Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 29216 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso N. 3579/2021 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso l o studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale EMAIL
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME (COGNOME RAGIONE_SOCIALE), che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale EMAIL
-controricorrente –
N. 3579/21 R.G.
avverso la sentenza n. 1603/2020 della Corte d’appello di Catanzaro , depositata il 2.12.2020;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 2.10.2024 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’arch. NOME COGNOME convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Catanzaro il Fallimento RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME esponendo che tra quest’ultimo e la società in bonis , nel 1996, era intervenuto un contratto avente ad oggetto la progettazione e direzione lavori di un fabbricato in Catanzaro, località Giovino, e che esso attore, quale amministratore della società stessa, aveva curato le obbligazioni di quest’ultima derivanti dal contratto. Dedusse che, essendo insorti contrasti nel corso dei lavori, con lettera del 22.3.2000 il De Pace aveva comunicato il recesso dal contratto, asserendo che il corrispettivo originariamente pattuito fosse pari a L. 85.470.795 oltre accessori (di cui L 42.000.000 già corrisposte) e chiedendo quindi il ridimensionamento dell’importo ancora dovuto; che, con sentenza del 14.6.2001 , il Tribunale di Catanzaro aveva dichiarato il fallimento della RAGIONE_SOCIALE Ciò posto, chiedeva ai sensi dell’art. 2041 c.c., previa declaratoria della nullità del contratto per violazione dell’art. 2 della legge n. 1815/1939 (che faceva divieto di conferire incarichi professionali a società di capitali), la condanna del De Pace al pagamento di € 114.051,87 oltre accessori, pari alla differenza tra l’onorario spe ttante per i lavori eseguiti dalla società e l’acconto di L. 42.000.000 versato dal De Pace. Si costituì il Fallimento della predetta società, chiedendo accertarsi la validità del contratto in parola e la riferibilità alla procedura concorsuale dei
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crediti da esso derivanti. Si costituì anche NOME COGNOME, contestando le avverse domande e chiedendone il rigetto. Con sentenza del 11.1.2017, il Tribunale di Catanzaro, dichiarata la nullità del contratto tra la società in bonis e NOME COGNOME, rilevato che il Fallimento non aveva azione nei confronti di quest’ultimo, rigettò la domanda della curatela e accolse la domanda attorea, condannando NOME COGNOME al pagamento in favore del COGNOME della somma di € 114.051,87 oltre accessori. NOME COGNOME propose gravame e, nella resistenza del solo COGNOME, la Corte d’appello, con sentenza del 2.12.2020, lo accolse parzialmente. Osservò la Corte calabra che -ferma la nullità del contratto e la legittimazione attiva del COGNOME (questioni su cui s’era forma to il giudicato interno) -il corrispettivo originariamente pattuito fosse pari a L. 85.470.795 oltre accessori e che esso ben potesse essere preso a parametro per il calcolo dell’indennizzo ex art. 2041 c.c.; di conseguenza, effettuate le decurtazioni del caso, ridusse l’importo condannatorio ad € 18.008,47 attualizzati, oltre interessi. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso NOME COGNOME Il P.G. ha depositato requisitoria scritta, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza entro sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1173, 1321 e 2041 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la C orte d’appello dato rilievo -nella determinazione dell’indennizzo ad un contratto che, oltre ad essere nullo, era intervenuto inter alios , dunque
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inopponibile ad esso ricorrente, in quanto ad esso estraneo, benché la sua posizione sia stata trattata in modo indistinto rispetto a quella della società.
1.2 -Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del degli artt. 1418 e 2041 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la C orte d’appello pur dopo aver rilevato che il contratto inter alios era stato dichiarato nullo, con statuizione passata in giudicato – restituito efficacia al contratto stesso, utilizzandone le previsioni al fine di determinare l’indennizzo dovuto ad esso ricorrente.
1.3 -Con il terzo motivo, infine, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2041, 1226 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la Corte territoriale utilizzato, nella liquidazione dell’indennizzo, parametri del tutto estranei alle previsioni delle norme rubricate, nonché con i principi di diritto circa la quantificazione e liquidazione dell’indennizzo da ingiustificato arricchimento.
2.1 -Preliminarmente, occorre rilevare che il ricorso non è stato notificato al Fallimento della RAGIONE_SOCIALE, che indubbiamente riveste la posizione di litisconsorte necessario processuale, essendo stato parte nel giudizio di merito. Tuttavia, per ragioni di economia processuale, può farsi a meno di disporsi l’integrazione del contraddittorio, stante l’inammissibilità del ricorso stesso (v. Cass., Sez. Un., n. 6826/2010), per le ragioni che verranno infra illustrate.
2.2 -Sempre in via preliminare, occorre muovere dalla considerazione (correttamente svolta dalla Corte catanzarese) per cui s’è formato il giudicato interno sia sulla legittimazione attiva ex art. 2041 c.c. del COGNOME, sia sulla
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mancanza di azione in capo al Fallimento della RAGIONE_SOCIALE, giacché la sentenza di primo grado non è stata impugnata da alcuno in parte qua : su tali aspetti, dunque, non è consentito ritornare, benché non possa farsi a meno di evidenziare -contrariamente a quanto dedotto dall’odierno ricorrente , quale trait d’union rispetto ai singoli motivi di ricorso -sia proprio esso COGNOME (e non la Corte d’appello) a dimostrare di aver confuso la propria posizione soggettiva con quella della società (e di averla ad essa sovrapposta), quale persona giuridica (quest’ultima) che aveva stipulato il contratto con il De Pace, poi dichiarato nullo. Se dunque la attuale condizione di ‘impoverito’ del COGNOME è indiscutibile, ciò dipende solo dal giudicato interno sul punto, giacché è stato lo stesso COGNOME ad agire ex art. 2041 c.c., ma dichiaratamente rispetto a prestazioni professionali rese nella qualità di amministratore (o comunque, nell’egida operativa) della RAGIONE_SOCIALE, non in proprio.
3.1 -Ciò chiarito, i motivi del ricorso possono esaminarsi congiuntamente, perché strettamente connessi; essi sono inammissibili.
Anzitutto, le censure difettano di autosufficienza in relazione alla determinazione di congruità del corrispettivo parametrato alla pattuizione contrattuale, non essendosi chiarito in ricorso se le argomentazioni circa l’entità delle prestazioni professionali per il relativo importo dei lavori (indicato a p. 14 del ricorso) siano state effettivamente sottopos te alla Corte d’appello .
Le censure, in ogni caso, difettano di specificità, non avendo il COGNOME colto la ratio decidendi dell’impugnata sentenza.
Questa, nel parametrare la riduzione dell’indennizzo ex art. 2041 c.c. (rispetto a quanto operato dal Tribunale) alla pattuizione del compenso determinata nel
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contratto nullo, ha utilizzato la relativa clausola non già nel suo valore cogente, ex art. 1372 c.c., ma proprio come dato fattuale, ossia con riferimento all’espressione valoriale di quelle determinate prestazioni professionali riportate in contratto (e, come detto, oramai ascritte al COGNOME in proprio), peraltro frutto della determinazione volitiva dello stesso COGNOME, sia pure nella qualità di AU della fallita: il che ha escluso la stessa possibilità di far ricorso alle tariffe professionali, che in subiecta materia possono operare quale parametro della liquidazione equitativa dell’indennizzo ai sensi dell’ art. 1226 c.c. ( ex multis , Cass. n. 14329/2019), che però com’è noto – ha pur sempre carattere residuale.
Nell’ottica della Corte calabra, dunque, la sussistenza di un parametro valoriale, comune alle parti (latamente intese) e di natura eminentemente fattuale, ha eliminato la variabile residuale (la liquidazione equitativa), sicché da detto parametro non poteva prescindersi.
L’odierno ricorrente, invece, da un lato denuncia la confusione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale circa la propria posizione soggettiva, rispetto a quella della società (confusione che, in realtà – come già anticipato -è senz’altro ascrivibile alla sua iniziativa giudiziale, così come avviata), e dall’altro insiste nella inutilizzabilità tout court del contratto nullo, senza adeguatamente censurarne la mera dimensione fattuale appunto (opportunamente) valorizzata dal giudice d’appello: il che è plasticamente evidenziato dalla ritenuta assenza di titolo (e di interesse), da parte di esso ricorrente, per contestare alcunché circa le pattuizioni contrattuali e quanto dalle stesse evincibile (v. ricorso, p. 11), così il COGNOME avendo inteso replicare all’osservazione della Corte d’appello per
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cui l’importo del compenso pattuito tra la società e il RAGIONE_SOCIALE era pacificamente pari a L. 87.470.795, di cui L. 42.000.000 già versate.
Così facendo, in realtà, il COGNOME dimostra di non aver inteso che detta entità è stata utilizzata dalla Corte catanzarese nella più volte descritta dimensione fattuale, senza affatto richiamare una valenza effettuale del contratto nullo, il che avrebbe presupposto, da un lato, una impossibile perdurante sua efficacia, e dall’altro, il dispiegamento dei propri effetti ultra vires e ultra partes : il che, nella decisione qui impugnata, non può scorgersi in alcun modo.
In altre parole, le censure in esame non sono rivolte, con l’adeguata specificità richiesta dall’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis ), a contrastare il ragionamento effettivamente seguito dal giudice d’appello, ma ne individuano un altro, diverso e inesistente (applicazione di clausole di un contratto nullo e per di più inter alios ), che finisce impropriamente per divenire oggetto dell’impugnazione: donde l’inammissibilità dei mezzi in esame.
4.1 -In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in € 6.000,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il giorno