un organo della procedura fallimentare e che ai fini della valutazione della durata della stessa deve tenersi conto anche della sua condotta e dei suoi comportamenti, potendosi quindi ipotizzare proprio con riferimento alla domanda di equa riparazione per irragionevole durata della procedura un conflitto di interessi tra il curatore e il fallito, appare
ragionevole ribadire la legittimazione del fallito alla proposizione della domanda di cui alla legge n. 89 del 2001.
Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., e dell’art. 2, comma 2, D.M. 55/2014, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. La ricorrente censura il decreto impugnato nella parte in cui ha condannato la ricorrente anche al pagamento delle spese generali: tale aumento deve, invece, essere espunto dalla liquidazione, in quanto voce di tariffa prevista dall’art. 2, comma 2, D.M. 55/2014, per gli avvocati del cosiddetto libero foro, e non certamente quando la parte vittoriosa è rappresentata e difesa da avvocati lavoratori subordinati, quali sono quelli che compongono l’avvocatura dello Stato, i quali non sostengono alcuna spesa generale e, conseguentemente, alcun rimborso deve essere loro riconosciuto.
2.1. Avendo il Collegio accolto il primo mezzo di gravame, la questione accessoria delle spese processuali va dichiarata assorbita.
Il decreto merita, pertanto, di essere cassato e il giudizio rinviato alla medesima Corte d’Appello di l’Aquila in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, in accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte d’Appello di l’Aquila , in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda Sezione