Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22396 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22396 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21141 – 2023 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato ope legis ;
– ricorrente –
contro
E.D.I. – EURO RAGIONE_SOCIALE, MATERIALI DA COSTRUZIONI RAGIONE_SOCIALE;
– intimate – avverso il decreto della CORTE D’ APPELLO DI PERUGIA, n. cronol. 104/2023 del 3/8/2023, notificato in pari data;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/1/2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto n. cronol. 104/2023 del 3/8/2023, notificato in pari data, la Corte di appello di Perugia ha parzialmente accolto l’opposizione avverso il decreto monocratico n. cronol. 278/2022 del 14/11/2022, proposta ex art. 5 ter l. 89/2001 dal Ministero della Giustizia e lo ha condannato al pagamento, in favore della E.D.I. – euro RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 2.400,00 e di RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 1.288,36, oltre interessi legali e spese, per l’irragionevole durata di una procedura fallimentare (a carico di RAGIONE_SOCIALE s.p.a.), al cui passivo le due società erano state ammesse per un credito rispettivamente di euro 16.213,80 e di euro 1.288,36.
Per quel che qui rileva, la Corte d’appello ha escluso la fondatezza del motivo di opposizione con cui era stata lamentata la violazione dell’art. 2, comma 2 sexies, lett.g), per non essere stata valutata la irrisorietà della pretesa azionata nel giudizio presupposto: sul punto, infatti, ha rimarcato che, come sottolineato dalla giurisprudenza, anche della Corte europea dei diritti dell’Uomo, il termine «irrisorietà» esprime un concetto diverso rispetto alla semplice «esiguità» e che, pertanto, in tale accezione, può ritenersi «irrisoria» esclusivamente la pretesa che si presenti oggettivamente irrilevante sul piano economico, «per essere talmente insignificante da apparire quasi come una derisione dell’avversario» sicché la domanda è sussumibile nell’ipotesi sub g) dell’art. 2 comma 2 sexies soltanto se abbia ad oggetto una pretesa di entità davvero minima, (sempre inferiore, nei casi esaminati, ai 500,00 euro); ha, comunque, aggiunto e rimarcato che le ricorrenti avevano rappresentato di essere RAGIONE_SOCIALE di medio/piccole dimensioni che nel periodo di deposito delle domande di ammissione dei crediti al passivo del fallimento della SEAS s.p.a. chiudevano i bilanci in perdita
(euro 3.079,00 al 31.12.2009 per RAGIONE_SOCIALE e euro 36.735,00 per RAGIONE_SOCIALE.
Avverso questo decreto il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
La E.D.I. – euro Difese RAGIONE_SOCIALE e la Materiali da RAGIONE_SOCIALE non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il Ministero ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 -sexies, lett. g) legge 89 del 2001 e dell’art. 2697 cod. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto che per escludere il diritto all’indennizzo debba ricorrere un valore oggettivamente esiguo o modesto, privo di significativa consistenza economica, superato il quale il diritto all’indennizzo è sempre riconosciuto a prescindere le condizioni soggettive della parte; avrebbe, con questa interpretazione, violato la lettera della legge, dovendo, invece, interpretare la locuzione «valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte» quale indicazione a considerare l’irrisorietà «sia in via obiettiva che in via soggettiva», con riguardo alle condizioni personali della parte, superabile mediante prova contraria.
1.1. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha innanzitutto escluso l’operatività della presunzione perché la pretesa delle due società, come risultante dall’ammissione al passivo, non può oggettivamente essere ritenuta «irrisoria», sol che si consideri l’importo dei crediti rispe ttivamente ammessi al passivo. In ogni caso, poi, la Corte d’appello ha riportato che le società avevano rappresentato di essere RAGIONE_SOCIALE di medio/piccole dimensioni e che nel periodo di deposito delle domande di ammissione dei crediti al passivo del fallimento della RAGIONE_SOCIALE cioè alla data del 31/12/2009, avevano chiuso i bilanci in perdita (per euro 3.079,00 la
Materiali da RAGIONE_SOCIALE e per euro 36.735,00 per RAGIONE_SOCIALE).
Argomentando la sua censura, il Ministero si è limitato a richiamare principi di diritto generali, senza riferirli alla motivazione della decisione e addirittura richiamando quale allegato due bilanci chiusi rispettivamente nel 2020 (peraltro in perdita) e nel 2021 e, cioè, una data addirittura successiva al superamento della durata ragionevole.
Ciò precisato, deve premettersi, in diritto, che l ‘art. 2 bis l. 89/2001, nella formulazione introdotta dall’art. 1, comma 777, lettera d), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, prevede che si presuma insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, nel caso di irrisorietà della pretesa o del valore della causa, «valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte».
Questa Corte, ancor prima della introduzione della presunzione della lett. g) del comma 2 sexies dell’art. 2 , aveva chiarito che «irrisoria» è la pretesa che in sé, per la sua natura «bagatellare» costituisca un abusivo esercizio del diritto.
In particolare, già nella sentenza n. 633 del 2014, era stato rilevato che con la L. n. 89 del 2001 il legislatore ha inteso creare un meccanismo interno tale da garantire al ricorrente una tutela analoga e non poziore rispetto a quella assicurata dall’istanza internazionale (v. relazione seconda commissione permanente del Senato 3813-A del 16.2.1999; nella giurisprudenza di questa Corte, cfr. sentenza n. 14286/06: il giudice nazionale, pertanto, in coerenza con il principio sancito dal comma I dell’art. 11 7 Cost., ha il dovere d’interpretare la norma interna in senso «convenzionalmente conforme» ai principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte europea sulla base della Convenzione e dei suoi Protocolli).
Ciò posto, il paragrafo 3) dell’art. 35 della Convenzione, relativo alle condizioni di ricevibilità del ricorso alla Corte di Strasburgo, come modificato dall’art. 12 del Protocollo addizionale n. 14, adottato il 13.5.2004, ratificato e reso esecutivo con L. n.280 del 2005 ed entrato in vigore l’1.6.2010, prevede che la Corte dichiari irricevibile ogni ricorso individuale presentato in virtù dell’art. 34 qualora «a) lo ritenga incompatibile con le disposizioni della Convenzione o dei suoi Protocolli, o manifestamente infondato o abusivo» o «b) il ricorrente non abbia subito alcun pregiudizio significativo, a meno che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli non esiga l’esame del merito del ricorso e purché ciò non comporti la reiezione di un ricorso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale nazionale».
La Corte europea, pronunciandosi sulla nozione di «pregiudizio significativo» (sentenza del 6 marzo 2012 – n.23563/07 – COGNOME c. Italia), ha proprio affermato che, in applicazione del principio de minimis non curat praetor , la nuova condizione di ricevibilità rinvia all’idea che la violazione di un diritto, qualunque sia la sua realtà da un punto di vista strettamente giuridico, deve raggiungere una soglia minima di gravità che giustifichi un esame da parte di una giurisdizione internazionale, tenuto conto sia della percezione soggettiva del ricorrente che della posta in gioco oggettiva della controversia.
In tal senso, nella successiva sentenza 18 ottobre 2011 (n. 13175/03, Giusti c. Italia) la stessa seconda sezione della Corte EDU, preso atto della individuazione ancora soltanto parziale dei criteri che permettono di verificare se la violazione del diritto abbia raggiunto «la soglia minima», ha indicato quali indici significativi per la valutazione della gravità la natura del diritto presumibilmente violato, l’incidenza della violazione dedotta nell’esercizio di quel diritto e/o le eventuali
conseguenze sulla situazione personale del ricorrente, senza prescindere dall’«entità del processo» e dal «suo esito».
In particolare, in riferimento alla fattispecie in esame, in cui l’irrisorietà deve essere valutata rispetto ad una pretesa di natura strettamente economica (il recupero di un credito), è utile considerare che sono stati dichiarati irricevibili per irrisorietà ricorsi in cui il pregiudizio economico subito dal ricorrente in ragione del mancato rispetto delle clausole contrattuali era di 90 euro (dec. 1° giugno 2010, n. 36659/04, NOME COGNOME c. Romania), in cui lo Stato non aveva versato al ricorrente la somma che gli era stata accordata dai giudici interni e che ammontava a meno di 1 euro (dec.
Così delineata, l’esiguità della posta in gioco è stata, poi, sempre e comunque contemperata dalla Corte EDU con la valutazione delle condizioni personali della parte e del controllo dei rischi sostanziali e processuali connessi, ma nel senso che è stata e sclusa l’«irrisorietà» quando la situazione soggettiva del ricorrente indicasse per lui una rilevanza diversa anche della pretesa risultante prima facie priva – in generale e oggettivamente – di un reale e concreto interesse.
Ad esempio, in dec. 21 giugno 2011 (n. 24360/04, Giuran c. Romania), la Corte ha escluso l’irricevibilità perché, sebbene il procedimento interno oggetto della denuncia fosse un giudizio penale per furto di beni mobili del valore di soli euro 350, il ricorrente era in pensione e, all’epoca dell’accertamento del furto, l’ammontare di una
pensione media in Romania era di circa euro 50 e, in ogni caso, oltre all’interesse pecuniario agli oggetti doveva tenersi in conto il valore sentimentale ad essi attribuito e il diritto al rispetto dei propri beni e della propria casa (punti da 21 a 25).
Recependo i principi di questa giurisprudenza, allora, questa Corte ha stabilito, ad esempio, che l’esiguità del valore monetario del giudizio presupposto – inferiore ai cinquecento euro – non esclude la tutela indennitaria di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89, se l’apprezzamento concreto della fattispecie, anche alla stregua della condizione socio-economica dell’istante, faccia emergere un effettivo interesse alla decisione, come nel caso in cui il giudizio presupposto riguardi una prestazione di natura assistenziale o retributiva (nella specie, rivalutazione dell’indennità di disoccupazione agricola, Sez. 6 2, n. 11936 del 09/06/2015 o trattamento di fine rapporto, Sez. 2, n. 11667 del 14/05/2018).
L’indicazione della soglia di irrisorietà della pretesa di un credito nell’ammontare di euro 500 risulta poi da Cass. Sez. 2, n. 11228 del 2019, non massimata, con indicazione di numerosi richiami a precedenti che hanno considerato la medesima soglia (Sez. 6 – 2, n. 21861 del 2014, Sez. 6 – 2, n. 18435 del 2014, Sez. 6 – 2, n. 18434 del 2014, Sez. 6 -2 n. 17944 del 2014, tutte non massimate).
Lo stesso legislatore del 2015, inserendo la presunzione di cui alla lett. g) dell’art. 2 comma 2 sexies, ha inteso, pertanto, soltanto velocizzare la decisione dei ricorsi di natura bagatellare o con una posta in gioco non rilevante, nel senso di invertire «il percorso rivelatore» del danno (cfr. Cass. 11228/2019 cit.); certamente, tuttavia, non ha inteso introdurre l’ulteriore criterio di verifica del carattere non abusivo della pretesa come indicato dal Ministero, cioè una diretta proporzionalità tra il valore di una domanda -in sé non bagatellare – e la situazione economico-finanziaria del ricorrente.
In termini semplificanti, la locuzione «valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte» deve intendersi, allora, quale ulteriore criterio di controllo della effettiva «irrisorietà» della pretesa che sia stata già riscontrata oggettivamente, per i suesposti limiti di importo, come individuati nella giurisprudenza di questa Corte in riferimento alla giurisprudenza della Corte EDU (in ultimo, non mass., Sez. 2, n. 25838 del 2024; Sez. 2, n. 25908 del 2024; Sez. 2, n. 25766 del 2024).
Ebbene, la decisione della Corte d’appello non si è discostata da questi principi, laddove ha innanzitutto escluso l’irrisorietà in sé di una domanda avente ad oggetto il recupero di un credito, perché ha riconosciuto la meritevolezza in sé dell’interesse dell e due società alla pretesa in considerazione degli importi ammessi al passivo, superiore l’uno a euro 15.000 e l’altro a euro 1.200.
Il ricorso è, perciò, rigettato. Non vi è statuizione sulle spese poiché le società non hanno svolto difese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda