Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23914 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23914 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11260 – 2022 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Lamezia Terme, presso lo studio degli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME dai quali è rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’RAGIONE_SOCIALE ope legis ;
– controricorrente –
avverso il decreto n. cronol. 2551/2021 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, pubblicato il 22/10/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’8 /2/2024 dal consigliere COGNOME;
letta la memoria del ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con decreto con n. cronol. 1585/2016, la Corte d’appello di Catanzaro accolse parzialmente la domanda di equo indennizzo proposta da NOME COGNOME, in proprio e quale erede di NOME COGNOME, per la durata irragionevole del giudizio presupposto, iniziato nel maggio 1999 e conclusosi in primo grado nel marzo 2014 e, poi, in appello, definitivamente, nel febbraio 2015.
In particolare, la Corte d’appello riconobbe soltanto in favore della dante causa NOME COGNOME, parte del processo dal 2 luglio 1999 al 9 maggio 2005, un indennizzo per un solo anno di ritardo perché ritenne che, sottratto il tempo di cinque anni ritenuto ragionevole per un processo articolatosi in due gradi, la durata irragionevole risultasse pari a un solo anno.
Negò, invece, sussistesse un ritardo indennizzabile per NOME COGNOME in proprio, perché quest’ultimo era stato parte del processo dall’11 luglio 2011 data in cui si era costituito in primo grado – al 10 febbraio 2015 e, perciò, per un tempo inferiore ai cinque anni suddetti.
Con ordinanza n. 1607/2021, questa Corte cassò il decreto, rilevando che la durata irragionevole avrebbe dovuto essere valutata in riferimento a ciascun grado del giudizio sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo, nel senso che avrebbe dovuto essere considerata, quale limite ragionevole, la sola durata di tre anni per la dante causa La COGNOME che aveva partecipato al primo grado soltanto e la durata di cinque anni per l’avente causa NOME COGNOME che, invece, era divenuto parte del giudizio sin dal primo grado.
Con decreto n. cronol. 2551/2021 del 22-10-2021, la Corte di appello di Catanzaro, decidendo in rinvio, escluse -per quel che qui rileva -la durata irragionevole per COGNOME perché ritenne ragionevole, rispetto alla sua posizione, la durata del processo presupposto intercorsa tra la data della sua costituzione in giudizio e la decisione in appello, sottratti i cinque anni del doppio grado; compensò per metà le spese di lite che liquidò in relazione al decisum e non riconobbe le spese della fase monitoria.
Avverso questo decreto NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Il Ministero si è difeso con controricorso.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 e al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., COGNOME ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli art. 2 e seguenti della legge n. 89 del 24 marzo 2001, degli articoli 384 cod. proc. civ. e 143 delle disposizioni di attuazione cod. proc. civ., per non essersi la Corte territoriale uniformata a quanto statuito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza di rinvio n. 1607/2021.
1.1. Il motivo è fondato.
Questa Corte, nell’ordinanza n. 1607/2021 che ha cassato il precedente decreto reso sul giudizio di opposizione instaurato da NOME COGNOME in proprio e nella qualità, ha accolto il primo motivo con cui COGNOME aveva lamentato la violazione dell’art. 2, co. 2 bis della L. n. 89/2001 e individuato l’errore della Corte d’appello nell’avere ritenuto «di soli undici e per la sola La COGNOME lo sforamento complessivo dell’intero giudizio a quo nel mentre il calcolo della durata andava comunque correttamente svolto sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo per ciascun grado del giudizio»; quindi, ha «assorbito»,
specificando la sussistenza di un nesso di conseguenza logica, l’esame del terzo motivo, con cui COGNOME aveva posto «la questione della tutela che andrebbe accordata indistintamente a tutti coloro che sono coinvolti nel procedimento giurisdizionale e anche a parte non costituita, ma nei cui confronti possono esserci effetti».
Come sostenuto dal ricorrente COGNOME, in questo giudizio, allora, la Corte d’appello di Catanzaro, in ottemperanza a quanto statuito da questa Corte, avrebbe dovuto, in sede di rinvio, considerare che il giudizio presupposto aveva già superato la durata ragionevole nel 2004, allo stesso modo che per la dante causa NOME COGNOME, anche per COGNOME, quando è intervenuto nel 2011: la qualificazione ordinamentale negativa del processo, ossia la sua oggettiva irragionevole durata, era stata già acquisita, infatti, nel segmento temporale in cui egli non era ancora costituito, prima del decesso della sua dante causa e non poteva essere venuta meno dopo questo evento.
Il processo presupposto, infatti, è unico, seppure articolato in due distinti segmenti, prima e dopo la successione dell’erede alla parte originaria, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ.: nel primo segmento, fino al decesso, il de cuius è parte processuale e, come tale, è divenuto titolare, al maturare del termine di irragionevole durata, dell’indennizzo ex lege , poi trasmesso iure successionis agli eredi; nel secondo segmento, parte processuale è stato l’erede subentrato – o perché convenuto in riassunzione o perché costituitosi volontariamente – che, come tale, a sua volta è divenuto titolare iure proprio del diritto all’indennizzo per la ulteriore protrazione della durata se già divenuta irragionevole in precedenza.
È di immediata evidenza che, per tutto il tempo durante il quale, deceduta la parte originaria, gli eredi non abbiano ritenuto di costituirsi o non siano stati chiamati in causa, seppure già esista un processo di
durata irragionevole, non vi è una parte che ne possa ricevere nocumento; per questo «intervallo» di tempo tra i due segmenti del processo prima individuati, allora, non vi è alcun soggetto da indennizzare (Cass. Sez. 6 – 2, n. 17685 del 2021).
La Corte d’appello non ha correttamente applicato questo principio laddove ha negato l’indennizzo ad COGNOME, sebbene subentrato in un processo già durato eccessivamente, ritenendo, invece, che la costituzione in giudizio dell’erede avesse implicato una nuova decorrenza della durata ragionevole, come non si trattasse di un unico processo presupposto.
Dall’accoglimento del primo motivo deriva l’assorbimento del secondo motivo , articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., con cui il ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello compensato nella misura della metà le competenze di tutti i gradi e le fasi del giudizio in assenza di reciproca soccombenza e per non avere liquidato le spese (Euro 27,00) e le competenze relative al primo grado di giudizio e le competenze relative all’attività svolta da COGNOME nella fase del controricorso incidentale del giudizio di legittimità.
Il ricorso è perciò accolto e il decreto impugnato deve essere cassato quanto al rigetto della domanda nei confronti di COGNOME.
Non risultando necessario alcun ulteriore accertamento, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con una nuova regolamentazione delle spese, secondo la liquidazione operata in dispositivo, da porsi interamente a carico del Ministero.
In particolare, nel merito della domanda di indennizzo proposta iure proprio da COGNOMECOGNOME deve essere riconosciuto all’istante un
indennizzo di Euro 2.000,00 (moltiplicando lo stesso parametro utilizzato dalla Corte d’appello e indicato in ricorso dallo stesso COGNOME) per quattro anni, cioè la misura dell’ulteriore durata irragionevole subita da COGNOME dopo la sua costituzione (non essendo stato da lui allegato -né risultando dalla sentenza -che egli sia stato citato in riassunzione prima di tale data.
Quanto alle spese, in considerazione del valore del decisum (pari a complessivi 3.500,00) in applicazione dei parametri minimi per lo scaglione delle cause di valore compreso tra Euro 1.101 ed Euro 5.200, già utilizzati dalla Corte d’appello, deve essere riconosciuto al ricorrente la somma di Euro 1.577,00, sia per il primo giudizio di opposizione che per la fase di rinvio, oltre rimborso forfettario, accessori e spese in Euro 27,00; per il primo giudizio di legittimità, deve essere riconosciuta la somma di Euro 900,00, oltre rimborso forfettario e spese in Euro 200,00; il Ministero deve essere condannato al relativo rimborso degli importi così riconosciuti.
Le spese del presente grado di legittimità sono pure poste a carico del Ministero, secondo la liquidazione operata in dispositivo in relazione al valore differenziale del compenso riconosciuto in questa sede.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, liquida in favore di NOME COGNOME la somma di Euro 2.000,00;
liquida le spese del giudizio di opposizione in Euro 1.577,00, del primo giudizio di legittimità in Euro 900,00 e del giudizio di rinvio in Euro 1.577,00, oltre rimborso forfettario, accessori e spese (Euro 27,00 per le fasi di merito, Euro 200,00 per la fase di legittimità), ponendole interamente a carico del Ministero;
condanna il Ministero al pagamento, in favore di NOME COGNOME, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda