Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5801 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5801 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12837/2017 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonchè
contro
NOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 285/2017 depositata il 16/02/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Catania, con sentenza 285/2017, rigettò la impugnazione proposta da RAGIONE_SOCIALE(ora RAGIONE_SOCIALE) avverso il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e confermò la decisione del Tribunale di Catania che, in parziale accoglimento della opposizione proposta dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, aveva confermato il decreto ingiuntivo emesso per euro 356.169,42 per la minor somma di euro 181.169,42 più accessori condannando il RAGIONE_SOCIALE al pagamento di tale somma a titolo di utilizzo comunale del pozzo idrico denominato Sorgente RAGIONE_SOCIALE negli anni 2001 e 2002. La Corte disattese anche l’appello incidentale proposto dall’ente.
Avverso la sentenza nr.285 del 2017 della Corte di Appello di Catania propone ricorso per cassazione il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE affidato a quattro motivi e memoria. La RAGIONE_SOCIALE(ora RAGIONE_SOCIALE) resiste con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
A seguito della delibera di Giunta n. 36/2001, il RAGIONE_SOCIALE sottoscrivevano, in data 15 marzo 2001, un accordo (protocollo di intesa) – che doveva tenere l uogo dell’esproprio considerato come un preliminare all’acquisto definitivo, da parte del RAGIONE_SOCIALE (come previsto dalla delibera succitata) del RAGIONE_SOCIALE, nel quale veniva previsto il prezzo di trasferimento della proprietà, ed il pagamento di una somma all’espropriata società (rectius venditrice), per il 2001, a titolo di acconto sul prezzo di acquisto. All’art. 7, l’accordo prevedeva che, in caso di mancato acquisto del RAGIONE_SOCIALE idrico d parte del RAGIONE_SOCIALE per reces so dall’accordo, o per mancato perfezionamento dell’esproprio – il RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto « corrispondere alla società RAGIONE_SOCIALE un indennizzo pari alla quantità di mc d’acqua
emunta dal pozzo per il prezzo unitario a metro cubo determinato dal CIP, da conguagliare con quanto corrisposto per le rate di acconto, oltre alle spese sostenute per la gestione ». Con delibera n. 30 del 2002, si dava atto del mancato completamento della procedura espropriativa, mentre con delibera n. 283 del 2002, si decideva di prorogare fino al 31 dicembre 2003 la delibera n. 36/2001 (acquisizione della fonte COGNOME), di trasferire il servizio di erogazione idrica comunale a favore della società RAGIONE_SOCIALE, dall’1 gennaio 2003, e di corrispondere alla COGNOME la somma di euro 278.082,81, «a titolo di acconto per l’anno 2001 >>. Con successivo accordo del 5 marzo 2003, tra la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE ed il RAGIONE_SOCIALE, che le parti consideravano come preliminare alla vendita dalla COGNOME al RAGIONE_SOCIALE dell’impianto, le parti si obbligavano a dare esecuzione al protocollo del 15 marzo 2001 (vendita dell’impianto RAGIONE_SOCIALE) fissando termine fino al 31 dicembre 2003 per la stipula del contratto definitivo, e stabilendo altresì il prezzo di vendita. Il RAGIONE_SOCIALE si obbligava a pagare la somma di euro 278.082,81 a titolo di acconto per l’anno 2002, della maggior somma dovuta dall’ente per l’acquisto.
Con decreto ingiuntivo dell’11 maggio 2006, RAGIONE_SOCIALE otteneva l’intimazione al RAGIONE_SOCIALE del pagamento della somma di euro 356.169,42, dovuta «per l’ utilizzo del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per gli anni 2001-2002, in dipendenza della scrittura privata del 5 marzo 2003, con la quale si convalidava il protocollo di intesa sottoscritto il 15 marzo 2001». Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE faceva opposizione al decreto monitorio , deducendo l’insussistenza del credito, in quanto nei due contratti preliminari all’acquisto del la fonte, che si sarebbe dovuto perfezionare il 31 dicembre 2003, ma che non si era perfezionato, le somme oggetto dell’ingiunzione erano state previste, non come compenso per l’uso del RAGIONE_SOCIALE idrico, bensì rata annuale per l’acquisto della proprietà della sorgiva in capo all’ente pubblico.
In caso di mancato acquisto della proprietà, l’art. 7 succitato prevedeva, per contro, la corresponsione di un indennizzo, calcolato in modo diverso, ossia sul quantitativo di acqua emunta, al prezzo fissato dal CIP. Il RAGIONE_SOCIALE deduceva altresì la nullità degli atti per la mancata copertura della spesa, derivante dall’ingiunzione opposta, ess endo la copertura prevista solo per l’acquisto del RAGIONE_SOCIALE.
Il Tribunale accoglieva parzialmente l’opposizione, condannando il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al pagamento della minor somma di euro 181.169,82, tenendo conto degli acconti versati sull’importo complessivo di euro 556.165,62 (euro 278.082,81 x 2), che sarebbe spet tato alla RAGIONE_SOCIALE per l’utilizzo dell’acqua da parte dell’ente per gli anni 2001 e 2002 (per il 2003 era subentrata RAGIONE_SOCIALE). L’appello incidentale del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (nonché quello di un dipendente comunale chiamato in garanzia dall’ente) – disatteso anche l’appello principale della COGNOME – veniva rigettato dalla Corte d’appello con sentenza nr. 285 del 16/2/2017 che il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE impugna davanti a questa Corte di Cassazione.
Con il primo motivo di ricorso il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE denuncia ‘nullità della sentenza e violazione dell’obbligo di motivazione ex articolo 132 n.4 e 111, comma 6, della Costituzione, artt 112 e 115 cpc oltre che, per altro aspetto, per omessa e contraddittorietà della motivazione, travisamento dei fatti, stante che la Corte non indica la fonte del suo sapere, poiché quanto affermat o non risponde al vero.’
Con il secondo motivo di ricorso il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, da violazione dell’art. 112 c.p.c., degli articoli 132 n.4 e 111, comma 6, della Costituzione, degli articoli 1362 e segg. con riferimento agli articoli 1322, 1325, 1326 e 1372 c.c., da violazione dell’a rt. 9 della L. 192/98, da omessa e contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio, oltre al travisamento dei fatti e al contrasto con precedenti della Suprema Corte (da ultimo sentenza 13.1.17 n. 1203)>>
Con il terzo e quarto motivo il RAGIONE_SOCIALE ricorrente censura la sentenza per violazione violazione <> . Secondo il ricorrente i Giudici di appello avevano ignorato, al pari del Tribunale, che nel regolamento sottoscritto dalle parti in data 5/5/2003 vi era all’art.1 un richiamo al protocollo di intesa so ttoscritto il 15/3/2001 nel quale all’art. 7 si era stabilito che: ‘nell’ipotesi di recesso… l’RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto corrispondere ad RAGIONE_SOCIALE per l’utilizzo un indennizzo pari alla quantità di acqua emunta dal pozzo per il prezzo unitario a metro cubo determinato dal CIP da conguagliare con quanto corrisposto con le rate di acconto oltre alle spese sostenute per la gestione.’.
I motivi stante la stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.
Il giudizio trae origina da una complessa vicenda amministrativa, che da un iniziale procedimento espropriativo del bene, formalizzato dal comune con la delibera del consiglio comunale n. 99 del 2000, si è trasformato nell’anno successivo in un procediment o negoziale, che prevedeva la sottoscrizione di un preliminare di cessione di bene per come espresso con scrittura del 15.3.2001, dove il RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE firmavano un protocollo d’intesa, approvato con deliberazione di giunta municipale del 12.2.2001. Nessun atto amministrativo è stato adottato dal comune per l’acquisizione del bene, che è rimasto nella proprietà della società, la quale dal 1.1.2003 ha regolamentato l’uso e la vendita dell’acqua emunta dal pozzo con la società RAGIONE_SOCIALE, società partecipata dal comune di RAGIONE_SOCIALE, la quale
ha assunto dal comune di RAGIONE_SOCIALE la gestione del servizio idrico integrato dal 1.1.2003.
Infatti, con scrittura del 5.3.2003 sottoscritta dalla società RAGIONE_SOCIALE con la RAGIONE_SOCIALE, con l’intervento del comune di RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE entrava nel possesso della sorgiva e assumeva in obbligo di acquistare la stessa entro il 31.12.2003 al medesimo prezzo concordato con i precedenti atti sottoscritti con il comune e di pagare alla società RAGIONE_SOCIALE per l’anno 2003 la rata di € 278.082,82, quale acconto per l’anno 2003 della maggiore somma dovuta per l’acquisto del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al prezzo di £.8.656.646.583 pari ad € 4.470.785,00.
La controversia in esame verte dunque sulla somma che il comune deve corrispondere alla società RAGIONE_SOCIALE per l’utilizzo della sorgiva a seguito del recesso del comune dal vincolo contrattuale e di revoca della proposta di acquisto della sorgiva.
In altre parole, se la somma da versare per l’acqua per gli anni 2001 e 2002 sia corrispondente alla rata annuale di acquisto della sorgiva o se deve essere corrispondente alla quantità di acqua effettivamente emunta e utilizzata dal comune al prezzo fissato dal C.I.P.
Il Giudice di appello, confermando la decisione di prime cure, ha ritenuto nel merito che costituissero fondamento del chiesto indennizzo per il mai contestato possesso continuato del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE da parte del comune, le due determine comunali del 2002 (doc.ti 2-3 fascicolo monitorio), con le quali il RAGIONE_SOCIALE ha autonomamente previsto un compenso annuo da corrispondere per l’anno 2001 e 2002. I due atti amministrativi del 2002 che, ovviamente, sono atti ad impulso unilaterale (dunque, privi di qualunque bilateralità) hanno stabilito un compenso da corrispondere in favore di acque NOME per il suddetto utilizzo con relativa copertura finanziaria.
Al contrario, invece, l’art. 7 del protocollo d’intesa sottoscritto dalle parti il 15.3.2001 prevedeva che, in assenza del trasferimento della proprietà del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, il comune avrebbe corrisposto una somma, a titolo non di corrispettivo, bensì di indennizzo, corrispondente al consumo dell’acqua.
La somma di € 278.082,82, che il comune avrebbe dovuto versare alla società RAGIONE_SOCIALE per gli anni 2001 e 2002, trovava invero la sua causa giuridica, per come espressamente dichiarato dalle parti, nell’acquisto del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e non nel consumo dell’acqua, trattandosi di un acconto pari alla rata di ammortamento coincidente al reddito producibile (art. 5) e non pari al consumo, al cui pagamento il comune si sarebbe impegnato (art. 7), nell’ipotesi di recesso o revoca della procedura espropriativa.
Pertanto con la sentenza impugnata, la Corte di Appello ha travalicato l’accordo contrattuale, attribuendo al contratto un contenuto diverso da quello dato dalle parti.
La sentenza si palesa del tutto erronea, oltre che immotivata ,in relazione ai motivi di appello incidentale dell’ente (riprodotti a p. 28 del ricorso). L’ente aveva in sostanza – oltre alla dedotta nullità degli atti per mancanza di copertura finanziaria -insistito sulla riconvenzionale proposta in prime cure, nella quale aveva chiesto l’esame dei due contratti del 2001 e del 2003, al fine di evidenziare la mancanza di causa della prestazione richiesta, posto che – non essendosi perfezionata la vendita la somma stabilita come acconto per la vendita non era più dovuta, ma sarebbe stato possibile richiedere, da parte di NOME, l’indennizzo per l’acqua emunta dal pozzo, nella misura stabilita dal CIP, ai sensi dell’art. 7 del contratto del 15 marzo 2001, richiamato dal successivo accordo del 5 marzo 2003.
A fronte di tali doglianze la Corte territoriale ha rilevato, correttamente, che il RAGIONE_SOCIALE aveva denunciato la violazione, da parte del Tribunale, degli artt. 1322, 1362 e 1373 c.c., per avere il primo giudice erroneamente interpretato i contratti intercorsi tra le parti, ed ha confermato che il RAGIONE_SOCIALE idrico in questione è in proprietà di NOME, e che quindi l’acquisto in capo all’ente non era avvenuto. Tuttavia, la Corte ha ritenuto di non poter procedere alla chiesta interpretazione dei contratti, giacchè dalla «copiosa documentazione» sarebbe emerso che era stato solo l’ente pubblico a «determinare i principi e indirizzi, non emergendo alcuna bilateralità da intendersi qui quale negoziazione del detto rapporto», dimenticando che le parti avevano liberamente stipulato due contratti, che regolavano i loro rapporti anche in caso di mancato esproprio o di mancata conclusione della vendita. Esulerebbe, a parere della Corte territoriale, da qualsiasi valutazione interpretativa il regolamento dei rapporti operato in via unilaterale dall’ente che avrebbe «determinato unilateralmente un compenso da corrispondere in favore di RAGIONE_SOCIALE, per l’utilizzo dell’acqua sorgiva. Il rapporto in esame sarebbe desumibile dalle «determinazioni del 2002», che l’ente av rebbe cercato di superare, ricorrendo ad «un conteggio del consumo, in luogo del detto compenso, sebbene da nessun atto dell’amministrazione è mai emerso un tale indirizzo».
Si tratta peraltro di motivazione, oltre che incomprensibile, non aderente alla realtà processuale, che vede le parti stipulare liberamente due contratti, nei quali si prevedeva anche che, in caso di mancato trasferimento dell’impianto spettava alla NOME il suindicato indennizzo – che è istituto giuridico ben diverso dal corrispettivo – non certo le rate stabilite per il prezzo, e previo conguaglio con le rate già corrisposte dall’ente. La sentenza interpreta, poi, in maniera del tutto non corretta la domanda proposta in prime cure ed i motivi di appello proposti, introducendo
un tema – quella della determinazione autoritativa ed unilaterale dei compensi – che non è appartenuto al dibattito processuale in prime e seconde cure. A tal riguardo va applicato il principio secondo cui, l’interpretazione della domanda può essere sindacata i n sede di legittimità sotto il profilo motivazionale (Cass.30684/2019), nella specie totalmente carente.
La censura è quindi fondata ed il ricorso va accolto con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di Appello di Catania anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Catania in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione