Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33884 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33884 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 23919/2021 r.g. proposto da:
Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME Luca, COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME nella qualità di eredi di COGNOME NOME (in proprio e quale erede di COGNOME Orazia), COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Giuliano, COGNOME
NOMECOGNOME NOME, COGNOME Salvatore, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Salvatore, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME e COGNOME NOME, tutti rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notificazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliati nel suo studio in Roma, INDIRIZZO NOME COGNOME, n. 5
-controricorrenti-
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 3252/2021, depositata in data 3/5/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12 /2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME,NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, in qualità di eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, in qualità di eredi di NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, in qualità di eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedevano l’indennizzo di cui alla legge 5/4/1985, n. 135, per la perdita di beni situati in Libia, nei territori soggetti alla sovranità italiana, e confiscati dalle autorità libiche nel 1970.
A fronte di un indennizzo ritenuto non soddisfacente gli attori chiedevano al tribunale di Roma una liquidazione di importo maggiore.
Gli immobili oggetto del giudizio sono quattro: 1) cespite A; di HA 21.500, sito in Tripoli, contrada INDIRIZZO, per il quale – come vedremo – La Corte d’appello, con sentenza non definitiva delle 10/1/2011, non riconosceva l’indennizzo da perdita di avviamento commerciale; unico cespite per il quale la Corte d’appello, con la predetta sentenza diminuiva il valore sino a lire libiche 215.000,00; 2) cespite B, di HA 3.78.83, sito in Tripoli, contrada INDIRIZZO, per il quale la Corte d’appello, con la sentenza non definitiva del 10/1/2011, non riconosceva l’indennizzo da perdita di avviamento commerciale;3) cespite C, di mq 18.000, sito in Tripoli, Collina INDIRIZZO; 4) cespite D, terreno di HA 18.77.20, sito in Tripoli, INDIRIZZO.
3. Il tribunale di Roma con sentenza del 9/9/2004 condannava il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento della somma di euro 589.942,85 in favore di NOME COGNOME e NOME, NOME ed NOME COGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME, euro 253.015,82 in favore di NOME COGNOME, euro 499.825,32 in favore di NOME COGNOME, euro 498.024,94, in favore di NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME, NOME ed NOME COGNOME, in qualità di eredi di NOME COGNOME, euro 41.559,00 in favore di NOME COGNOME, euro 51.310,11 in favore di NOME COGNOME ed euro 66.478,63 in favore di NOME COGNOME.
In sostanza, il tribunale accoglieva le domande dei privati sia per il valore intrinseco degli immobili, sia per il valore dell’avviamento commerciale liquidato equitativa mente nelle 30% del valore degli
immobili, riconoscendo gli interessi legali dalle date delle istanze amministrative.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 10/1/2011, confermava quasi integralmente la sentenza del tribunale, ma riformava il capo della decisione relativo alla determinazione del valore del cespite sub A, che veniva ridotto a lire libiche 215.000,00.
I valori dei cespiti B, C e D restavano immutati.
Inoltre, la Corte di merito reputava non dovuto l’indennizzo da perdita di avviamento con riferimento alle aziende agricole che si rinvenivano sul cespite A e sul cespite B, confermando l’indennità da perdita di avviamento per gli altri cespiti (C e D).
La Corte di merito accoglieva anche l’appello del MEF in ordine all’individuazione del dies a quo per il computo degli interessi, indicandolo nella data della domanda giudiziale.
Avverso tale sentenza proponevano ricorso principale per cassazione i privati sulla base di 8 motivi.
I primi quattro motivi di ricorso, che erano tutti relativi alla determinazione del valore del cespite A, che era stato ridotto dalla Corte d’appello a lire libiche 215.000, venivano reputati inammissibili.
Venivano invece accolti i motivi quinto e sesto di ricorso principale dei privati, in relazione all’omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, oltre che con riferimento alla violazione dell’art. 1 della legge 29/1/1994, n. 98, con cui ci si doleva del mancato riconoscimento dell’indennizzo per la perdita di avviamento in relazione ai cespiti A e B.
Per i ricorrenti, dunque, la Corte d’appello non avrebbe spiegato le ragioni per cui il mero mutamento della destinazione del terreno
comportava il venir meno dell’avviamento relativo all’azienda agricola sullo stesso esistente.
Questa Corte reputava fondati i due motivi, rilevando l’errore della Corte di merito che aveva escluso l’indennizzo da perdita di avviamento in quanto le aziende, a seguito dell’inclusione dei terreni nel piano regolatore generale della città di Tripoli, condotte ormai in terreni non più agricoli, «si sono trasformate di fatto, per i loro titolari, in beni e/o attività di mera gestione del patrimonio immobiliare, come tali non indennizzabili una seconda volta».
Tale interpretazione – ad avviso di questa Corte – era in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di indennità di espropriazione, per i terreni situati in Italia.
Ed infatti, l’indennità di espropriazione era unica, essendo destinata tenere luogo del bene espropriato, ma non potendo superare in nessun caso il valore che esso rappresentava. Pertanto, il termine di riferimento dell’unica indennità era rappresentato dal valore di mercato dell’immobile espropriato, in base alle sue caratteristiche naturali, economiche e giuridiche, ma «non anche pregiudizio che il proprietario risente come effetto del non poter ulteriormente svolgere mediante l’uso dello stesso immobile la precedente attività». L’espropriazione, dunque, non comportava che fosse «acquisita all’espropriante l’azienda da costui organizzata, sicché il valore del bene espropriato debba comprendere anche quello dell’azienda».
Con riferimento specifico ai terreni agricoli, poi, si reputava che si dovesse tenere conto, nell’ambito dell’indennità unitariamente considerata, anche del pregiudizio subito dall’azienda nel suo insieme per effetto dello smembramento cagionato dall’espropriazione, ma «non la valutazione del complesso dei beni organizzato per l’esercizio di una specifica e ben individuata
impresa agricola, da intendersi nel senso di cui all’art. 2555 c.c., e quindi di tutte le conseguenze pregiudizievoli, ivi compreso il mancato guadagno, del ridimensionamento e/o della cessazione dell’attività imprenditoriale».
In relazione, poi alle aree edificabili, si chiariva il principio opposto per cui non andava valutato il «pregiudizio economico che il proprietario abbia risentito come effetto del non poter ulteriormente svolgere mediante l’uso dello stesso immobile la propria precedente attività produttiva, anche perché l’espropriazione non si estende al diritto dell’imprenditore, né comporta l’acquisizione all’espropriante dell’azienda da costui organizzata, e neppure delle attrezzature installate per esercitarla».
Tuttavia, si precisava che tali principi non erano traslabili in tutta la loro portata con riferimento alla liquidazione degli indennizzi per i beni perduti all’estero da cittadini italiani, con riferimento alla legge n. 16 del 1980.
Ed infatti, l’art. 1 della legge n. 98 del 1994, prevedeva il ristoro delle perdite subite sia in beni materiali che in beni immateriali, «ivi compreso l’avviamento relativo alle attività industriali, commerciali, agricole, di servizi, marittime, immobiliari, professionali ed artigianali, rendendo quindi indennizzabile, nel caso di disgregazione di aziende, l’intero pregiudizio che la stessa ha comportato indipendentemente dal valore di mercato del suolo sul quale l’attività veniva esercitata».
Proseguiva questa Corte nel senso che «nessun rilievo può assumere, in proprio, la classificazione urbanistica del fondo, alla cui modificazione, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, non fa necessariamente riscontro il mutamento delle concrete modalità di sfruttamento dell’immobile»; sicché «la mera inclusione di un fondo già agricolo in una zona del piano regolatore
in cui è consentita l’edificazione non consente infatti di ritenere che l’utilizzazione dello stesso si sia trasformata in un’attività di mera gestione del patrimonio immobiliare, a meno che non risulti dimostrato che all’epoca della confisca l’attività produttive era cessata».
Con l’aggiunta per cui «in mancanza di tale prova, la perdita dei beni aziendali deve essere interamente ristorata, in misura pari al loro valore di mercato, purché ovviamente si tratti di beni di proprietà del richiedente, ed allo stesso modo deve essere indennizzata la perdita dell’avviamento, e ciò indipendentemente dalla classificazione urbanistica del terreno, la quale viene in considerazione esclusivamente ai fini della liquidazione del relativo indennizzo, anch’esso ovviamente subordinata alla dimostrazione della proprietà».
Di qui, l’assorbimento del settimo motivo in ordine alla richiesta di far decorrere gli interessi non dalla data della domanda giudiziale, come fatto dal tribunale di prime cure, ma da «quella della costituzione in mora».
L’ottavo motivo era inammissibile, consistendo nella richiesta di correzione di un mero errore materiale.
4.1. Veniva accolto anche il quinto motivo di ricorso incidentale del MEF.
Venivano rigettati i motivi primo e secondo di ricorso incidentale, relativi alla quantificazione dell’indennizzo relativo all’immobile di mq 18.000, ossia del cespite B.
Venivano dichiarati inammissibili i motivi terzo e quarto di ricorso incidentale, relativi alla determinazione del valore del terreno di HA 18.77.20 (cespite D).
Veniva, invece, accolto il quinto motivo di ricorso incidentale del MEF con cui l’amministrazione si doleva della determinazione
dell’indennizzo da perdita di avviamento per l’azienda agricola costituita sul cespite sito in località INDIRIZZO (cespite D).
Per il MEF la determinazione di tale indennizzo nella misura pari al 30% del valore dei beni aziendali era incomprensibile, «non essendo ravvisabili alcun nesso tra l’importo ricavabile dall’investimento di detto valore ed il plusvalore ricollegabile all’attività esercitata dall’imprenditore».
Questa Corte, dunque, reputava che effettivamente vi erano due diversi criteri per liquidare l’indennizzo da perdita del diritto all’avviamento: le risultanze degli ultimi 3 bilanci dell’azienda; il criterio suppletivo, destinata ad operare nell’ipotesi in cui gli interessati non fossero in grado di produrre idonea documentazione, consistente nel riconoscimento, ai sensi dell’art. 1226 c.c., di un ulteriore importo non superiore a 30% dell’indennizzo riconosciuto per la perdita dei beni materiali.
Tuttavia, l’applicazione dell’art. 1226 c.c. «non dispensa peraltro il giudice dall’obbligo di dare adeguatamente conto del procedimento logico seguito per giungere alla determinazione dell’importo liquidato, attraverso il riferimento ad elementi fattuali idonei a conferire connotati di concretezza la propria valutazione, e segnatamente al valore del complesso aziendale, alle caratteristiche dei beni che lo componevano, al settore in cui operava, alla natura dell’attività produttiva svolta ed alla sua presumibile redditività, anche il rapporto alle condizioni di mercato esistenti negli anni immediatamente precedenti alla confisca».
Al contrario, nella specie, la sentenza impugnata si era limitata «a fare propria la stima risultante dalla relazione del CTU, che aveva determinato l’indennizzo in base ad un astratto criterio economicofinanziario fondato sul rendimento normale di un investimento pari al valore complessivo dei beni confiscati, reputando congruo un
importo pari all’interesse legale sul predetto valore, senza preoccuparsi di fornire una risposta adeguata alle argomentazioni critiche dell’amministrazione, in ordine alle quali ha genericamente richiamato chiarimenti forniti dal CTU».
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3252/2021 del 3/5/2021, pronunciando in sede di rinvio, rigettava l’appello proposto dal MEF avverso la sentenza del tribunale che, invece, sulla scorta della CTU, aveva accolto le domande dei privati sia per il valore intrinseco degli immobili, sia per l’avviamento commerciale, liquidato equitativamente nel 30% del valore degli immobili, oltre interessi legali dalle date delle istanze amministrative.
In motivazione, la Corte territoriale riportava, quanto «alla ricostruzione della vicenda processuale» l’ordinanza della Corte di cassazione n. 6964 del 20/3/2018.
Riportava, poi, anche la motivazione della Corte di cassazione citata in ordine al «quinto e sesto motivo di ricorso con la seguente motivazione », Quindi in ordine alla determinazione dell’indennizzo per perdita di avviamento commerciale, in relazione ai cespiti A (HA 21.50.00) e B (HA 2.78.33).
Riportava, quindi, il principio di diritto pronunciato da questa Corte con l’ordinanza n. 6964 del 2018.
Aggiungendo esclusivamente che «tenuto conto del principio affermato dalla Corte di cassazione del rilievo che il motivo di appello del Ministero al riguardo era limitato al fatto che la nuova destinazione urbanistica, come area edificabile, precludesse in radice la indennizzabilità della perdita di avviamento commerciale, e che non è stato neppure allegato dal Ministero che al momento della confisca l’attività produttiva fosse già cessata, la statuizione del Tribunale non può che essere confermata».
Con la precisazione per cui «su tutti gli importi sono dovuti gli interessi legali dalle date di costituzione in mora indicate dal tribunale».
La Corte d’appello, in sede di rinvio, si soffermava poi «sull’indennizzo dell’avviamento dell’azienda agricola ubicata in località INDIRIZZO» (cespite D), relativo al quinto motivo di ricorso incidentale per cassazione formulato dal MEF accolto.
Descriveva la motivazione della ordinanza di questa Corte n. 6964 del 2018, con cui era stato accolto il quinto motivo di ricorso incidentale del MEF.
Riportava quanto affermato dal tribunale di Roma, per cui era «condivisibile il criterio adottato dal CTU che ha stimato il danno per la perdita commerciale nella misura del 30% del valore accertato dei beni materiali asserviti alle aziende».
Concludeva nel senso che «il motivo di appello del MEF, che deve essere riesaminato in questa sede, è infondato, se non inammissibile, in quanto svincolato dall’iter motivazionale della sentenza del tribunale».
La censura del MEF si fondava, infatti, «non sulla contestazione della base di calcolo utilizzata dal CTU e recepita dal tribunale costituita dai beni materiali dell’azienda, la cui consistenza e il cui valore non sono stati contestati, bensì sull’utilizzo di una base di calcolo diversa costituita dalla valutazione del patrimonio culturale complessivo e difforme rispetto a quanto previsto dall’art. 1 l. 98 /1994 che deve essere applicato».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il MEF.
Hanno resistito con controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nella qualità di eredi di NOME
COGNOME (in proprio e quale erede di NOME COGNOME), NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione il MEF ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 383,384 e 392 seguenti c.p.c., nonché dell’art. 2909 c.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
In sostanza, la Corte d’appello, in sede di rinvio, laddove ha rigettato integralmente l’appello del MEF in relazione alle statuizioni della sentenza del tribunale di Roma n. 24878 del 2004, oggetto della sentenza non definitiva della Corte d’appello n. 3 del 2011, ha violato il giudicato interno, formatosi in relazione alla determinazione del valore del cespite A (terreno edificabile di HA 21.50.00), in Tripoli, contrada INDIRIZZO.
La Corte d’appello, infatti, con la sentenza n. 3 del 2011 aveva ridotto il valore di tale terreno, rispetto a quello liquidato nella sentenza di prime cure, «nella minore misura di lire libiche 215.000».
Infatti, si legge nella motivazione della sentenza della Corte d’appello n. 3 del 2011 che «il CTU ed il tribunale hanno tralasciato di considerare nel calcolo del valore netto del terreno de quo la successiva destinazione e la necessaria detrazione degli oneri di urbanizzazione, come prescritto dall’art. 34 del PRG, con conseguente riduzione del 35% della superficie edificabile, per la gestione al Comune di Tripoli delle aree da destinare a servizi di pubblica utilità».
Sempre nella medesima decisione si chiariva, quanto all’importo dell’unione di lottizzazione, quantificati dal ministero in lire libiche 374.640, che, sul punto, «la contestazione degli appellati è stata oltremodo generica e lo stesso apprezzamento del CTU non rileva ai fini della formazione del convincimento della Corte».
Pertanto, non solo doveva sottrarsi il 35% della superficie, ma dovevano detrarsi anche le spese di urbanizzazione come indica dell’amministrazione, nella misura di lire libiche 374.334 «con un valore residuo di lire libiche 215.000».
I primi quattro motivi di ricorso principale per cassazione articolato dai privati sono stati dichiarati inammissibili, con conseguente formazione del giudicato interno sulla determinazione del valore del cespite A.
Il motivo è fondato.
2.1. Infatti, il tribunale di Roma con sentenza n. 24878 del 2004 aveva accolto la domanda dei privati in ordine al valore intrinseco degli immobili, ivi compreso il cespite A), di Ha 21.50.00 sito in Tripoli, INDIRIZZO
2.2. A seguito di appello del MEF, però, la Corte d’appello con sentenza n. 3 del 2011, ha accolto il gravame, riducendo il valore in lire libiche 215.000.
2.3. I primi quattro motivi di ricorso principale per cassazione articolati dai privati, in relazione proprio alla determinazione del valore del cespite A, di HA 21.50.00, sono stati dichiarati inammissibili da questa Corte con ordinanza n. 6964 del 2018, con conseguente formazione del giudicato interno in ordine al valore del cespite A.
Pertanto, la Corte d’appello, in sede di rinvio, ha errato, con la sentenza n. 3252 del 2021, nel rigettare integralmente l’appello del MEF, avverso la sentenza del tribunale di Roma n. 24878 del 2004,
in quanto era ormai passato in giudicato il capo della sentenza della Corte d’appello n. 3 del 2011, con cui il valore del cespite A, di HA 25.50.50 era stato determinato in lire libiche 215.000,00.
Vi è stata, dunque, palese violazione del giudicato interno.
Con il secondo motivo di impugnazione il MEF ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Si evidenzia che, in ordine all’indennizzabilità del valore dell’avviamento commerciale relativo ai cespiti A e B che, in riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’appello con la sentenza n. 3 del 2011, aveva negato, con pronuncia però cassata proprio sul punto, per effetto dell’accoglimento del quinto e del sesto motivo del ricorso principale di parte privata, la Corte d’appello ha reso una motivazione meramente apparente, limitandosi a riportare il contenuto dei motivi quinto e sesto di ricorso principale, il principio affermato dalla Corte di cassazione, con l’aggiunta della laconica affermazione della conferma della statuizione del tribunale in quanto «il motivo di appello del ministero al riguardo era limitato al fatto che la nuova destinazione urbanistica, come area edificabile, preclude in radice la indennizzabilità della perdita di avviamento commerciale, e che non è stata neppure allegato dal ministero che al momento della confisca l’attività produttiva fosse già cessata».
La Corte d’appello, invece, avrebbe dovuto procedere, in sede di rinvio «ad una autonoma valutazione, corredata compiuta motivazione, circa l’eventuale valore da attribuire alla perdita dell’avviamento e le ragioni di tale conclusione».
Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione degli articoli 383,384 e 392 seguenti c.p.c., nonché dell’art. 2909 c.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
La Corte d’appello ha apoditticamente confermato, con la sentenza n. 3252 del 2021, il valore dell’avviamento commerciale già liquidato dal tribunale in relazione ai cespiti A e B, che era stato invece escluso dalla Corte d’appello con la sentenza n. 3 del 2011.
Per il ricorrente, tuttavia, nella sentenza di prime cure il tribunale aveva calcolato il valore dell’avviamento in via percentuale rispetto al valore intrinseco dei cespiti, e più precisamente nella misura del 30%.
Il tribunale aveva dunque utilizzato il criterio equitativo, facendo proprio il criterio adottato dal CTU che aveva stimato il danno per la perdita dell’avviamento commerciale nella misura del 30% del valore patrimoniale accertato e dei materiali asserviti alle aziende.
Tuttavia, il valore del cespite A era stato diminuito, con formazione del giudicato interno, dalla sentenza della Corte d’appello n. 3 del 2011, sicché risulta evidente che «il giudice di rinvio non avrebbe potuto confermare apoditticamente il valore dell’avviamento commerciale liquidato in primo grado (che il tribunale aveva calcolato in via percentuale sulla stima del cespite che era stata tuttavia può riformare in appello) ma avrebbe dovuto procedere ad una autonoma immotivata riliquidazione del valore dell’avviamento che, anche volendo seguire i criteri utilizzati dal tribunale, avrebbe dovuto essere rapportata al valore del cespite A quale rideterminato in via definitiva dalla sentenza d’appello n. 3/2011».
I motivi secondo e terzo, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono fondati nei termini di cui motivazione.
6.1. Effettivamente, la motivazione della sentenza della Corte d’appello, in sede di rinvio, n. 3252 del 2021 risulta sostanzialmente priva di motivazione, e viola palesemente il principio di diritto
enunciato da questa Corte con l’ordinanza n. 6964 del 2018, oltre che la formazione del giudicato interno ex art. 2909 c.c.
Ed infatti, questa Corte, con ordinanza n. 6964 del 2018 ha accolto i motivi quinto e sesto di ricorso principale dei privati, con riferimento ai cespiti di cui alle lettere A (HA 21.50.00) e B (HA 3.78,33), in relazione alla spettanza del diritto all’indennizzo per perdita dell’avviamento commerciale, in relazione alle aziende agricole condotte su tali terreni.
Il valore dell’avviamento commerciale doveva essere computato a prescindere dalla classificazione urbanistica dei fondi, in quanto la mera inclusione di un terreno già agricolo in una zona del piano regolatore in cui è consentita l’edificazione non consentiva di ritenere che l’utilizzazione dello stesso si fosse trasformata in un’attività di mera gestione del patrimonio immobiliare, a meno che non fosse dimostrato che all’epoca della confisca l’attività produttive era già cessata. In assenza di tale prova, la perdita dei beni aziendali dovrà essere interamente ristorata, in misura pari al loro valore di mercato, e allo stesso modo doveva essere indennizzata la perdita dell’avviamento, e ciò indipendentemente dalla classificazione urbanistica del terreno, la quale veniva in considerazione esclusivamente ai fini della liquidazione del relativo indennizzo.
7.1. Era, poi, intervenuto giudicato interno in ordine al valore del cespite A (HA 21.500.00), determinato in lire libiche 215.000 dalla Corte d’appello con sentenza n. 3 del 2011, confermata sul punto dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 6964 del 2018.
7.2. Ed invece la Corte d’appello di Roma, in sede di rinvio, con la sentenza n. 3252 del 2021 ha calcolato l’indennizzo per la perdita di avviamento commerciale in relazione al cespite A, muovendo dal valore originario, come determinato dal tribunale sulla scorta della
CTU, in luogo del valore inferiore, individuato dalla Corte d’appello con la sentenza n. 3 del 2011, pari a lire libiche 215.000.
Ciò pare dedursi, attraverso la lettura dell’apparente motivazione contenuta nella sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3252 del 2021, in relazione alla determinazione del valore dell’indennizzo da perdita di avviamento commerciale, in relazione all’accoglimento dei motivi quinto e sesto di ricorso per cassazione, relativi proprio ai cespiti A e B.
Per il giudice del rinvio la statuizione del tribunale «non può che essere confermata», sul punto, quindi in ordine alla determinazione dell’indennizzo per perdita di avviamento commerciale, in quanto «il motivo di appello del Ministero al riguardo era limitato al fatto che la nuova destinazione urbanistica, come area edificabile, preclude in radice la indennizzabilità della perdita di avviamento commerciale, e che non è stato neppure allegato dal Ministero che al momento della confisca l’attività produttiva fosse già cessata».
Non si tiene conto in alcun modo, dunque, che, quanto al cespite A, il tribunale aveva liquidato l’indennizzo da perdita di avviamento commerciale applicando il 30% sul valore patrimoniale dell’immobile. Tuttavia, tale valore del 30% non poteva applicarsi sul valore del cespite A, come individuato dalla sentenza del tribunale di Roma, in quanto sul punto che era stata espressa riforma da parte della Corte d’appello con sentenza n. 3 del 2011, che aveva determinato il valore nella misura inferiore pari a lire libiche 215.000.
Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
In relazione all’indennizzabilità del valore dell’avviamento commerciale relativo al cespite D, sito in zona INDIRIZZO, di HA 18.77.20, era stato accolto il quinto motivo di ricorso incidentale del
MEF, avendo la Corte di cassazione reputato, con la ordinanza n. 6964 del 2018 che, anche applicando il metodo suppletivo per la determinazione dell’indennizzo da perdita di avviamento commerciale, occorreva il riferimento ad elementi fattuali idonei a conferire connotati di concretezza a tale valutazione.
La Corte d’appello, invece, in sede di rinvio, con la sentenza n. 3252 del 2021, si è limitata a riportare il quinto motivo di ricorso incidentale del MEF, la decisione del tribunale di Roma che aveva ritenuto condivisibile il criterio di stima del danno per la perdita commerciale nella misura del 30% del valore accertato degli immobili, giungendo alla conclusione della non fondatezza del motivo di appello del MEF.
Ciò in quanto, il MEF, con l’atto d’appello, non avrebbe censurato la base di calcolo utilizzata dal CTU e recepita dal tribunale, fondandosi la censura «sull’utilizzo di una base di calcolo diversa costituita dalla valutazione del patrimonio culturale complessivo e difforme rispetto a quanto previsto dall’art. 1 l. 98/1994 che deve essere applicato».
Tale motivazione sarebbe omessa o, comunque, meramente apparente.
La Corte territoriale avrebbe dovuto procedere ad un’autonoma valutazione, corredata compiuta motivazione, circa l’eventuale valore da attribuire alla perdita dell’avviamento e le ragioni di tale conclusione.
Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la «violazione e falsa applicazione degli articoli 383,384 e 392 seguenti c.p.c., nonché dell’art. 2909 c.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Sempre in ordine al rigetto dell’appello del MEF, in relazione alla determinazione dell’indennizzo da perdita di avviamento, calcolato
dal tribunale nella misura del 30% del valore degli immobili, in relazione al cespite D, di HA 18.77.20, il ricorrente deduce che, contrariamente a quanto stabilito dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 6964 del 2018, ove si disponeva che il giudice del rinvio tenesse conto, ai fini della determinazione del valore dell’indennizzo da perdita dell’avviamento, «degli elementi fattuali idonei a conferire connotati di concretezza alla propria valutazione», si era limitata «a valorizzare una asserita insufficienza argomentativa sul punto dell’appello a suo tempo proposto dal MEF avverso la sentenza di primo grado».
In tal modo, il giudice del rinvio ha sostanzialmente eluso l’obbligo di motivazione imposto dall’ordinanza della cassazione con rinvio, quale demandata al giudice del rinvio una nuova ed autonoma valutazione sulla spettanza dell’indennizzo in questione, idonea a superare i vizi motivazionali riscontrati nella sentenza cassata «e ciò a prescindere dei contenuti dell’appello a suo tempo proposto al MEF, ormai ‘superato’ a seguito della decisione della suprema Corte e sulla cui ritualità si era peraltro ormai formato il giudicato interno».
Tra l’altro, le censure svolte sul punto nell’appello del MEF erano del tutto conferenti «tanto vero che la Corte di Cassazione nel passo riportato nella sentenza impugnata aveva espressamente demandato al giudice del rinvio di compiere una rivalutazione che tenersi conto delle deduzioni dell’amministrazione, che invece sono state apoditticamente disattese».
I motivi quarto e quinto di impugnazione, che vanno unitariamente affrontati per ragioni di stretta connessione, sono fondati nei termini di cui motivazione.
Con riferimento al cespite D, terreno di Ha 18.77.20, sito in Tripoli, INDIRIZZO il tribunale aveva riconosciuto l’indennizzo da perdita di avviamento commerciale.
11.1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3 del 2011, aveva confermato la determinazione dell’indennizzo da perdita di avviamento commerciale per i terreni di cui ai cespiti C e D.
11.2. La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 6964 del 2018, aveva accolto il quinto motivo di ricorso incidentale formulato dal MEF, rilevando che la quantificazione dell’indennizzo da perdere avviamento commerciale, calcolato dal tribunale nel 30% del valore degli immobili, doveva essere determinata, in assenza della produzione dei 3 bilanci di esercizio ultimi, con il criterio suppletivo di cui all’art. 1226 c.c., ma facendo riferimento ad eventi fattuali idonei a confermare connotati di concretezza della valutazione.
È evidente, dunque, che la Corte di cassazione ha statuito, con formazione del giudicato interno, che, in relazione al cespite D, il giudice del rinvio doveva fare riferimento «ad elementi fattuali idonei a conferire connotati di concretezza la propria valutazione, e segnatamente al valore del complesso aziendale, alle caratteristiche dei beni che lo componevano, al settore in cui operava, alla natura dell’attività produttiva svolta ed alla sua presumibile redditività, anche in rapporto alle condizioni di mercato esistenti negli anni immediatamente precedenti alla confisca».
Al contrario, invece, la sentenza impugnata si era limitata «a fare propria la stima risultante dalla relazione del CTU, che aveva determinato l’indennizzo in base ad un astratto criterio economicofinanziario fondato sul rendimento normale di un investimento pari al valore complessivo dei beni confiscati», con l’aggiunta per cui la Corte d’appello non si era preoccupata «di fornire una risposta adeguata alle argomentazioni critiche dell’amministrazione, in ordine alle quali ha genericamente richiamato chiarimenti forniti dal CTU».
Resta conclamato, allora, che la stessa Corte di cassazione ha reputato specifiche «le argomentazioni critiche
dell’amministrazione», qualificate, invece, ai limiti dell’ammissibilità da parte della Corte d’appello in sede di rinvio.
La Corte d’appello, allora, non solo ha reputato erroneamente che l’appello del MEF, in ordine al cespite D, ed all’individuazione dell’indennizzo per la perdita di valore commerciale dell’azienda agricola, fosse «svincolato dall’iter motivazionale della sentenza del tribunale», contrariamente a quanto affermato dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 6964 del 2018, ma ha anche ritenuto erroneamente che la censura del MEF fosse inidonea a confutare la decisione del tribunale, in quanto basata «sull’utilizzo di una base di calcolo diversa costituita dalla valutazione del patrimonio culturale complessivo e difforme rispetto a quanto previsto dall’art. 1 l. 98/1994», in tal modo non tenendo conto del principio di diritto somministrato dalla Corte di cassazione.
Vi è dunque non solo la violazione del giudicato interno, ma anche quella del principio di diritto enucleato dalla Corte di cassazione.
Con il sesto motivo di impugnazione si deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Si deduce il vizio di motivazione omesso apparente nella parte in cui la Corte d’appello, statuendo sulla questione della decorrenza degli interessi sugli indennizzi liquidati, reputato assorbita dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 6964 del 2018, ha affermato che «su tutti gli importi sono dovuti gli interessi legali dalle date di costituzione in mora indicate dal tribunale».
Non v’è alcuna motivazione del giudice del rinvio sul punto
Con il settimo motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 1219 c.c. e delle leggi
1066/71, 16/80, 135/85 e 98/94, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
In subordine si contesta la decisione del giudice del rinvio nella parte in cui ha confermato la decisione di prime cure in punto di decorrenza degli interessi sugli indennizzi liquidati, facendola decorrere «dalle istanze amministrative di liquidazione degli indennizzi».
Infatti, il tribunale aveva reputato che gli interessi legali dovevano essere computati a decorrere dalle date di costituzione in mora.
Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità reputa che l’istanza amministrativa di liquidazione dell’indennizzo non costituisce idoneo atto di costituzione in mora, essendo necessario un autonomo e successivo atto, in difetto del quale la decorrenza degli interessi va individuata nella proposizione della domanda giudiziale.
Provo per tale ragione la Corte d’appello, con la sentenza n. 3 del 2011, in riforma della sentenza del tribunale, aveva ritenuto che, in difetto di specifici e diversi atti di costituzione in mora, gli accessori richiesti dalla parte privata potevano decorre soltanto dalla data di proposizione della domanda giudiziale.
I motivi sesto e settimo, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono fondati nei limiti di cui motivazione.
Il tribunale di Roma con la sentenza n. 24878 del 2004 aveva riconosciuto gli interessi legali a decorrere dalle date delle istanze amministrative.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3 2011, invece, in riforma della decisione del tribunale, in accoglimento dell’appello del MEF, aveva ritenuto che gli interessi legali dei corressero dalla data
della domanda giudiziale, non essendo idonee a costituire in mora l’amministrazione le domande di liquidazione dell’indennizzo.
La Corte di cassazione, con ordinanza n. 6964 del 2018, ha ritenuto assorbito il settimo motivo di ricorso incidentale dei privati.
La Corte d’appello di Roma, in sede di rinvio, con sentenza n. 3252 del 2021 si è limitata invece ad affermare, in modo del tutto apodittico, che «su tutti gli importi sono dovuti gli interessi legali dalle date di costituzione in mora indicate dal tribunale», senza motivare in alcun modo tale decisione.
17. Trova sul punto applicazione la giurisprudenza consolidata di questa Corte per cui gli ulteriori interessi moratori ed il maggior danno sulla somma così liquidata, che presuppongono un comportamento colpevole della PA, sono, se del caso, dovuti solo con la decorrenza dalla costituzione in mora dell’amministrazione, ai cui fini è necessaria una specifica richiesta, che può essere avanzata anche prima dell’emanazione dei decreti ministeriali conclusivi del procedimento di liquidazione e, in mancanza, deve essere ricondotta alla proposizione della domanda giudiziale, non essendo invece idonea a tal fine la domanda amministrativa di concessione dell’indennizzo, alla quale può attribuirsi solo la valenza di impulso del procedimento amministrativo di liquidazione, fino alla conclusione del quale, peraltro, non vi è certezza in ordine all’esistenza ed all’ammontare del debito (Cass., 19 marzo 2020, n. 7468).
Anche di recente, si è stabilito (Cass., sez. 2, 8 novembre 2023, n. 31090) che, in tema di indennizzo per i beni confiscati all’estero, di cui alla l. n. 16 del 1980, ove la somma riconosciuta in sede amministrativa venga successivamente maggiorata a seguito di azione giudiziaria intentata dall’interessato, i relativi interessi moratori decorrono dalla data della domanda introduttiva del
processo, alla quale retroagiscono gli effetti della sentenza che conferisce alla suddetta somma i caratteri della certezza, liquidità ed esigibilità.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che