Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30789 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 30789 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14580/2022 R.G. proposto da NOMECOGNOME RICORDO NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME, DI NOMECOGNOME NOMECOGNOME, NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME ASSUNTA, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME tutti rappresentati e difesi dagli Avv.ti NOME COGNOME ed NOME COGNOME con procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del secondo difensore;
-ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato,
presso la quale è elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente -avverso il decreto della Corte di appello di Napoli n. 9/2022 depositato il 4 gennaio 2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 febbraio 2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Osserva in fatto e in diritto
Ritenuto che:
– con ricorso depositato il 02.09.2021 NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME – NOME COGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME nella qualità di erede di NOME COGNOME, NOME COGNOME – NOME COGNOME –NOME COGNOME –NOME COGNOME tutti nella qualità di eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME –NOME COGNOME –NOME COGNOME tutti nella qualità di eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME –NOME COGNOME –NOME COGNOME –NOME COGNOME –NOME COGNOME tutti nella qualità di eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nella qualità di eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME – NOME COGNOME – NOME COGNOME –NOME COGNOME –NOME COGNOME tutti nella qualità di eredi di NOME COGNOME, chiedevano l’indennizzo per l’irragionevole durata del fallimento della RAGIONE_SOCIALE, dichiarato dal Tribunale di Torre Annunziata con sentenza depositata il 02.10.1996 e concluso con decreto del 10.07.2019, che veniva parzialmente accolto dal Consigliere designato dal Presidente della Corte di appello di Napoli con decreto del 02.08.2021,
riconoscendo la ragionevole durata della procedura in otto anni per la sua complessità ed escludendo l’indennizzo in favore di coloro che avevano ricevuto dall’Inps, ai sensi della legge n. 297 del 1982, l’integrale pagamento del credito; limitato ai sensi dell’art. 3 bis comma 3 legge n. 89 del 2001 l’indennizzo alla differenza fra credito complessivo e quanto percepito dall’Inps per coloro che avevano ricevuto un pagamento parziale e ad NOME COGNOME ad euro 685,35 non essendo stato possibile stabilire l’ entità dei crediti di lavoro a cui era stato ammesso;
-decidendo sull’opposizione ex art. 5 -ter legge n. 89/2001 proposta avverso il citato decreto dagli originari ricorrenti deducendo la mancanza di discrezionalità del consigliere delegato a determinare il periodo di ragionevole durata del giudizio presupposto, che nessuno dei ricorrenti era stato pienamente soddisfatto del credito da parte dell’Inps, illegittima la limitazione degli indennizzi, la Corte di appello di Napoli, nella resistenza del Ministero della giustizia, con decreto n. 9 del 2022, in parzi ale accoglimento dell’opposizione, pur riconoscendo la facoltà del giudice di determinare in otto anni la ragionevole durata della procedura fallimentare, confermata la somma riconosciuta dal consigliere delegato in favore di COGNOME che non aveva neanche presentato domanda al fondo di garanzia dell’Inps con la quale avrebbe potuto evitare il danno e l’esclusione dell’indennizzo per i soggetti che avevano ricevuto integrale soddisfazione da parte del fondo di garanzia dell’Inps, liquidava maggiori somme per i ricorrenti che tuttavia dal piano di riparto finale non risultavano essere stati integralmente soddisfatti dall’Inps, tanto da avere partecipato al riparto finale (Sicignano Vittorio, COGNOME, Lauritano, Ricordo, Aurino, Langella, COGNOME, COGNOME, COGNOME, NOME, COGNOME, i COGNOME e la COGNOME, gli COGNOME eredi di NOME COGNOME, gli esposito e la Ercolano eredi di NOME COGNOME, le COGNOME eredi di NOME COGNOME); quanto alle COGNOME, il loro dante causa era deceduto prima della dichiarazione di fallimento per cui avevano maturato il diritto in proprio per essere state
ammesse loro stesse al passivo del fallimento e comunque nei limiti del credito rimasto insoddisfatto; infine, riconosceva un maggiore indennizzo ai ricorrenti ai quali era stato riconosciuto un indennizzo pari all’importo del credito rimasto insoddisfatto, che però era inferiore a quello risultante dal riparto finale (il COGNOME, il COGNOME e il Salzano); infine, confermava l’indennizzo già liquidato dal consigliere delegato a COGNOME, a COGNOME, a COGNOME, a Guarino, a COGNOME, a COGNOME e agli ered i di NOME COGNOME per essere l’importo riconosciuto nel piano di riparto finale inferiore a quello dato a titolo di indennizzo. Infine, venivano rideterminare le spese processuali della fase monitoria e del giudizio di opposizione;
avverso il citato decreto n. 9/2022 della Corte di appello di Napoli propongono ricorso per cassazione COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, i COGNOME–COGNOME, gli COGNOME, gli COGNOME, COGNOME e le COGNOME, fondato su due motivi, cui resiste il Ministero con controricorso.
Atteso che:
con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2, comma 2 bis legge n. 89 del 2001 e degli artt. 24 e 111 Cost, degli artt. 6 parag. 1 e 13 della CEDU, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., insistendo per la erroneità della statuizione della Corte territoriale che ha riconosciuto la conformità al dato normativo della determinazione in otto anni della ragionevole durata della complessa procedura fallimentare, prevedendo la norma il limite dei sei anni, non ulteriormente prorogabili.
Il motivo è fondato.
L’art. 2, comma 2 della L. 89 del 2001, come modificato dalla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella L. n.134 del 2012, prevede che il giudice, nell’accertare la violazione del termine di ragionevole durata, valuta la complessità del caso, l’oggetto del procedimento, il comportamento delle parti e del giudice durante il
procedimento del giudizio presupposto, nonché quello di ogni altro soggetto chiamato a concorrervi o a contribuire alla sua definizione.
Ancora, ai sensi dell’art.2, comma 2 bis della stessa legge Pinto, si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se la procedura concorsuale si è conclusa in sei anni.
Ne consegue che, in tema di equa riparazione, per la violazione del termine di durata ragionevole del processo, la durata delle procedure fallimentari deve rispettare la soglia di sei anni, che rappresenta il parametro per le procedure concorsuali.
In numerosi precedenti, questa Corte ha chiarito che si tratta di un termine che ‘di regola’ deve essere rispettato, ritenendo irragionevole una procedura avente una durata superiore a sei anni, termine da qualificarsi legale in quanto direttamente derivante del tenore letterale della norma, che testualmente dispone che il termine “si considera rispettato” (ex multis Cass. 19 ottobre 2022 n.30974).
Secondo lo standard ricavabile dalle pronunce della Corte Edu, si può tenere conto della particolare complessità della procedura concorsuale solo ai fini di un temperamento di detta soglia, che giustifica uno slittamento della procedura concorsuale da sei a sette anni, secondo l’apprezzamento del giudice di merito (Cass. 24 ottobre 2022 n. 31274; Cass. 24 maggio 2022 n. 16753; Cass. 29 settembre 2020 n. 20508; Cass. 12 ottobre 2017 n. 23982 del 12/10/2017; Cass. 7 giugno 2012 n. 9254; Cass. 28 maggio 2012 n. 8468).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto che si debba qualificare come irragionevole, per tale procedura, la durata successiva a quella di otto anni.
Si tratta di approdo che non è in linea con i principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.36 del 19.2.2016, la quale ha ribadito che, in tema di ragionevole durata del processo, l’intento del legislatore è volto a sottrarre alla discrezionalità giudiziaria la determinazione della congruità del termine ed affidarla ad una previsione di legge avente carattere generale;
-con il secondo motivo con la rubrica violazione e mancata applicazione dell’art. 2 bis, comma 3 legge n. 89 del 2001 in relazione all’art. 10 c.p.c. ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., i ricorrenti denunciano la statuizione della Corte territoriale laddove ai fini della determinazione del quantum indennizzabile ha circoscritto il medesimo indennizzo alle somme distribuite in esito al piano di riparto finale, perché tale si doveva intendere il valore del giudizio presupposto, contrariamente a recente orientamento della stessa Corte di legittimità (Cass. n. 13035 del 2022), che proprio con riferimento alle procedure fallimentari ha considerato il criterio del credito oggetto della domanda di insinuazione al passivo fallimentare.
Anche il secondo motivo è fondato per le ragioni che seguono.
L’art. 2 bis, comma 3, L. 89/2001 dispone che la misura dell’indennizzo, anche in deroga al comma 1, non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice.
Nell’ individuazione della nozione di “valore della causa” ex art. 2 bis, comma 3, della legge n. 89/2001 e, in generale, tutte le volte che si debba avere riguardo a tale valore ai fini dell’equa riparazione del danno da durata non ragionevole del processo, deve farsi ricorso, in via di interpretazione analogica, al criterio fissato dagli artt. 10 e ss. c.p.c. e quindi all’importo richiesto con la domanda proposta nel processo presupposto (cfr. Cass. n. 24362 del 2018, secondo cui, per le opposizioni all’esecuzione, viene in rilievo il valore indicato dall’art. 17 c.p.c., ossia quello del credito per il quale si procede).
Questa Corte ha avuto più volte occasione di affermare, con orientamento che si condivide e a cui va data continuità, che, nel caso in cui il giudizio in cui si è verificata la violazione del principio della ragionevole durata consista in una procedura fallimentare, ai fini della applicazione dell’art. 2 bis, comma 3, legge n. 89 del 2001, secondo cui l’ammontare dell’indennizzo non può essere superiore al valore della
causa o, se inferiore, al diritto accertato dal giudice, occorre fare rifermento, in via di interpretazione analogica, al criterio fissato dagli artt. 10 e ss. c.p.c., e quindi all’importo richiesto con la domanda proposta dal creditore nella procedura. E’ stata, quindi, respinta esplicitamente la tesi secondo cui, a tal fine, deve aversi riguardo all’importo assegnato al creditore in sede di riparto, rappresentando che l’ancoraggio dell’indennizzo a tale ammontare appare, per un verso, del tutto sfornito di basi normative e, per altro verso, intrinsecamente irrazionale, giacché l’entità di detto importo dipende da variabili molteplici e totalmente indipendenti sia dalla natura ed entità del credito azionato, sia dalla situazione soggettiva del creditore (Cass. n. Cass. n. 4620 del 2024; Cass. n. 5757 del 2023; Cass. n. 22373 del 2023; Cass. n. 35319 del 2022; Cass. n. 11372 del 2019; Cass. n. 24362 del 2018).
La Corte di appello non si è invece attenuta a tale principio, determinando il valore della domanda avanzata nel giudizio presupposto dagli odierni ricorrenti con riferimento all’ammontare, inferiore, loro assegnato in sede di riparto. Nello specifico, il limite massimo dell’indennizzo era quindi pari al valore del credito ammesso al passivo, comprensivo degli interessi, e non a quello del credito che residuava dal pagamento del TFR erogato dall’Inps: l’intervento del fondo di garanzia non ha effetto sul diritto all’indennizzo ma ne giustifica soltanto un’eventuale decurtazione in considerazione dell’attenuarsi del pregiudizio in pendenza del fallimento (Cass. n. 28268 del 2018; Cass. n. 7136 del 2017; Cass. n. 26421 del 2009).
Conclusivamente il ricorso va integralmente accolto ed il decreto impugnato cassato, con rinvio della causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che si atterrà nel decidere ai principi di diritto sopra esposti sia quanto alla durata ragionevole del giudizio presupposto che in relazione alla misura dell’indennizzo, e provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P . Q . M .
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 febbraio 2024.