Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7345 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 7345 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24230/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa ope legis dall’RAGIONE_SOCIALE presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono
-controricorrente –
Oggetto: Lavoro pubblico contrattualizzato -Abusiva reiterazione di contratti a termine -Indennizzo ex art. 32, comma 5, L. n. 183/2010 -Oneri probatori
R.G.N. 24230/2018
Ud. 21/02/2024 CC
avverso la sentenza n. 3/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 15/02/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 21/02/2024 dal AVV_NOTAIO
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 3/2018 del 15 febbraio 2018, la Corte d’appello di Torino, nella regolare costituzione dell’appellato NOME COGNOME, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Cuneo n. 168/2016, del 23 novembre 2016.
NOME COGNOME aveva adito il giudice del lavoro, riferendo di essere stato assunto da RAGIONE_SOCIALE e di essere stato inquadrato come funzionario di Area III, ricevendo il conferimento di incarichi dirigenziali con una serie di contratti a termine ai sensi dell’art. 24, comma 2, del Regolamento di Amministrazione, prima, e dell’art. 8, comma 24, D.L. n. 16/2012, poi, svolgendo tali funzioni per più di sette anni.
Aveva quindi chiesto l’accertamento del diritto alla costituzione di un rapporto dirigenziale e la condanna di RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni derivati dall’abusiva reiterazione dei contratti a termine.
Il Tribunale di Cuneo aveva disatteso le domande del ricorrente ad eccezione di quella volta a conseguire il risarcimento dei danni per l’abusiva reiterazione dei contratti a termine, riconoscendo al ricorrente l’indennizzo ex art. 32, comma 5, L. n. 183/2 010, nella misura di otto mensilità.
Proposto appello da parte di RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’appello, rilevato che con il gravame l’appellante veniva a dolersi
dell’accoglimento della domanda nonostante il ricorrente non avesse dato prova delle chances perdute per effetto dell’abusiva reiterazione dei contratti a termine, ha dichiarato il gravame inammissibile.
La Corte d’appello, infatti, ha evidenziato che il giudice di prime cure aveva ritenuto il lavoratore esentato dalla prova del danno in virtù dell’operare della previsione di cui all’art. 32, comma 5, L. n. 183/2010 e quindi di un meccanismo di applicazione presuntiva e predeterminata dell’indennizzo, laddove le critiche mosse dall’appellante nel gravame omettevano radicalmente di confrontarsi con tale impostazione argomentativa, richiamando genericamente i principi in tema di danno da perdita di chance .
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Torino ricorre RAGIONE_SOCIALE.
Resiste con controricorso NOME COGNOME NOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno entrambe depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’unico motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 99, 112, 324, 434 c.p.c. e 2909 c.c.
La ricorrente impugna la decisione della Corte torinese, argomentando di avere espressamente e specificamente contestato l’applicazione del criterio presuntivo di cui all’art. 32, comma 5, L. n. 183/2010, sostenendo la necessità che la perdita di chance fosse adeguatamente provata dall’odierno controricorrente.
Il ricorso è infondato.
La Corte territoriale, infatti, ha rilevato che la decisione di prime cure si era conformata all’orientamento espresso da questa Corte a Sezioni Unite (Cass. Sez. U, Sentenza n. 5072 del 15/03/2016), a mente del quale, in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, D. Lgs. n. 165/2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della L. n. 183/2010 – quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario” – determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto.
I caratteri della fattispecie di cui all’art. 32, comma 5, della L. n. 183/2010 (poi art. 28, D. Lgs. n. 81/2015) -e cioè, appunto, il suco costituire danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, con conseguente esonero del lavoratore dall’onere probatorio del danno medesimo, onere che invece viene a ripristinarsi qualora vengano allegati pregiudizi ulteriori di cui si chieda il ristoro -sono stati poi reiteratamente confermati da questa Corte in numerosi precedenti (Cass. Sez. L – Sentenza n. 446 del 13/01/2021; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 2175 del 01/02/2021; Cass. Sez. L Ordinanza n. 992 del 16/01/2019, per giungere alla recente Cass. Sez. U – Sentenza n. 5542 del 22/02/2023).
Così individuata la ratio della decisione di prime cure -la cui ricostruzione non viene in alcun modo contestata nella presente sede la Corte d’appello ha correttamente rilevato che il motivo di gravame sviluppato dall’odierna ricorrente veniva invece ad invocare i principi
generali in tema di danno da perdita di chance , senza confrontarsi invece con le peculiarità del regime speciale di cui all’art. 32, comma 5, della L. n. 183/2010 , per l’effetto dichiarando inammissibile il gravame.
Il medesimo vizio di fondo evidenziato dalla Corte territoriale caratterizza anche il ricorso ora in esame, nel quale la ricorrente -in sostanza riproponendo pressoché letteralmente il proprio atto di appello – persiste nel non confrontarsi con la ratio della decisione impugnata.
Il ricorso, anzi, nel suo impianto di fondo, conferma la correttezza della decisione stessa dalla Corte d’appello , dal momento che insiste nell’offrire una ricostruzione dello stesso art. 32, comma 5, della L. n. 183/2010 del tutto difforme da quella individuata da questa Corte nei propri precedenti.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte: rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale in data 21 febbraio