Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7522 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7522 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24171/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ex lege dall’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,
-resistente- avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di BARI n. 597/2023 depositato il 22.9.2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26.2.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso del 31.1.2023, COGNOME NOME Angelo domandava alla Corte d’Appello di Bari l’indennizzo per equa riparazione, per il superamento del termine di ragionevole durata del processo penale scaturito dalla denuncia per calunnia da lui presentata il 23.9.2013 a carico di NOME e COGNOME NOME dopo essere stato assolto dalle accuse che gli stessi, tramite querela, gli avevano rivolto, di truffa, circonvenzione d’incapace ed appropriazione indebita, processo nell’ambito del quale il COGNOME si era costituito parte civile in data 11.9.2015. Tale processo penale si era concluso con la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1201/2022, depositata il 15.6.2022, che confermando la sentenza del Tribunale penale di Bari, aveva assolto NOME e dichiarato non doversi procedere per essere il reato estinto per morte del reo nei confronti di COGNOME NOME, deceduta nelle more, respingendo quindi le pretese risarcitorie del COGNOME.
Con decreto n. 1065/2023 il Consigliere delegato della Corte distrettuale adita, in parziale accoglimento del ricorso, atteso il superamento del termine di ragionevole durata del processo di anni 1, mesi 7 e giorni 19, (arrotondato a due anni), ingiungeva al Ministero della Giustizia il pagamento in favore del De Carlo dell’indennizzo di € 600,00 per danno non patrimoniale ai sensi dell’art. 2 bis, comma 1° della L.n. 89/2001 nel testo vigente dall’1.1.2016, (così stabilito previa determinazione in €450,00 del moltiplicatore annuo e riduzione di 1/3 dell’importo complessivo di € 900,00 ex art. 2 bis comma 1 ter della L. n. 89/2001), oltre interessi e spese legali, queste ultime quantificate in € 235,00 oltre accessori per compensi ed € 27,00 per spese vive, da distrarre in favore del legale antistatario avv. NOME COGNOME
Avverso il predetto decreto, proponeva opposizione il COGNOME, e la Corte d’Appello di Bari, col decreto n. 3290/2023 del 22.9.2023, nella contumacia del Ministero della Giustizia, accoglieva parzialmente l’opposizione, liquidando i compensi spettanti al legale antistatario nella superiore misura di €553,15, senza ulteriori importi per la fase di opposizione, confermando invece l’importo e la decorrenza dell’indennizzo già liquidato con la diminuzione applicata.
Avverso tale provvedimento NOME ha proposto ricorso a questa Corte, affidato a tre motivi, ed il Ministero della Giustizia ha depositato un mero atto di costituzione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo si censura il decreto impugnato, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 4) c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 bis L. n. 89/2001, 112 c.p.c. e 132, comma 2°, n. 2 c.p.c.
Il ricorrente lamenta la contraddittorietà tra la parte motiva e la parte dispositiva del decreto impugnato; la Corte adita avrebbe ritenuto congruo il moltiplicatore di € 600,00 per ogni anno di ritardo ingiustificato, pervenendovi dal moltiplicatore massimo di €800,00 poi diminuito per l’esito totalmente sfavorevole del giudizio presupposto, senza, tuttavia, trasporre nel dispositivo del decreto, tale sua decisione nell’erronea convinzione che tale conteggio fosse stato già stato precedentemente effettuato in sede monitoria.
Il é inammissibile (vedi sull’inammissibilità dei motivi di ricorso inconferenti in relazione alla fattispecie dedotta in giudizio Cass. n.9450/2024; Cass. n. 1341/2024; Cass. n.19989/2017; Cass. 30.7.2010 n.17901; Cass. sez. un. 28.9.2007 n. 20360), in quanto non si confronta con la motivazione dell’impugnato decreto della Corte d’Appello di Bari, che non ha affatto preso come base del
conteggio dell’indennizzo la misura massima (€ . 800,00 annui) in conformità a quanto richiesto dall’opponente, per poi ridurla ad € 600,00 annui per l’esito totalmente negativo del giudizio presupposto, né ha ritenuto erroneamente che tale conteggio fosse stato effettuato nel giudizio monitorio e che per tale ragione il decreto ingiuntivo opposto non fosse da riformare.
Ed invero la Corte d’Appello, che ha confermato la ravvisata durata irragionevole del processo penale nel quale NOME NOME si era costituito parte civile, di un anno, sette mesi e 19 giorni, riconoscendo quindi il diritto all’indennizzo per due annualità, ha considerato equo, nell’esercizio della sua discrezionalità, per il primo anno un indennizzo di € . 600,00, tarato nella misura media tra il minimo di € . 400,00 annui ed il massimo di € 800,00 annui previsti dall’art. 2 bis della legge, e per il secondo anno di € . 300,00, in ragione del fatto che la durata irragionevole per quell’anno aveva di poco superato il semestre, che aveva fatto scattare l’indennizzo anche per la seconda annualità. Sull’importo complessivamente spettante, pari ad € 900,00 (ossia ad un importo di € 450,00 annui), la Corte d’Appello ha poi ritenuto correttamente applicata nel decreto ingiuntivo opposto la riduzione di 1/3 in base all’art. 2 bis comma 1 ter della L. n. 89/2001, per l’esito totalmente negativo per il De Carlo del giudizio presupposto. Essendo quindi pervenuta alla determinazione dell’indennizzo in complessivi € 600,00, come stabilito nel decreto ingiuntivo, la Corte d’Appello ha accolto l’opposizione proposta limitatamente alla questione delle spese processuali liquidate, che ha ritenuto essere avvenuta in misura inferiore al minimo legale, confermando invece l’importo dell’indennizzo già liquidato.
2) Col secondo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 bis L. n. 89/2001 e dell’art. 112 c.p.c. La Corte di Appello
avrebbe erroneamente ridotto l’indennizzo dovuto per il secondo anno di ritardo, stante la mancata conclusione dell’anno medesimo, in violazione dell’art. 2 bis L. n. 89/2001, alla stregua del quale le frazioni di anno superiori ai sei mesi devono considerarsi come anno completo ai fini della liquidazione dell’indennizzo.
Il secondo motivo, col quale si addebita alla Corte d’Appello di Bari di avere diminuito per il secondo anno l’indennizzo spettante al ricorrente per l’irragionevole durata del processo penale in cui si era costituito parte civile, violando l’art. 2 bis della L. n. 89/2001, che nel caso in cui il ritardo irragionevole superi i sei mesi, imporrebbe di liquidare l’indennizzo dovuto per l’intero anno, é infondato e va respinto.
L’art. 2 bis della L. n. 89/2001 stabilisce che ‘ il giudice liquida a titolo di equa riparazione, di regola, una somma di denaro non inferiore a euro 400 e non superiore a euro 800 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che ecceda il termine ragionevole di durata del processo. La somma liquidata può essere incrementata fino al 20 per cento per gli anni successivi al terzo e fino al 40 per cento per gli anni successivi al settimo ‘.
Il decreto impugnato sarebbe stato quindi contrario all’art. 2 bis della L.n.89/2001, se avesse liquidato l’indennizzo soltanto per il primo anno di durata irragionevole eccedente la durata legale, individuata in cinque anni, in ragione del fatto che per il secondo anno di durata irragionevole il ritardo era stato solo di sette mesi e 19 giorni, ma in realtà la Corte d’Appello di Bari ha considerato ai fini della determinazione unitaria dell’indennizzo due annualità, perché anche per il secondo anno di durata irragionevole risultava superato, sia pur di poco, il semestre, per cui si doveva procedere all’arrotondamento all’anno superiore.
La Corte d’Appello, semplicemente, nell’esercizio della sua discrezionalità nella determinazione dell’indennizzo annuo, che é stato fissato, data l’unitarietà della valutazione, in € 450,00 annui,
importo superiore al minimo applicabile ratione temporis di €400,00, ed inferiore al massimo di € 800,00, ha ritenuto di dare rilievo all’effettiva consistenza del ritardo nelle due annualità, riconoscendo per il primo anno di ritardo € 600,00, e per il ritardo del secondo anno, di poco superiore ai sei mesi, l’importo di €300,00.
Dal fatto che é previsto dalla legge un meccanismo di liquidazione unitaria agganciato alle annualità di ritardo riconosciute, e che l’art. 2 bis della L.n.89/2001 prevede espressamente che con l’aumentare del ritardo oltre il terzo anno, ed oltre il settimo anno, l’indennizzo spettante possa essere incrementato percentualmente da parte del giudice, deriva, con tutta evidenza, che fra gli elementi che possono orientare il giudice dell’equa riparazione nella scelta del moltiplicatore, oltre ai criteri elencati dall’art. 2 della L.n.89/2001 (comportamento del giudice e delle parti, natura degli interessi coinvolti, valore e rilevanza della causa, valutati anche in relazione alle condizioni personali della parte), vi é anche l’elemento della consistenza temporale del ritardo, che in caso di lievi sforamenti della durata legale, legittimano l’applicazione di moltiplicatori prossimi al minimo di legge (nella specie € 450,00 annui rispetto ad un minimo legale di € 400,00).
Peraltro, per indirizzo consolidato di questa Corte, ‘ in tema di equa riparazione, l’art. 2 bis della L. n. 89 del 2001, relativo alla misura e ai criteri di determinazione dell’indennizzo per l’irragionevole durata del processo, rimette al prudente apprezzamento del giudice di merito – sindacabile in sede di legittimità nei soli limiti ammessi dall’art. 360, n.5, cod. proc. civ. – la scelta del moltiplicatore annuo, compreso tra il minimo ed il massimo ivi indicati, da applicare al ritardo nella definizione del processo presupposto, orientando il “quantum” della liquidazione equitativa sulla base dei parametri di valutazione, tra quelli elencati nel comma 2 dell’art. 2 bis citato, che appaiano maggiormente significativi nel caso
specifico (Cass. ord. 15.1.2025 n. 974; Cass. ord. 9.1.2025 n.541; ord. 23.12.2024 n. 34202; Cass. 8.10.2024 n. 26245).
Al di fuori del sindacato di cui all’art. 360, n. 5) c.p.c. è precluso alla Corte di cassazione sindacare la concreta determinazione del ” quantum ” dell’indennizzo operata dal giudice di merito, trattandosi di valutazione di fatto, ovvero l’applicazione della riduzione di cui al richiamato art.2-bis comma 1ter , in quanto esplicazione di potere discrezionale il cui esercizio è rimesso al giudice di merito (Cass. ord. 23.12.2024 n. 34202; Cass. 28.5.2019 n. 14521).
3) Col terzo motivo, il ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n.3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., nonché 24 e 111 della Costituzione. La Corte territoriale avrebbe erroneamente omesso di porre le spese a carico del Ministero, ritenendo insussistente una vera e propria soccombenza, stante la modesta entità della causa e l’imputabilità dell’errata liquidazione dei compensi al Giudice che ha pronunciato l’ingiunzione e non, invece, ad una resistenza dell’amministrazione. Il ricorrente evidenzia l’insussistenza delle gravi ed eccezionali ragioni che ammetterebbero la facoltà discrezionale del giudice di compensare le spese, nonché l’illogicità del riferimento alla parva materia del contendere, contrastante con i parametri forensi che prevedono la remunerazione anche per cause di valore inferiore ad € 1.100,00.
Il terzo motivo, che assume che la Corte d’Appello nel non condannare il Ministero della Giustizia alle spese processuali del giudizio di opposizione, asseritamente compensandole, con la motivazione che essendo stata accolta l’opposizione in misura al limite dell’irrilevanza per un errore ascrivibile al giudice del monitorio, e non al Ministero medesimo, che non aveva opposto resistenza, e che pertanto non era ravvisabile una soccombenza della parte opposta, avrebbe violato gli articoli 91 e 92 c.p.c., che nel testo ratione temporis applicabile, consentivano di disporre la
compensazione solo in ipotesi di soccombenza reciproca, di assoluta novità della questione, o di mutamento della giurisprudenza, o di altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni (secondo quanto stabilito dalla sentenza n. 77/2018 della Corte Costituzionale), é infondato e dev’essere respinto, pur dovendosi correggere ex art. 384 ultimo comma c.p.c. la motivazione addotta dall’impugnato decreto.
Tale decreto, infatti, é partito dall’erroneo presupposto che si dovessero liquidare separatamente, a seguito della proposta opposizione del COGNOME, le spese processuali della fase monitoria e della fase conseguente all’opposizione, che in realtà per giurisprudenza consolidata di questa Corte vanno liquidate unitariamente.
Ed invero, per consolidato orientamento di questa Corte, l’opposizione di cui all’art. 5-ter della L. n. 89 del 2001 non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza una fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo, per cui ove detta opposizione sia proposta dalla parte privata rimasta insoddisfatta dall’esito della fase monitoria e, dunque, abbia carattere pretensivo, le spese di giudizio vanno liquidate in base al criterio della soccombenza, a misura dell’intera vicenda processuale, in caso di suo accoglimento, senza la necessaria separazione della liquidazione dei compensi per la fase monitoria e per l’opposizione, e senza vincoli della liquidazione compiuta in fase monitoria (vedi Cass. ord.22.1.2025 n. 1610; Cass. ord. 15.1.2025 n. 974; Cass. ord. 26.4.2024 n. 11246; Cass. ord. n. 26398/2023; Cass. ord n.26517/2023; Cass. ord. n. 23826/2023; Cass. ord. n. 16803/2023; Cass. ord. n.9728/2020; Cass. ord. 26.5.2020 n. 9728).
Nonostante l’erroneo presupposto di partenza, però, la Corte d’Appello ha riformato il decreto ingiuntivo opposto per la parte
relativa alle spese processuali che erano state liquidate in soli €235,00 per compensi dal giudice del monitorio in applicazione della tabella n. 8 del D.M. n.55/2014, come modificato dal D.M. n.147/2022, in relazione all’importo dell’indennizzo confermato dovuto di € 600,00 (cause di valore inferiore ad € 1.100,00), ritenendo che la somma liquidata fosse inferiore al minimo previsto dalla tariffa di € 284,00, e che erroneamente non fosse stato riconosciuto l’aumento richiesto del 30% previsto dall’art. 4 comma 1 bis della tariffa per il collegamento ipertestuale, ed ha quindi condannato il Ministero della Giustizia al pagamento del compenso di € 425,50, maggiorato per il collegamento ipertestuale ad €553,15, oltre accessori, fermo il rimborso spese di € 27,00, da distrarre in favore del legale antistatario dell’opponente, avv. NOME COGNOME
Dal momento che nessuna ulteriore somma per spese processuali é stata riconosciuta alla parte opponente per la fase di opposizione, e che, come si é visto, in caso di accoglimento parziale dell’opposizione della parte privata, si deve procedere ad una liquidazione unitaria che ponga a carico della parte soccombente le spese vive ed il compenso della parte vittoriosa, stabilito secondo l’esito finale dell’opposizione e commisurato all’indennizzo riconosciuto dovuto secondo la previsione dell’art. 5 del D.M. n.55/2014, le spese processuali liquidate a carico del soccombente Ministero della Giustizia, sono state determinate in € 27,00 per rimborso spese ed € 553,15 per compensi, oltre accessori, in essi compreso l’aumento del 30% per il collegamento ipertestuale ai sensi dell’art. 4 comma 1 bis della tariffa forense del D.M. n.55/2014, come modificato dal D.M. n. 147/2012, vigente alla conclusione del giudizio di opposizione.
Non é quindi avvenuta alcuna compensazione delle spese processuali del giudizio di opposizione, nel quale il Ministero non si era peraltro neppure costituito, e piuttosto lo stesso é stato
condannato, in quanto sia pur parzialmente soccombente, al pagamento dell’importo unitario delle spese processuali conseguente all’opposizione, importo che pur dovendosi applicare per la liquidazione dei compensi, a seguito dell’opposizione, la tabella 12 (e non la tabella 8) allegata al D.M. n.55/2014, come modificato dal D.M. n.147/2022, per le quattro voci previste (studio, introduttiva, istruttoria e decisoria), non risulta inferiore ai minimi, che sarebbero pari ad € 461,50 (€ 68,00 per fase di studio, € 68,00 per fase introduttiva, € 119,00 per fase istruttoria ed €100,00 per fase decisoria).
Data la reiezione del ricorso e poiché il Ministero della Giustizia si é limitato a costituirsi ai fini dell’eventuale partecipazione alla discussione, senza proporre controricorso, nulla va disposto per le spese del giudizio di legittimità.
Trattandosi di controversia relativa ad indennizzo per irragionevole durata del processo, nonostante la reiezione del ricorso, non va dato atto della sussistenza dei presupposti per l’applicazione di un ulteriore contributo se dovuto ex art. 13 comma 1 quater del T.U.S.G. (vedi Cass. sez. un. 20.2.2020 n. 4315).
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Così deciso nella camera di consiglio del 26.2.2025