Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4746 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 4746 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/02/2024
Oggetto:
Equa riparazione –
ORNOMENZA
sul ricorso iscritto al n. 26120/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege da ll’RAGIONE_SOCIALE e domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO, presso la sede della medesima RAGIONE_SOCIALE;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in qualità di eredi di NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME (eredi di COGNOME NOME), COGNOME NOME e COGNOME NOME (in qualità di eredi di COGNOME NOME), COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME (eredi di COGNOME NOME), COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME
NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIO;
contro
ricorrenti -avverso il decreto della Corte di appello di Perugia n. 387/2021 depositata il 29 giugno 2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21
settembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Osserva in fatto e in diritto
– Con ricorso ex art. 3 legge 89/2001, depositato il 18 aprile 2019 presso la Corte di appello di Perugia, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedevano il riconoscimento dell’equo indennizzo per l’irragionevole durata della procedura fallimentare della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarato dal Tribunale di Perugia con sentenza n. 87/1993 emessa in data 25.06.1993 e conclusa con decreto di chiusura del 25.10.2018, durata complessivamente 19 anni, 4 mesi e 15 giorni, alla quale avevano preso parte in qualità di ex dipendenti della società fallita. Con decreto n. 245 del 7 agosto 2020, il giudice designato della Corte di appello di Perugia accoglieva, per quanto di ragione, il ricorso e condannava il Ministero della g iustizia al pagamento dell’indennità di euro
9.500,00 per ciascun ricorrente, ad eccezione di NOME COGNOME, NOME ed NOME COGNOME, che agivano quali eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME che agivano quali eredi di NOME COGNOME, NOME ed NOME COGNOME che agivano quali eredi di NOME COGNOME, a cui riconosceva pro quota ereditaria tra di loro eredi l’importo complessivo di euro 6.000,00 per ogni gruppo di eredi, oltre agli interessi e alle spese.
D ecidendo sull’opposizione ex art. 5 -ter della stessa legge n. 89/2001 formulata avverso il citato decreto dal Ministero in relazione alla insussistenza del diritto all’indennizzo, la Corte di appello di Perugia, nella resistenza degli opposti, con decreto n. 387 del 2021, rigettava l’opposizione , condannando il Ministero al pagamento delle spese del procedimento.
Più specificamente, per quanto ancora di rilievo in questa sede, la Corte perugina riteneva infondate le lamentate circa l’ inesattezza del diritto preteso in considerazione della circostanza che il procedimento poteva ritenersi concluso solo con il decreto con cui veniva dichiarata la chiusura del fallimento, evento nella specie occorso ben dopo 12 anni dalla dichiarazione di fallimento; né poteva ritenersi che il decorso del tempo avesse comportato un vantaggio patrimoniale per i creditori, i quali erano stati soddisfatti solo in percentuale. Del pari non veniva accolta la deduzione sul quantum per avere il giudice fatto applicazione di tutti i criteri normativi individuando in euro 500,00 l’indennizzo per ciascun anno di ritardo.
Avverso il menzionato provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi il Ministero della giustizia, cui hanno resistito gli originari ricorrenti con controricorso.
F issata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 c.p.c., sono pervenute memorie.
1 Con il primo motivo il Ministero deduce la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2 -bis, comma 3 della legge n. 89 del 2001 in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. sul valore della causa nell’ambito di una procedura fallimentare in caso di parziale soddisfazione del credito ammesso al passivo entro il termine ragionevole. Ad avviso del Ministero ricorrente avendo l’intervento del RAGIONE_SOCIALE soddisfatto, almeno parzialmente, i ricorrenti entro un anno dall’istanza di ammissione al passivo, la somma dovuta per l’indennizzo non poteva superare la somma effettivamente attesa al termine della procedura. Di siffatta evenienza né il consigliere delegato né il giudice dell’opposizione aveva tenuto alcun conto nella determinazione dell’indennizzo.
Il motivo è fondato.
L’art. 2 bis, comma 3, L. 89/2001 dispone che la misura dell’indennizzo, anche in deroga al comma 1, non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice.
Nell’ individuazione della nozione di “valore della causa” ex art. 2 bis, comma 3, della legge n. 89/2001 e, in generale, tutte le volte che si debba avere riguardo a tale valore ai fini dell’equa riparazione del danno da durata non ragionevole del processo, deve farsi ricorso, in via di interpretazione analogica, al criterio
fissato dagli artt. 10 e ss. c.p.c. e quindi all’importo richiesto con la domanda proposta nel processo presupposto (cfr. Cass. n. 24362 del 2018, secondo cui, per le opposizioni all’esecuzione, viene in rilievo il valore indicato dall’art. 17 c.p.c., ossia quello del credito per il quale si procede).
In particolare, ai fini dell’equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo fallimentare, il valore della causa ex art. 2-bis, terzo comma, legge n. 89/2001, deve essere riferito al valore del credito ammesso al passivo fallimentare e non alla somma di cui al piano di riparto divenuto esecutivo, atteso che tali ultimi importi dipendono da molteplici variabili, indipendenti sia dalla natura e dall’entità del credito azionato, sia dalla situazione soggettiva del creditore (Cass. 24 febbraio 2023 n. 5757; Cass. 22378/2023; Cass. 30 novembre 2022 n. 35319; Cass. 27 ottobre 2022 n. 31800; Cass. 29 aprile 2019 n. 11372; Cass. 27 aprile 2018 n. 10176).
Nondimeno, ove, all’esito dei riparti parziali, l’importo residuo del credito vantato e ammesso si sia consistentemente ridotto entro i termini di durata ragionevole della procedura, l’indennizzo da superamento della soglia ragionevole deve essere parametrato all’effettiva entità della pretesa creditoria rimasta insoddisfatta.
Questa Corte ha evidenziato (Cass. 25 marzo 2019 n. 8289) che lo scopo della norma, che positivizza un’esigenza avvertita, sia pure con accenti e tecniche differenti, tanto nella giurisprudenza della Corte Edu (cfr. sentenza 21 dicembre 2010, divenuta definitiva il 20 giugno 2011, nel caso RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE c. Italia), quanto nei precedenti della Corte di legittimità (Cass. 14 gennaio 2014 n. 633; Cass. 24 luglio 2012 n. 12937), è di evitare il
rischio di sovra-compensazioni, se non addirittura di occasionali e insperati arricchimenti.
Ed invero, il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla legge n. 89/2001 si fonda non sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito (Cass. 25 luglio 2023 n. 22378 cit.; Cass. 9 novembre 2019 n. 28749; Cass. 25 settembre 2018 n. 22646
13803 del 23/06/2011).
Nel solco di questo indirizzo, e con specifico riferimento al caso di specie, più recentemente si è affermato che, in tema di giudizio per l’equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo, la determinazione dell’ammontare massimo di indennizzo concedibile non può superare il valore del giudizio presupposto, sicché, quando questo si concreti in una procedura fallimentare, deve tenersi conto del quantum di credito non soddisfatto all’esito del decorso del periodo di ragionevole durata e, ulteriormente, dei pagamenti effettuati in attuazione dei piani di riparto intervenuti nel corso della procedura, dovendosi evitare che l’indennizzo sia superiore al danno (Cass. 18 maggio 2022 n. 15966; Cass. 15 marzo 2022 n. 8402; Cass. 4 ottobre 2021 n. 26858).
E ciò perché nel periodo di ragionevole durata del giudizio presupposto non si ha diritto ad alcun indennizzo, sicché il quantum del credito nel medesimo periodo non ha precipua valenza, e -in ordine alle pretese soddisfatte nel periodo di
ragionevole durata -non è configurabile un pregiudizio per l’irragionevole durata della procedura fallimentare, che potrà essere rivendicato solo per l’eccedenza non soddisfatta.
Ne discende che la Corte distrettuale non si è attenuta a tale principio, interpretando in distonia dai termini anzidetti il disposto dell’art. 2 -bis, terzo comma, della legge n. 89/2001, a mente del quale la misura dell’indennizzo non può in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice ( recte dell’ammontare del credito risultante per effetto dei pagamenti avvenuti in esecuzione dei riparti parziali attuati entro i tempi di durata ragionevole).
Con il secondo motivo il Ministero denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2 legge n. 89 del 2001 in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. sull’erronea attribuzione dell’indennizzo iure hereditatis in caso di decesso entro la durata ragionevole del procedimento presupposto. Sottolinea il ricorrente che NOME COGNOME era deceduto il 07.09.1996 ed NOME COGNOME il 17.12.1998, allorchè non era maturata alcuna eccedenza.
Anche il secondo mezzo è fondato.
Non è in discussione che NOME COGNOME, NOME ed NOME COGNOME (eredi di NOME COGNOME), NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME (eredi di NOME COGNOME), NOME ed NOME COGNOME (eredi di NOME COGNOME) avessero chiesto l’indennizzo ex L. 89/2001 quali eredi di tre parti originarie del processo presupposto.
Di conseguenza la Corte di merito era tenuta a accertare se il processo avesse avuto una durata irragionevole già al momento
della morte dei rispettivi danti causa, non assumendo come riferimento temporale l’intero procedimento ovvero omettendo di specificare la diversa durata, ma procedendo ad una ricostruzione analitica delle diverse frazioni temporali al fine di valutarne separatamente la ragionevole durata, restando preclusa la possibilità di cumulare il danno sofferto dal de cuius a quello personalmente patito dagli eredi in seguito al loro intervento nel processo (Cass. n. 24711 del 2014; Cass. n. 10986 del 2015).
Non assume a tal fine alcun rilievo la continuità della posizione processuale dell’erede rispetto a quella del dante causa prevista dall’art. 110 c.p.c.: il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla legge n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione (Cass. n. 4003 del 2014; Cass. n. 13803 del 2011; Cass. n. 1309 del 2011; Cass. n. 23416 del 2009).
Nel caso in esame, il processo presupposto era stato incardinato il 25.05.1993 e, pertanto, alla morte di NOME COGNOME (07.09.1996) e di NOME COGNOME (17.12.1998) aveva avuto una durata complessiva di tre anni, tre mesi e diciannove giorni, nel primo caso, e di cinque anni, sei mesi e 22 giorni, nella seconda ipotesi, quindi in un tempo che potrebbe definirsi adeguato rispetto a quello ragionevole di sei anni previsto dall’art. 2, comma 2 bis, L. 89/2001 per il processo di primo grado: il diritto
all’indennizzo, maturato da i de cuius , era pervenuto ‘iure successionis’ agli eredi, legittimati a pretenderne la liquidazione.
A ciascuno di essi competeva a tale titolo una somma corrispondente alla singola quota ereditaria, per il periodo decorrente dalla fine del periodo di durata ragionevole alla data del decesso della parte (Cass. n. 20155 del 2011; Cass. n. 23939 del 2006), che nella specie non parrebbe neanche essere maturato.
Il ricorso va, pertanto, accolto e il decreto cassato, con rinvio della causa alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese di legittimità.
P . Q . M .
La Corte accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato con rinvio alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda