Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4788 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4788 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/02/2025
ORDINANZA
nel ricorso R.G. n. 13047/2021
promosso da
NOME COGNOME COGNOME , NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME , NOME COGNOME , NOME COGNOME , NOME COGNOME , NOME COGNOME , NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME nella loro qualità di eredi di NOME Casale, NOME COGNOME , NOME COGNOME NOME COGNOME , NOME COGNOME , NOME COGNOME , NOME COGNOME , NOME COGNOME in proprio e in qualità di erede di NOME COGNOME; NOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di aventi causa di NOME COGNOME; NOME COGNOME , NOME COGNOME e NOME COGNOME , rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME (PEC: brunosedEMAILordineavvocatiroma.org), nonché NOME COGNOME rappresentata e difesa, oltre che dall’avv. NOME COGNOME (PECEMAILordineavvocatiromaEMAIL), anche dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAILordineavvocatiromaEMAIL, in virtù di procure speciali in atti;
ricorrenti in via principale
contro
Ministero dell’ Economia e delle Finanze , in persona del Ministro pro tempore , e Agenzia del Demanio , in persona del Direttore pro tempore , Agenzia delle Dogane e dei Monopoli , in persona del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’ Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAIL);
contro
ricorrenti in via principale e ricorrenti incidentali
anche nei confronti di
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME , COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME ;
intimati nel ricorso incidentale
e nei confronti di
Roma Capitale , in persona del Sindaco pro tempore, e Regione Lazio , in persona del Presidente pro tempore ;
intimate nel ricorso principale e nel ricorso incidentale avverso la sentenza n. 1535/2021 della Corte di appello di Roma, pubblicata il 26/02/2021, notificata il 08/03/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2024 dal Cons. NOME COGNOME letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Roma Capitale ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 77/2014, con cui, espletata una CTU, seguita da una integrazione, per accertare la natura degli interventi posti in essere dai privati, è stata accolta la domanda di questi ultimi, con richiesta di disapplicazione, ai sensi degli artt. 4 e 5 della l. n. 2248 del 1865, Allegato E, ·dei provvedimenti emanati dall’ufficio del Comune di Roma, riguardanti le posizioni amministrative di concessionari di beni demaniali sottoposti alla scadenza del termine finale, rimasti nel possesso dei lotti in precedenza assegnati in concessione per uso residenziale estivo, così
come individuati in atti, con conseguente rideterminazione delle somme di denaro dovute per il periodo di occupazione abusiva dei beni appartenenti al demanio marittimo, ubicati nel Lido di Ostia, INDIRIZZO dal 01/01/2002 al 31/12/2007 per i titoli indicati nei provvedimenti.
Nel costituirsi, il Ministero dell ‘ Economia e delle Finanze e l’ Agenzia delle Dogane e dei Monopoli proponevano appello incidentale, mentre l’Agenzia del Demanio proponeva separato appello.
Costituitasi gran parte degli appellati, le impugnazioni venivano riunite.
La Corte d’appello riteneva che tutti i pr ivati dovessero ritenersi privi di titolo per occupare i beni demaniali, perché le concessioni erano scadute dal 01/01/2002 e non erano state rinnovate, aggiungendo che sui beni demaniali erano state realizzate opere senza titolo abilitativo in difformità dalla concessione e/o con un titolo abilitativo incompatibile con la disciplina del bene pubblico, come pure emergente dalla CTU e dalla successiva integrazione di CTU, sicché , in applicazione dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006, doveva essere determinato l’indennizzo spettante all’Amministrazione in misura pari al valore di mercato del bene.
In particolare, secondo la Corte d’appello, difettando un titolo demaniale all’utilizzo del suolo (artt. 36 c.n. e 8-9 reg. c.n.), l’autorizzazione doganale e marittima (artt. 12-14 reg. c.n.), il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico ed anche la concessione edilizia, gli immobili dovevano ritenersi realizzati in assenza di titolo abilitativo e, comunque, le modificazioni apportate erano incompatibili con la disciplina del bene pubblico, dal momento che il Ministero aveva evidenziato che la licenza edilizia n. 63 del 1957, rilasciata dal Comune di Roma alla RAGIONE_SOCIALE prevedeva la realizzazione di uno stabilimento balneare con la presenza di cabine (cottage) per un utilizzo unicamente estivo con divieto di pernotto.
La Corte ha, conseguentemente, ritenuto di non doversi discostare dalla precedente statuizione adottata in analoga controversia (sentenza n. 2670/2020 della stessa Corte d’appello), di cui ha ri portato la motivazione, facendola propria.
In tale pronuncia veniva evidenziato che l ‘art. 1, comma 257, l. n. 296 del 2006, novellando la disciplina di cui al d.l. n. 400 del 1993 con una disposizione retroattiva, perché interpretativa, aveva chiarito che l’obbligo di versare l’indennizzo per l’utilizzazione di beni demaniali marittimi senza titolo ovvero in difformità dal titolo concessorio, nella misura stabilita dall ‘ art. 8 d.l. n. 400 del 1993, era dovuto solo in caso di mera occupazione di beni demaniali marittimi e delle relative pertinenze, mentre, nel caso di realizzazione di opere inamovibili su beni demaniali marittimi in difetto assoluto di titolo abilitativo (abusive) o in presenza di un titolo abilitativo incompatibile con la destinazione e la disciplina del bene demaniale, l’indennizzo doveva essere commisurato ai valori di mercato e dovevano essere applicate le misure sanzionatorie, compresa la demolizione degli edifici interessati.
Tanto premesso, secondo la Corte di merito – poiché la norma prevedeva che l’indennizzo fosse determinato secondo i valori di mercato, non soltanto in caso di opere inamovibili sui beni demaniali in difetto assoluto di titolo abilitativo, ma anche (come rilevato dal Tribunale) in presenza di un titolo abilitativo incompatibile con la destinazione e la disciplina del bene demaniale -era superfluo discutere circa l ‘ amovibilità o meno delle opere, indagando sulle singole difformità, così come era irrilevante l’ esito dell’istruttoria sulle domande di autorizzazione in sanatoria, in quanto l’indennizzo era, comunque, dovuto in base al valore di mercato, perché gli appellanti avevano mutato la destinazione d’uso dell’immobile da cabina balneare a immobile ad uso abitativo.
La Corte territoriale riteneva poi, che l ‘ art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006 fosse applicabile a periodi antecedenti all’entrata in vigore della legge, sulla base della natura interpretativa
della norma, con la conseguenza che i nuovi criteri di calcolo dell’indennizzo erano stati correttamente adottati per determinare quanto dovuto dagli appellanti anche per il periodo antecedente al 01/01/2007.
Avverso tale decisione i ricorrenti in via principale indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi di impugnazione.
Si sono difesi con controricorso i l Ministero dell’ Economia e delle Finanze, l’Agenzia del Demanio e l ‘Agenzia delle Dogane dei Monopoli, proponendo anche ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo, contro i ricorrenti principali ed anche contro altri soggetti (COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME Emilia), che sono rimasti intimati.
Sono rimasti intimati anche Roma Capitale e la Regione Lazio.
I ricorrenti principali e i controricorrenti, ricorrenti in via incidentale, hanno depositato memorie difensive.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso principale è dedotta la violazione e falsa applicazione della norma di cui all ‘ art. 8 d.l. n. 400 del 1993, conv. con modif. in l. n. 494 del 1993 e dell’art. 1, comma 257, l. n. 296 del 2006.
Secondo i ricorrenti, solo il primo periodo del comma 257 dell’art. 1 l. n. 296 del 2006 ha valenza interpretativa, e dunque retroattiva, e riguarda le occupazioni che si risolvono nella utilizzazione dei beni del demanio marittimo senza titolo concessorio o in difformità dal titolo (per le quali è previsto un indennizzo pari al canone che sarebbe stato dovuto, maggiorato rispettivamente del 200% e del 100%). Il secondo periodo del comma 257 dell’art. cit., invece, riguarda ipotesi del tutto nuove , ove le occupazioni si sostanziano nella realizzazione, sui beni demaniali, di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di un titolo abilitativo che, per il suo contenuto, è incompatibile con la
destinazione e la disciplina del bene demaniale, ai quali si applica una indennità calcolata secondo i valori di mercato.
In tale ottica, le parti hanno ritenuto che la Corte d’appello sia incorsa in errore, perché ha ritenuto sufficiente il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile per integrare l’ipotesi prevista dall’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 29 del 2006, mentre, come appena evidenziato, la norma richiede la realizzazione di opere inamovibili in assenza di titolo abilitativo o in presenza di un titolo abilitativo non compatibile con la destinazione del bene demaniale. Il mero mutamento di destinazione del bene, che la Corte d’appello ha ritenuto essere stato accertato, avrebbe dovuto essere considerato, semmai ai fini dell’applicazione dell’art. 8 d.l. n. 400 del 1993, quale utilizzazione difforme dal titolo (poiché i ricorrenti avevano un valido titolo per occupare i beni del demanio, dato che la Capitaneria di Porto, dopo la revoca della concessione alla RAGIONE_SOCIALE, aveva rilasciato le concessioni agli occupanti) o comunque quale mera occupazione senza titolo.
Con il secondo motivo di ricorso principale è dedotta l’omessa considerazione del fatto costituito dall’accertamento dell ‘ esistenza o meno delle “opere abusive”, ovvero de ll’ esistenza del mutamento funzionale del bene demaniale oggetto di causa, rilevante ai fini della pretesa applicazione retroattiva dell ‘ art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006.
Ad opinione dei ricorrenti, la statuizione della Corte, oltre ad essere difficilmente comprensibile nella sua articolazione logica, tanto da recare una motivazione apparente, per quanto sembrava di poter capire risultava, comunque, totalmente errata nella sua corrispondenza al dettato normativo, oltre che ai principi basilari del diritto, non avendo la Corte di appello accertato i presupposti per l’applicazione della disposizione in esame, data dall’esistenza di opere inamovibili, senza comprendere che il mutamento della destinazione del bene demaniale, in assenza di opere, non è di per sé rilevante ai fini dell’applicazione della
norma invocata, così omettendo ogni indagine sulla situazione di fatto e, in particolare, sulla rispondenza a quella di diritto, ritenendola irrilevante ai fini della decisione.
Con lo stesso motivo di doglianza, i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che il criterio di indennizzo determinato in base al valore di mercato, introdotto dall’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006, potesse essere applicato anche all e occupazioni anteriori all’entrata in vigore della norma, con violazione e falsa applicazione dell’art. 11 preleggi .
Con il terzo motivo di ricorso principale è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 257, l. n. 296 del 200 e dell’art. 8 d.l. n. 400 del 1993, in relazione all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, relativo all’esistenza o meno di opere inamovibili, nonché d el mutamento funzionale dell’uso del manufatto insistente sul demanio marittimo, da cabina balneare a immobile ad uso residenziale, con violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in ordine all’errata valutazione delle prove emerse nel corso del giudizio.
I ricorrenti hanno evidenziato che, in entrambi i gradi di merito, avevano negato di avere modificato la destinazione del bene loro concesso, aggiungendo che in ciò erano confermati dalla CTU espletata, ove era stato evidenziato come la struttura del manufatto fosse corrispondente morfologicamente a quella originaria.
In altre parole, secondo i ricorrenti, il Giudice di merito non ha tenuto conto delle risultanze istruttorie sul punto, e comunque ne ha travisato la portata, in violazione dell’art. 116 c.p.c., non avendo minimamente tenuto conto del fatto che i ricorrenti non avevano posto in essere opere edilizie rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006, ma solo un uso conforme alla concessione demaniale (che citava l’uso di residenza estiva) anche se non conforme alla originaria licenza edilizia.
Ad opinione dei ricorrenti, per confermare la validità della quantificazione dell’indennizzo in base al valore venale, la Corte avrebbe dovuto accertare l’esistenza di o pere inamovibili riconducibili al disposto dell’art. 1, comma 257, secondo periodo l. n. 296 del 200 6, anche tenendo conto dei criteri contenuti nelle circolari amministrative adottate in proposito (ad esempio la Circolare dell’Agenzia del Demanio prot. 2007/7162/DAO), mentre, invece, tale accertamento era mancato del tutto, essendosi la Corte limitata a dare rilievo al mero mutamento di destinazione del bene, che, ove effettivamente accertato, al più, avrebbe potuto essere considerato ai fini dell’applicazione del diverso indennizzo previsto dall’art. 8 d.l. n. 400 del 1993 .
Con l’unico motivo di ricorso incidentale è dedotta la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 132, n. 2, c.p.c., in ragione della mancata indicazione di tutte le parti appellate, anziché di tutte.
È infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, sollevata dai controricorrenti, per mancata notifica de ll’atto di impugnazione ad alcune parti.
In primo luogo, deve rilevarsi che, dall’esame della sentenza impugnata, COGNOME NOME Richard e COGNOME NOMECOGNOME a cui i ricorrenti principali per cassazione non hanno notificato l’impugnazione, non risultano essere stati parti del giudizio di appello. I controricorrenti hanno dedotto che si tratta di litisconsorti della ricorrente COGNOME NOME COGNOME ma non hanno specificato di avere effettivamente eseguito nei loro confronti la notificazione del l’atto di citazione in appello (che pure reca l’indicazione dei nomi di NOME COGNOME NOME e di COGNOME NOME) e neppure hanno descritto la ragione fondante il dedotto litisconsorzio necessario. I controricorrenti hanno, infatti, accennato al fatto che le persone sopra indicate sono state destinatarie del provvedimento amministrativo n. 63435 del 24/10/2007, relativo all’immobile dell’int. OSIV , di cui alla concessione 166 dell’11/03/1999 ,
menzionata a p. 7 dell’atto di citazione in primo grado, ma non hanno specificato il contenuto di tale provvedimento né i destinatari dello stesso.
In secondo luogo, con riferimento al l’ eccepita mancata notificazione del ricorso per cassazione ad alcuni degli appellati che, pur soccombenti in grado di appello, non hanno inteso proporre impugnazione davanti a questa Corte (COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Emilia), deve tenersi conto che tali soggetti sono parti di rapporti giuridici distinti e autonomi, che hanno avviato insieme il giudizio solo perché la decisione delle cause di ciascuno dipendeva, in tutto o in parte, dalla soluzione di identiche questioni (art. 103 c.p.c.). Il litisconsorzio che si è instaurato per effetto della trattazione unitaria delle diverse cause è, dunque, un litisconsorzio facoltativo in cause scindibili, ove l’impugnazione proposta solo da alcune delle parti non coinvolge la posizione delle parti non impugnanti e non rende applicabile l’art. 331 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. L, Ordinanza n. 24928 del 06/11/2020).
Il primo e il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, tenuto conto della intima connessione esistente, rivelandosi solo in parte fondati.
Prima di tutto occorre esaminare la censura, contenuta in entrambi i motivi , riferita alla contestata applicazione della disciplina dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006, alla fattispecie in esame, per la parte in cui è determinato l’indennizzo per l’occupazione di beni del demanio marittimo in base al valore venale degli stessi anche per il periodo anteriore all’entrata in vigore della menzionata norma.
5.1. Com’è noto, l’art. 8 d.l. n. 400 del 1993 (disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), conv. con modif. in l. n. 494 del 1994, così dispone: «1. A decorrere dal 1990, gli indennizzi dovuti per le utilizzazioni senza titolo dei beni demaniali marittimi, di zone del mare territoriale e delle pertinenze del demanio marittimo, ovvero per utilizzazioni difformi dal titolo concessorio, sono determinati in misura pari a quella che sarebbe
derivata dall’applicazione del presente decreto, maggiorata rispettivamente del duecento per cento e del cento per cento».
L’art. 1, comma 257, l. n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) sancisce che: «Le disposizioni di cui all’articolo 8 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che le utilizzazioni ivi contemplate fanno riferimento alla mera occupazione di beni demaniali marittimi e relative pertinenze. Qualora, invece, l’occupazione consista nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale, l’indennizzo dovuto è commisurato ai valori di mercato, ferma restando l’applicazione delle misure sanzionatone vigenti, ivi compreso il ripristino dello stato dei luoghi».
Questa Corte, in una prima pronuncia ha ritenuto che solo il primo periodo dell’art. 1, comma 257, l. n. 296 del 2006 costituisse una norma interpretativa, applicabile anche retroattivamente, mentre il secondo periodo ( «Qualora, invece, l’occupazione consista nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale, l’indennizzo dovuto è commisurato ai valori di mercato, ferma restando l’applicazione delle misure sanzionatone vigenti, ivi compreso il ripristino dello stato dei luoghi» ) dovesse essere considerato come una norma innovativa, che ha introdotto una nuova fattispecie illecita, in aggiunta a quelle contemplate nella prima parte della disposizione, e ha previsto, per esse, un diverso trattamento sanzionatorio, insuscettibile di applicazione alle utilizzazioni di beni del demanio marittimo antecedenti alla data di entrata in vigore della l. n. 296 del 2006 (Cass, Sez. 1, Ordinanza n. 24392 del 09/08/2023).
La Corte costituzionale -dopo aver dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006, sollevate, in riferimento agli artt. 24, comma 1, 102, comma 1, 111, commi 1 e 2, e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, per mancanza delle specificazioni necessarie ai fini della valutazione della sussistenza o meno di un uso distorto del potere legislativo – ha ritenuto non fondate le altre questioni di legittimità costituzionale della stessa norma, sollevate in relazione agli artt. 3 e 23 Cost. (Corte cost., Sentenza n. 70 del 23/04/2024).
In particolare, la Corte costituzionale ha ritenuto che l’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006, costituisce una norma innovativa, ma con effetto retroattivo, così voluta dal legislatore, in base ad una scelta normativa che ha superato il vaglio della Giudice delle leggi.
La menzionata Corte ha affermato che l’art. 1, comma 257, primo periodo, ha voluto precisare la portata della disposizione contenuta nell’art. 8 d.l. n. 400 del 1993 , prevedendo che tale disposizione si dovesse interpretare «nel senso che le utilizzazioni ivi contemplate fanno riferimento alla mera occupazione di beni demaniali marittimi e relative pertinenze» , aggiungendo, nel successivo secondo periodo della stessa disposizione, diverse modalità di calcolo degli indennizzi per più gravi condotte di occupazione, consistenti «nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale».
La Corte costituzionale ha, quindi, ritenuto che la qualificazione in termini di norma d’interpretazione autentica è stata dal legislatore effettuata solo con riferimento all ‘ attribuzione di significato operata nel primo periodo del più volte citato comma 257 dell’art. 1 l. n. 296 del 2006, con esclusione di quanto previsto nel successivo secondo periodo della stessa disposizione, che era senza dubbio una disposizione di carattere innovativo.
La menzionata Corte ha, infatti, evidenziato che, secondo gli ordinari criteri di interpretazione della legge, requisito essenziale affinché una disposizione possa essere considerata di interpretazione autentica è che essa esprima uno dei significati già appartenenti a quelli riconducibili alla previsione interpretata, mentre, nel caso di specie, per le occupazioni del demanio marittimo caratterizzate dalla compromissione irreversibile dell’area, il legislatore ha introdotto un sistema indennitario basato su un criterio – la commisurazione ai valori di mercato – del tutto diverso da quelli previsti dall ‘ art. 8 d.l. cit..
La stessa Corte ha, inoltre, rilevato che lo stesso legislatore ha chiarito, con l’utilizzo dell ‘ avverbio «invece» , la portata da attribuire a quest’ultima disposizione: per un verso, il comune significato dell’avverbio, in termini di opposizione o contrarietà rispetto a precedenti affermazioni, conferma il carattere innovativo del precetto dettato; sotto altra visuale, il termine impiegato evidenzia comunque lo stretto collegamento esistente con il periodo precedente e la conseguente necessità di considerare in un’ottica unitaria l’efficacia temporale del complessivo intervento legislativo.
In altre parole, il Giudice delle leggi ha ritenuto che, una volta delimitato il raggio d’azione delle ‘ utilizzazioni ‘ contemplate dalla disposizione retroattivamente interpretata (e dei connessi indennizzi parametrati ai canoni di concessione), il legislatore ha voluto disciplinare, con la medesima decorrenza, il diverso fenomeno delle “occupazioni con opere”, applicando a esso l’innovativa (rispetto al criterio in precedenza applicato) regola del valore di mercato.
La Corte costituzionale ha, quindi, ricordato che, anche una norma innovativa può avere carattere retroattivo, in quanto, nonostante il divieto di retroattività della legge costituisca fondamentale valore di civiltà giuridica dell’ordinamento, esso, in forza dell’art. 25 Cost., riceve tutela privilegiata esclusivamente in materia penale.
Secondo la Corte, il legislatore ha voluto fissare la modalità di calcolo degli indennizzi dovuti, sin dall’origine, anche per le più gravi condotte di occupazione, consistenti «nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale» , evitando, in tal modo, che, per il passato, potessero sorgere dubbi sull’individuazione del criterio utilizzabile, così prevenendo il rischio di contrasti interpretativi.
Chiarita, dunque, la portata retroattiva anche della disposizione censurata, sebbene non interpretativa, la Corte ha esaminato le questioni di legittimità costituzionale, evidenziando che la retroattività di una legge deve sempre trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza, attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata.
Con specifico riguardo al principio della tutela dell’affidamento, la Corte ha richiamato la propria giurisprudenza, secondo la quale esso costituisce ricaduta e declinazione soggettiva della certezza del diritto, che integra un elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto, connaturato sia all’ordinamento nazionale, sia al sistema giuridico sovranazionale. Nondimeno, tale principio non esclude che il legislatore possa adottare disposizioni che modificano in senso sfavorevole agli interessati la disciplina di rapporti giuridici, anche in relazione a diritti soggettivi perfetti, a condizione che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l ‘ affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica.
In sintesi, la Corte costituzionale ha evidenziato che il menzionato affidamento non è tutelato in termini assoluti, ma è sottoposto al normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e i valori costituzionali, da operarsi facendo riferimento ad alcuni parametri che la stessa Corte ha identificato
con chiarezza. In primo luogo, va considerato il grado di consolidamento della situazione soggettiva originariamente riconosciuta e poi travolta dall’intervento retroattivo. Viene, poi, in rilievo la prevedibilità della modifica retroattiva, cosicché viene tutelato solo l’ affidamento generato da una situazione normativa sorta in un contesto giuridico sostanziale atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento, di modo che la modifica intervenuta con effetto retroattivo giunga del tutto inaspettata. Ancora, interessi pubblici sopravvenuti possono comunque esigere interventi normativi che incidano su posizioni consolidate, purché nei limiti della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi perseguiti. La valutazione, infine, deve essere sempre condotta tenendo in debita considerazione le circostanze di fatto e di contesto entro cui l’intervento legislativo è maturato. Pertiene, infatti, al prudente apprezzamento del legislatore la possibilità di modificare l ‘ assetto di rapporti già definiti da precedenti leggi, quando risulti in concreto che queste ultime abbiano prodotto risultati non rispondenti a criteri di equità.
Nella specie, la Corte costituzionale ha dato rilievo al fatto che i soggetti destinatari della disposizione censurata sono fruitori di manufatti abusivi ovvero difformi rispetto all’originaria concessione, sicché, tenuto conto del grado di meritevolezza dell ‘ affidamento – che può influenzare il risultato dell’operazione di bilanciamento con gli interessi antagonisti, pure costituzionalmente protetti -ha ritenuto recessivo l’affidamento maturato in capo ai fruitori abusivi di beni pubblici – sui quali siano stati realizzati manufatti che incidono irreversibilmente sulle aree del demanio marittimo – rispetto ad altri interessi in gioco, che sono legati non solo alla valorizzazione dei beni demaniali, al fine di ricavare da essi una maggiore redditività (in tesi corrispondente a quella ritraibile sul libero mercato), ma anche alla tutela di tali beni pubblici, in ambiti che incrociano altri delicati interessi di rilievo costituzionale, quali la tutela del paesaggio e dell’ambiente marino.
5.2. A seguito di tale pronuncia della Corte costituzionale, questa Corte, statuendo sul ricorso nel corso del quale era stata sollevata la questione di costituzionalità, ha affermato la retroattività della disposizione contenuta nell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006 (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 26829 del 16/10/2024).
5.3. Ritiene questo Collegio di dover condividere tale soluzione, che, pur distinguendo tra la portata interpretativa del primo periodo del comma 257 dell’art. 1 l. n. 296 del 2006 e la portata innovativa del secondo periodo della stessa disposizione, ha ritenuto che il legislatore avesse voluto dare applicazione retroattiva al secondo periodo della norma, anche per il tempo che precede l’entrata in vigore della stessa.
Non è, infatti, alcun dubbio in ordine al fatto che l’art. 1, comma 257, primo periodo, l. n. 296 del 2006, abbia comportato con effetto retroattivo una delimitazione dall’ambito applicativo dell’art. 8 d.l. n. 400 del 1993 con esclusione delle ipotesi più gravi di occupazione di beni del demanio marittimo, quelle cioè accompagnate dalla realizzazione di opere inamovibili abusive o che, pur essendo assentite, non siano conformi alla destinazione e alla regolamentazione del bene.
Ovviamente, per queste ultime ipotesi, in conseguenza della norma interpretativa, e dunque retroattiva, contenuta nel primo periodo del comma 257 della l. n. 296 del 2006, non si sarebbe venuto a creare un vuoto normativo, anche ove non vi fosse stata la disciplina introdotta dal secondo periodo della stessa disposizione, poiché l’Amministrazione avrebbe potuto ugualmente invocare la tutela risarcitoria offerta dalla disciplina comune per i casi di occupazione senza titolo, o in violazione del titolo, di beni altrui (v. tra le tante Cass., Sez. U, Sentenza n. 33645 del 15/11/2022).
Il disposto del secondo periodo dell’art. 1, comma 257, l. cit. ha semplicemente tipizzato ex lege tali evenienze, predeterminando il criterio di calcolo del ristoro, qualificandolo come indennizzo e semplificando e velocizzando la formazione del relativo titolo. La portata
retroattiva della norma deriva dal collegamento operato dall’avverbio «invece», che aggancia le disposizioni del secondo periodo a quelle del primo periodo della menzionata norma, che si differenziano per le condotte contemplate e per la diversa quantificazione del ristoro, ma non per l’ambito temporale di applicazione.
5.4. Il primo motivo e il secondo motivo di ricorso, nella parte in cui è censurata la retroattività della disposizione, si rivelano, dunque, infondati, avendo la Corte correttamente ritenuto applicabile l’art. 1, comma 257, l. n. 296 del 2006, primo e secondo periodo, anche alle utilizzazioni di beni del demanio marittimo precedenti al 01/01/2007, a partire dall’anno 1990, come previsto dall’art. 8 d.l. n. 400 del 1993 (conv. con modif. in l. n. 400 del 1993).
Occorre, a questo punto, soffermarsi sulla portata della dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006.
Come evidenziato dalla Corte costituzionale, la norma è stata introdotta per sanzionare in modo più pesante le condotte che non si siano limitate alla utilizzazioni di beni del demanio marittimo senza concessione titolo abilitativo o in difformità da esso, riguardando le ipotesi in cui su tali beni l’occupante abbia eseguito opere inamovibili, realizzate senza titolo abilitativo o in virtù di un titolo abilitativo dal contenuto incompatibile con la destinazione e la disciplina di tali beni.
La maggiore gravità di tali condotte è data dal fatto che, in questi casi, viene determinato un pregiudizio al bene pubblico maggiore rispetto ai casi di mera occupazione dello stesso, poiché, a causa della condotta dell’utilizzatore, tenuta anche in spreg io delle disposizioni che regolano l’attività costruttiva, il bene appartenente al demanio marittimo subisce una modifica delle sue caratteristiche oggettive, reversibile solo con la demolizione.
Assume fondamentale rilievo, dunque, ai fini dell’applicazione della norma in esame, la circostanza che all’utilizzazione illegittima si accompagni la realizzazione di opere inamovibili, come pure che tali opere
inamovibili siano effettuate senza alcun titolo abilitativo, ovvero in virtù di un titolo abilitativo che non rispetti la destinazione e la disciplina del bene stesso, perché in questo modo è gravemente pregiudicata la funzionalità agli interessi pubblicistici propri del carattere demaniale e in spregio della disciplina che governa l’attività edificatoria.
Ciò premesso, il primo motivo e il secondo motivo si rivelano fondati nella parte in cui è dedotta la violazione dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006, per la mancata considerazione del necessario accertamento in ordine all’esistenza di opere inamovibili.
7.1. La Corte d’appello ha, prima di tutto ritenuto che tutti i privati dovessero ritenersi privi di titolo per occupare i beni demaniali, perché le concessioni erano scadute con effetto dal 01/01/2002, e non erano state rinnovate, aggiungendo che sui beni demaniali erano state realizzate opere senza titolo abilitativo in difformità dalla concessione e/o con un titolo abilitativo incompatibile con la disciplina del bene pubblico, come pure emergeva dalla CTU espletata e dalla successiva integrazione di CTU, sicché, in applicazione dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006, l’indennizzo doveva essere determinato in misura pari al valore di mercato del bene.
Nella moti vazione della sentenza della Corte d’appello, che ha riportato quanto statuito in una precedente decisione, si legge, quindi, quanto segue: «Nel caso di realizzazione di opere inamovibili sui beni demaniali marittimi in difetto assoluto di titolo abilitativo (abusive) o in presenza di un titolo abilitativo incompatibile con la destinazione e la disciplina del bene demaniale, l’indennizzo deve essere commisurato ai valori di mercato e devono essere comunque applicate le misure sanzionatorie previste, compresa la demolizione degli edifici interessati. Tanto premesso, nella specie, secondo il Collegio, poiché la norma prevede che l’indennizzo sia determinato secondo i valori di mercato non soltanto in caso di opere inamovibili sui beni demaniali in difetto assoluto di titolo abilitativo ma anche, come rilevato dal Tribunale, in presenza di
un titolo abilitativo incompatibile con la destinazione e la disciplina del bene demaniale, appare superfluo discutere circa l’amovibilità o meno delle opere indagando sulle singole difformità, così come è irrilevante che il CTU abbia rinviato il giudizio sulla legittimità della richiesta di indennizzo all’esito dell’istruttoria sulle domande di autorizzazione in sanatoria, in quanto l’indennizzo è, comunque, dovuto secondo la norma citata per avere gli appellanti mutato la destinazione d’uso dell’immobile da cabina balneare a immobile ad uso abitativo ciò, si ripete, indipendentemente dalla sanatoria delle opere realizzate.»
7.2. La Corte d’appello ha, in sintesi, ritenuto dimostrata la sussistenza dell’illecito utilizzo, riconducibile al disposto dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006, tenendo conto del fatto che i ricorrenti risultavano avere mutato la destinazione d’uso dell’immobile da cabina balneare a immobile ad uso abitativo, senza che avesse rilievo l’ottenimento o meno della sanatoria richiesta, così ritenendo superfluo compiere accertamenti sulle caratteristiche delle opere eseguite e sulla loro inamovibilità.
7.3. Tuttavia, come sopra evidenziato, la norma è chiara nel dare rilievo prima di tutto alla esistenza di opere inamovibili, ai fini della riconduzione della condotta all’ambito operativo della norma, circostanza che, nella specie, non è stata accertata dalla Corte territoriale, che l’ha ritenuta irrilevante , non conformandosi al disposto dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, l. n. 296 del 2006.
L’accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, nei limiti sopra indicati, rende superfluo l’esame del terzo, da ritenersi assorbito.
L’unico motivo di ricorso incidentale è inammissibile per difetto di specificità.
I ricorrenti in via incidentale hanno dedotto che la sentenza deve ritenersi nulla perché non reca l’indicazione di tutte le parti che vi hanno partecipato, ma non hanno specificato quali siano i soggetti non
menzionati, né hanno fornito indicazioni sull ‘avvenuta notifica nei loro confronti dell’atto introduttivo del giudi zio di appello.
In conclusione, il primo e il secondo motivo di ricorso principale devono essere accolti, nei limiti di cui in motivazione, dovendo darsi applicazione ai seguenti principi di diritto:
«In tema di beni appartenenti al demanio marittimo, il disposto del secondo periodo dell’art. 1, comma 257, l. 296 del 2006, nella parte in cui prevede un indennizzo commisurato al valore di mercato per il caso di occupazione dei beni del demanio marittimo mediante la realizzazione di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo, o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e la disciplina del bene demaniale, pur avendo carattere innovativo, opera con la stessa retroattività della disposizione contenuta nel primo periodo della stessa norma (che ha, per legge, carattere interpretativo), cui è collegato, cosi predeterminando il criterio da seguire, a decorrere dal 1990, per la quantificazione del ristoro comunque spettante all’Amministrazione, quando siano tenute le condotte di occupazione ivi previste.»
«In tema di beni appartenenti al demanio marittimo, il secondo periodo dell’art. 1, comma 257, l. 296 del 2006, nella parte in cui prevede un indennizzo in favore dell’Amministrazione, commisurato al valore di mercato, per le occupazioni ivi previste, richiede il necessario accertamento della realizzazione di opere inamovibili, anche quando l’occupazione determini un mutamento di destinazione del bene .»
Dichiarato assorbito il terzo motivo di ricorso principale e inammissibile l’unico motivo di ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, chiamata a statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento da parte dei ricorrenti incidentali di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso principale, nei limiti di cui in motivazione e, assorbito il terzo, dichiarato inammissibile l’unico motivo di ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, chiamata a statuire