Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 998 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 998 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/01/2025
NOME COGNOME ,
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13292/2021 R.G. proposto da Comune di Cupra Marittima , in persona del sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e dife so dall’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
e contro
– controricorrenti –
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1161/2020 della Corte d’Appello di Ancona, depositata il 5.11.2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17.12.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Comune di Cupra Marittima ricorre contro la sentenza con cui la Corte d’Appello di Ancona ha determinato l’indennità dovuta ai comproprietari di una porzione di terreno acquisita con decreto sanante del 17.10.2017, dopo averla utilizzata per la realizzazione di un’opera pubblica (pista ciclabile) .
Si tratta di una porzione di terreno occupata in via d’urgenza nel 2001 e irreversibilmente trasformata con la realizzazione dell’opera pubblica nel 2003 , ma senza che venisse portato a termine il procedimento di espropriazione. Un primo provvedimento di acquisizione sanante venne adottato nel 2015, ma fu successivamente annullato dal giudice amministrativo.
Il Comune aveva offerto l’indennità di € 13. 408,90, in ragione di € 8,73 al metro quadro, mentre la Corte d’Appello ha liquidato l’indennità totale di € 487.167,00, comprensiva di pregiudizio non patrimoniale, risarcimento del danno per occupazione senza titolo e indennità per l’occupazione legittima .
Il ricorso per cassazione è articolato in quattro motivi.
I tre comproprietari dei beni acquisiti si sono difesi con due distinti controricorsi, come indicato in epigrafe.
I controricorrenti NOME ed NOME COGNOME hanno inoltre depositato memoria nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia «Violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dell’art. 42 -bis , comma 3, d.P.R. 8.6.2001, n. 327, in quanto l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale dovuto ai proprietari del bene acquisito non è stato determinato in misura corrispondente al suo effettivo valore venale».
Il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello , aderendo acriticamente alle conclusioni raggiunte dal c.t.u., avrebbe di fatto violato il principio della corrispondenza dell’indennizzo al valore venale effettivo del bene, liquidando un importo del tutto sproporzionato in eccesso rispetto a quel valore.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.1.1. La maggior parte delle critiche mosse all’operato del c.t.u. -e, tramite questo, al contenuto della sentenza -sono critiche che, per quanto drastiche e radicali, attengono al merito della stima e non alla violazione delle norme di diritto che devono essere seguite nell’effettuare la stima . Sicché tali critiche pongono una questione di fatto, insindacabile in questa sede, e non una questione di diritto (v. Cass. nn. 9843/2014; 10125/2005).
Va preliminarmente rilevato che il Comune ricorrente dichiara esplicitamente che «non pone in discussione il fatto che, ai proprietari , spetti un ‘giusto indennizzo’, determinato, ai sensi dell’art. 42 -bis d.P.R. n. 327/2001 , ‘ in misura corrispondente al valore venale del bene ‘, né ignora che, in tale ipotesi, l’orientamento consolidato in giurisprudenza imponga di stimare il bene allo stato in cui si trova al momento dell’emanazione del decreto di acquisizione sanante e, dunque, tenendo conto della presenza dell’opera pubblica medio
tempore eventualmente realizzata» (pag. 10 del ricorso per cassazione).
Questo specifico aspetto (valutazione del bene tenendo conto della presenza dell’opera pubblica realizzata) non è quindi oggetto di impugnazione, la quale, invece, «pone in discussione la stima stessa d i tale valore e non … in ragione del l’abnormit à dell’indennizzo riconosciuto … bensì in ragione di quei criteri discrezionali, non comparabili e, soprattutto, frutto di palesi errori estimativi, in cui è incorso il c.t.u. e, conseguentemente, la Corte territoriale» (ivi).
Ciò posto, non superano la soglia della contestazione nel merito della stima le osservazioni relative:
alla valutazione del costo di costruzione dell’opera , invece che del costo di ricostruzione, tenendo conto del coefficiente di vetustà;
alla idoneità del «Comparabile 2», in rapporto alle caratteristiche dell’immobile compravenduto e del contratto di vendita (fermo restando che nessuna menzione viene fatta nel ricorso al «Comparabile 1», pure utilizzato dal c.t.u., come indicato in sentenza);
al «doppio vincolo di inedificabilità (paesistico e ferroviario)», anch ‘esso menzionato in sentenza , per rilevare che la stima ne tiene conto, perché parte dal presupposto che il terreno non era edificabile;
alla possibilità di utilizzare il terreno attrezzandolo con «gazebo, chioschi, sdraio, lettini, ecc. ad uso privato» (pag. 23 della sentenza).
Con riferimento a quest’ultimo aspetto si deve osservare che la sentenza non presuppone la «qualificazione de ll’area come tertium genus » rispetto all’alternativa tra area edificabile e area non edificabile (pag. 19 del ricorso). La sentenza si limita invece ad applicare anche all’area non edificabile il principio del valore venale, il quale impone di non trascurare la possibilità di un utilizzo, pur sempre non edificatorio, ma alternativo e più profittevole rispetto a quello agricolo (in proposito, v. Cass. nn. 28789/2018; 24150/2017).
1.1. 2. L’unica censura che sarebbe potenzialmente in grado di trascendere il merito estimativo è quella che riguarda l’asserita «duplicazione dell’indennizzo», sotto il profilo che il valore dell’opera realizzata dal Comune (la cui inclusione nell’indennizzo, lo si ripete, non è oggetto di impugnazione) avrebbe influito sulla stima due volte: una prima volta, mediante il confronto con il «Comparabile 2» e, una seconda volta, mediante la successiva aggiunta del costo di costruzione.
Il motivo rimane comunque inammissibile, anche sotto questo profilo, per carenza del necessario requisito della specificità ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.
Il ricorrente non spiega, infatti, in che modo il prezzo fissato nel «Comparabile 2» è stato utilizzato per stabilire il valore del bene acquisito dal Comune, né, tanto meno, in che modo su quel prezzo abbia influito il costo di realizzazione dell’opera pubblica. Il fatto che il contratto utilizzato come «Comparabile 2» sia stato concluso (2009) quando l’opera pubblica era già stata realizzata (2003) non basta per sostenere che il prezzo inglobasse il costo o il valore dell’opera pubblica. Anche perché questa, in quanto tale, non poteva essere
l’oggetto della compravendita tra privati. Sembra quindi, ma tale aspetto rimane oscuro, che il «Comparabile 2» abbia avuto ad oggetto un’area adiacente all’opera pubblica , il cui valore doveva intendersi aumentato per la presenza dell’opera stessa. Ma, se così fosse, non si tratterebbe di una duplicazione del costo dell’opera realizzata nel calcolo de l valore da indennizzare, bensì della diversa questione dell’incremento del valore dell’area residua rimasta in proprietà dei privati per effetto della realizzazione dell’opera pubblica.
Il secondo motivo di ricorso è rubricato «Violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per omesso esame di fatti decisivi del giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, non presi in considerazione per la quantificazione dell’indennizzo quali atti ed elementi comparabili ai fini della stima dell’effettivo valore ven ale del bene acquisito».
Il ricorrente si duole che il c.t.u. -e conseguentemente la sentenza impugnata che della c.t.u. ha avallato i risultati -abbia valorizzato soltanto alcuni dei dati documentali disponibili, «completamente ignorando altri dati oggettivi» (pag. 21 del ricorso).
2.1. Anche questo motivo è inammissibile, perché ripropone -questa volta sub specie di vizio di «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» -una critica nel merito della stima condivisa e fatta propria dal giudice.
Non è vero che la Corte territoriale abbia omesso di esaminare la pendente procedura di acquisizione al demanio marittimo. L’ha infatti menzionata e considerata (pag. 24 della
sentenza), escludendone la rilevanza ai fini di una diminuzione del valore del bene «al tempo dell’acquisizione sanante».
Per il resto, non può essere considerata un vizio della sentenza suscettibile di ricorso per cassazione l’omessa valorizzazione di alcuni ulteriori atti indicati come comparabili, senza che si indichi se, come e quando tali censure furono prospettate davanti al giudice del merito (sulla necessità che il ricorso per cassazione indichi dettagliatamente che la censura in ordine a elementi incidenti sulla concreta determinazione dell’indennizzo era già stata proposta nel giudizio di merito, v. le già citate v. Cass. nn. 9843/2014; 10125/2005).
Né tanto meno la decisione della Corte territoriale può dirsi viziata per il fatto che la stima da lei fatta propria risulta difforme dall’indennizzo determinato , in corso di causa, dalla Commissione provinciale espropri, il cui giudizio non è vincolante per il giudice nemmeno nel processo per la determinazione dell’indennità di esproprio , ove quella commissione è chiamata a svolgere il suo ruolo istituzionale (v. Cass. n. 4369/2022).
Il terzo motivo censura «Violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dell’art. 42, comma 3, Cost., in relazione all’art. 1, primo protocollo addizionale CEDU, per non essere stato determinato l’indennizzo dovuto ai proprietari dei beni acquisiti al patrimonio indisponibile, quale serio ristoro ragionevolmente legato al valore di mercato (valore venale) dei medesimi, come prescritto dalla giurisprudenza della Corte Europea, in coerenza con la consolidata giurisprudenza costituzionale».
Infine, il quarto motivo prospetta «Violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dell’art. 42, comma 3, Cost., in relazione all’art. 97 Cost., per non essere stato determinato l’indennizzo dovuto ai proprietari, contemperando la tutela del diritto di proprietà con la corretta erogazione della spesa pubblica e il buon andamento della pubblica amministrazione secondo principi di economicità».
I due motivi sono, in realtà, privi di una autonoma rilevanza, perché prospettano ulteriori profili di illegittimità sul presupposto che la Corte territoriale abbia violato, in eccesso, il principio di corrispondenza dell’indennizzo al valore venale del bene acquisito dalla pubblica amministrazione.
Poiché, invece, in disparte la diversa opinione del ricorrente in merito al valore di indennizzo, la violazione del principio di corrispondenza tra indennizzo e valore venale del bene non sussiste, nemmeno possono sussistere gli ulteriori profili di illegittimità della sentenza prospettati con questi due ultimi motivi di ricorso.
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità , liquidate in € 10.000 per compensi, in favore di NOME ed NOME COGNOME ed
€ 8.000 per compensi, in favore di NOME COGNOME per entrambi oltre alle spese generali al 15% , ad € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell ‘ art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del