Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20577 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20577 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18724-2021 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
CASA DI CURA RAGIONE_SOCIALE
– intimata –
avverso la sentenza n. 3692/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 21/12/2020 R.G.N. 2813/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
12/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO che
Con sentenza 21 dicembre 2020, la Corte d’appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la
Oggetto
R.G.N. 18724/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 12/06/2025
CC
sentenza di primo grado, di reiezione della domanda di condanna della datrice Casa di cura Nostra Signora di Lourdes, al pagamento, in suo favore, dell’indennità una tantum di vacanza contrattuale per il periodo tra la cessazione del contratto collettivo del 2005 e la stipulazione del nuovo nel 2010.
A fondamento della decisione, la Corte distrettuale ha ritenuto l’inesistenza di una posizione di diritto soggettivo della lavoratrice in considerazione della derivazione dell’indennità dall’accordo interconfederale 1993, neppure richiamato espressamente nei CCNL di settore del 2005 né del 15 settembre 2010 ; in particolare, quest’ultimo ha previsto nuovi importi retributivi tabellari decorrenti dal settembre 2010 e, per quanto qui d’interesse, rinviato ‘in ragione delle difficoltà finanziarie meglio sp ecificate alla lettera b) della premessa’ (stato di crisi economico -finanziaria molto differenziato da regione -‘a livello regionale la negoziazione per l’eventuale una tantum per l’arco temporale 2006 / 2010, in coerenza con le specifiche situazioni re gionali in ordine alla copertura dei costi’ ). 3. Confermando la decisione di primo grado, quindi, la Corte d’appello ha negato che il conseguente verbale di accordo del 31 gennaio 2013, stipulato presso la Regione Campania all’esito dell’incontro tra l’A.IRAGIONE_SOCIALE (Associazione Italiana Ospedalità Privata) e le OO.SS., abbia attribuito alcun diritto ai lavoratori, avendo la predetta Associazione, pur riconoscendo il loro diritto inderogabile alla corresponsione dell’una tantum di copertura degli arretrati contrattuali, tuttavia dichiarato che ‘le case di cura sono tuttora costrette a procrastinare la quantificazione e l’erogazione a causa della situazione economico finanziaria in cui versa il Settore … ‘ e di voler ‘rappresentare agli Organi Regionali … ai fini dell’assolvimento dell’onere incombente sul le
Case di cura inerente l’obbligo della corresponsione dell’una tantum’, l’indispensabilità di ‘restituire l’equilibrio economico alle aziende associate attraverso la riattribuzione delle somme indebitamente decurtate dal budget dell’anno 2012’. Essa ha parimenti escluso un intervento eteronomo del giudice, in violazione dell’autonomia negoziale delle parti, che hanno rimesso l’integrazione del contenuto del CCNL alla volontà delle parti sindacali.
Avverso tale pronuncia propone ricorso NOME COGNOME affidandolo a due motivi.
La RAGIONE_SOCIALE Lourdes RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
CONSIDERATO che
Parte ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 1226, 1362 ss. , 1355 c.c., in relazione all’interpretazione del contenuto del verbale sindacale del 31 gennaio 2013 sottoscritto tra RAGIONE_SOCIALE Regionale Campania e RAGIONE_SOCIALE, FPS CGSL, FPS UIL Regionali Campania, per avere la Corte territoriale, in violazione dei canoni interpretativi di letteralità e di sistematicità, erroneamente negato ad essi la corresponsione dell’indennità una tantum di vacanza contrattuale per il periodo tra la cessazione del CCNL il 31 dicembre 2005 e la stipulazione del nuovo il 15 settembre 2010; e ciò, nonostante l’esplicito riconoscimento, da parte dell’A.I.O.P., del diritto inderogabile dei lavoratori alla sua corresponsione nel verbale di accordo del 31 gennaio 2013 tra le parti sociali -a ciò espressamente delegate dal CCNL 15 settembre 2010 -con rinvio della sua erogazione e quantificazione a causa della situazione economico -finanziaria del settore.
Si duole, altresì, la lavoratrice, della non corretta qualificazione della circostanza, giustificante il rinvio, alla stregua di condizione sospensiva non meramente potestativa, invece tale e pertanto nulla (secondo diverso indirizzo interpretativo della stessa Corte partenopea, di cui essa non ha dato conto, se non per giustificare la compensazione delle spese del giudizio tra le parti), comportante l’obbligo del giudice di provvedere alla determinazione dell’emolumento, in funzione integrativa della volontà delle parti (primo motivo).
2. Il motivo è infondato.
In via di premessa, giova ribadire che l’interpretazione degli atti negoziali e di autonomia privata in genere costituisce attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione. Sicché, ai fini della censura di violazione dei canoni interpretativi, non è sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso cui il giudice si sia discostato dagli stessi (Cass. 27 gennaio 2006, n. 1754; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178); la censura di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, al pari di quella per vizio di motivazione, non può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 25 maggio 2016, n. 10891): non dovendo, peraltro, l’interpretazione data dal giudice al contratto, per essere insindacabile in sede di legittimità sotto entrambi i profili,
essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma soltanto una delle interpretazioni plausibili; pertanto, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte, che abbia proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, censurare in sede di legittimità il fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 10 maggio 2018, n. 11254).
Nel merito, questa Corte ha ritenuto, con indirizzo consolidato, che la norma dell’Accordo sul costo del lavoro del 23 luglio 1993 costituisca la fonte di orientamento sul punto per i contratti di settore, trattandosi di un Accordo interconfederale (Cass. n. 8803 del 15 aprile 2014, n. 9066 del 18 aprile 2014, n. 9188 e n. 9189 del 23 aprile 2014, n. 9581 del 5 maggio 2014, n. 11236 del 21 maggio 2014 e n. 14356 del 25 giugno 2014), che -come sostenuto dalla prevalente dottrina che lo esclude dal novero degli atti normativi -ha natura meramente programmatica o di indirizzo ed è inidonea, di per sé, a conferire posizioni di diritto soggettivo piene; sicché, esso può essere fonte di un diritto a percepire l’indennità di vacanza contrattuale, solo se recepito dalla contrattazione collettiva nazionale.
Né essa ha trascurato di considerare che le parti collettive nell’accordo di rinnovo di cui all’Accordo Nazionale 15 settembre 2010 -disciplinante il settore della sanità privata ed applicabile alla fattispecie qui scrutinata -dando atto della scadenza del precedente contratto collettivo in data 31 dicembre 2005 e sulla premessa che il comparto versasse in situazione di crisi economico-finanziaria molto differenziata da regione a regione, abbiano demandato a tale livello locale la negoziazione per ‘l’eventuale una tantum’ relativa all’arco temporale 2006/2010 in coerenza con le specifiche
situazioni regionali in ordine alla copertura dei costi. E che, quale corollario della differenziata condizione di crisi nella quale si dà atto versino le diverse realtà regionali, le parti sociali abbiano dunque contemplato la possibilità di negoziare a livello decentrato la corresponsione della eventuale indennità una tantum relativa al periodo successivo alla scadenza del precedente contratto, posto che l’attribuzione generalizzata di un emolumento a titolo di indennizzo per il ritardo nella quantificazione delle somme corrispondenti al parziale recupero del potere di acquisto del dipendente rispetto all’aumento del costo della vita, con riferimento al periodo di mancato rinnovo del contratto collettivo, si sarebbe posta in evidente contrasto con le premesse dell’accordo ( Cass. 8 settembre 2021, n. 26266, esattamente in termini per il riferimento al verbale di accordo del 31 gennaio 2013; inoltre: Cass. 28 settembre 2021, n. 26444 del 2021; Cass. 4 novembre 2021, n. 31739; Cass. 9 maggio 2022, n. 14660, Cass. 28 novembre 2023, n. 278 del 2024 ).
A tali precedenti si può pertanto rinviare integralmente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 118, primo comma disp. att. c.p.c..
Quanto alla circostanza della situazione economico -finanziaria del settore, secondo la ricorrente non correttamente qualificata dalla Corte territoriale condizione sospensiva, occorre subito rilevare che essa pone una questione nuova, di cui la sentenza non ha trattato, né i ricorrenti hanno indicato in quale atto del giudizio di merito l’abbiano prospettata (Cass. 22 dicembre 2005, n. 28480; Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804). Essa è stata, infatti, per la prima volta dedotta con l’odierno ricorso, per la mera
ripresa da un precedente di merito della medesima Corte territoriale di segno contrario alla sentenza oggi impugnata. Tuttavia, è bene richiamare la distinzione tra condizione ‘meramente potestativa’ consistente in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipenda da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l’assenza di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto -e condizione ‘potestativa’ -ricorrente quando l’evento dedotto in condizione sia collegato a valutazioni di interesse e di convenienza e si presenti alla stregua di alternativa capace di soddisfare anche l’interesse proprio del contraente, soprattutto se la decisione sia affidata al concorso di fattori estrinseci, idonei ad influire sulla determinazione della volontà, pur se la relativa valutazione sia rimessa all’esclusivo apprezzamento dell’interessato (Cass. 21 maggio 2007, n. 11774; Cass. 26 agosto 2014, n. 18239; Cass. 20 novembre 2019, n. 30143).
La circostanza è stata correttamente qualificata dalla Corte territoriale, nell’esercizio, esclusivamente riservato al giudice di merito, di qualificazione degli atti negoziali (Cass. 26 marzo 2002, n. 4318).
Parte ricorrente ha poi dedotto, con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 Cost., 2099 c.c., censurando come erronea la valutazione della Corte territoriale di sufficienza e proporzionalità della retribuzione minima garantita dalla Costituzione, in riferimento al trattamento economico globale, senza tener conto delle sue singole componenti, quando, come nel caso di specie, si
tratti di diritti inderogabili di adeguamento salariale, non rinviabili sine die.
Anche tale motivo è infondato.
E’ noto che la disciplina degli aspetti economici e normativi propri del rapporto di lavoro sia demandata alla contrattazione collettiva e nel rapporto di lavoro subordinato, per costante insegnamento di questa Corte, la retribuzione prevista dal contratto collettivo acquisti, sia pur solo in via generale, una ‘presunzione’ di adeguatezza ai principi di proporzionalità e sufficienza, che investe le disposizioni economiche dello stesso contratto anche nel rapporto interno fra le singole retribuzioni ivi stabilite.
In tale prospettiva, si è quindi ritenuto che, ai fini di accertamento dell’adeguatezza di una determinata retribuzione, non possa farsi riferimento ad una singola disposizione del contratto che preveda un diverso trattamento retributivo per altri dipendenti, dovendo invece l’inadeguatezza eventuale essere accertata solo attraverso il parametro stabilito dall’art.36 Costituzione, ‘esterno’ rispetto al contratto (Cass. 28 ottobre 2008 n.25889; Cass. 4 luglio 2018 n.17421). Sicché, la violazione del paradigma normativo di riferimento della Carta fondamentale postula lo scrutinio di tutte le voci che compongono il trattamento retributivo complessivo riconosciuto dal CCNL di settore, alla luce del canone di onnicomprensività, in un’ottica che non risulta rispettata da parte ricorrente nell’argomentare sulle doglianze formulate (28 settembre 2021, n. 26266).
La valutazione di adeguatezza della retribuzione al parametro dell’art. 36 Cost. deve poi essere compiuta in relazione al cd. minimo costituzionale e non avuto riguardo a tutti gli elementi e gli istituti contrattuali che confluiscano
nella retribuzione (Cass. 2 luglio 2020, n. 13617; Cass. 9 maggio 2022, n. 14660).
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere rigettato. Non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva 7. Sussistono i presupposti processuali per disporre il raddoppio del contributo unificato, ove spettante (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Nulla per le spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 12 giugno 2025.
La Presidente NOME COGNOME