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Indennità turno notturno: onere della prova del datore

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un’Azienda Sanitaria al pagamento dell’indennità turno notturno a una sua dirigente medico. L’Azienda sosteneva di aver già pagato tali somme, ma non è riuscita a fornire la prova del pagamento. La Corte ha ribadito che l’onere della prova in questi casi spetta al datore di lavoro e ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Azienda, in quanto mirava a una non consentita rivalutazione dei fatti.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità turno notturno: l’onere della prova spetta sempre al datore di lavoro

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale nel diritto del lavoro: in caso di richiesta di pagamento per l’indennità turno notturno e altre prestazioni aggiuntive, spetta al datore di lavoro dimostrare di averle già retribuite. Se l’azienda non fornisce prove chiare e inconfutabili, il lavoratore ha diritto a ricevere le somme richieste. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Il Contenzioso tra Medico e Azienda Sanitaria

Una dirigente medico, specialista in anestesia e rianimazione presso un ospedale pubblico, citava in giudizio la propria Azienda Sanitaria per ottenere il pagamento delle indennità relative ai turni di guardia notturna, alle ore notturne e ai turni festivi svolti in un arco temporale di circa cinque anni (dal 2007 al 2012). Il Tribunale, in primo grado, accoglieva la domanda della dottoressa, condannando l’Azienda al pagamento di quasi 29.000 euro, oltre accessori.

L’Azienda Sanitaria proponeva appello, sostenendo che tali indennità fossero già state corrisposte, in quanto ricomprese in una convenzione interna per prestazioni extra orario. Tuttavia, sia in primo che in secondo grado, l’Azienda non era riuscita a produrre tale convenzione né a dimostrare in modo inequivocabile, tramite i cedolini paga, l’avvenuto pagamento specifico per le prestazioni contestate. La Corte d’Appello respingeva il gravame, confermando la sentenza di primo grado.

Insoddisfatta, l’Azienda ricorreva alla Corte di Cassazione, lamentando principalmente vizi procedurali legati all’acquisizione di un documento (una nota del Primario del reparto) e chiedendo, di fatto, un riesame delle prove documentali.

La questione della prova per l’indennità turno notturno

Il fulcro della difesa dell’Azienda Sanitaria si basava sull’idea che le somme richieste fossero già state pagate sotto altre voci o nell’ambito di un accordo forfettario. Tuttavia, secondo il principio generale dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), chi eccepisce l’estinzione di un’obbligazione (in questo caso, il pagamento) deve fornire la prova del fatto estintivo. L’Azienda non è stata in grado di farlo in modo soddisfacente nei precedenti gradi di giudizio.

La Decisione della Corte: l’Inammissibilità del Ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’Azienda Sanitaria inammissibile, chiudendo definitivamente la vicenda a favore della dirigente medico. La decisione si fonda su due pilastri fondamentali.

L’onere della prova e la carenza probatoria del datore di lavoro

I giudici di legittimità hanno sottolineato che la decisione della Corte d’Appello non si basava esclusivamente sul documento contestato dall’Azienda, ma sulla constatazione, più ampia e decisiva, che l’Azienda non aveva fornito alcuna prova del fatto che i turni notturni e festivi rientrassero tra quelli già retribuiti. La mancata produzione della convenzione interna e la scarsa chiarezza dei cedolini paga hanno creato una carenza probatoria che ha giocato interamente a sfavore del datore di lavoro. Il documento del Primario è stato valutato solo come un elemento di convincimento ulteriore.

Il divieto di rivalutazione dei fatti in Cassazione

In secondo luogo, la Corte ha ribadito che il giudizio di cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Ciò significa che la Corte non può riesaminare le prove (come i cedolini paga o le circolari interne) per giungere a una diversa ricostruzione dei fatti. Il tentativo dell’Azienda di ottenere una rilettura delle prove è stato considerato un tentativo di trasformare il giudizio di Cassazione in un terzo grado di merito, cosa non consentita dalla legge. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte sono chiare e lineari. La decisione della Corte d’Appello era stata fondata sulla carenza di prova da parte dell’Azienda Sanitaria riguardo all’avvenuto pagamento delle indennità richieste. Il datore di lavoro, che sosteneva di aver già retribuito le prestazioni, non è riuscito a dimostrarlo. La Corte di Cassazione ha evidenziato che le censure mosse dall’Azienda non coglievano il ‘decisum’, cioè il vero cuore della decisione impugnata, ma si limitavano a criticare l’acquisizione di un singolo documento, considerato dai giudici di merito solo come un elemento aggiuntivo. L’appello in Cassazione, in realtà, mirava a una rivalutazione dei fatti storici, sollecitando una rilettura dei cedolini paga e di una circolare interna, attività preclusa nel giudizio di legittimità.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale a tutela dei lavoratori: spetta al datore di lavoro provare in modo chiaro e inequivocabile di aver pagato tutte le componenti della retribuzione, incluse le indennità per lavoro notturno e festivo. Una contabilità poco trasparente o la mancata produzione di accordi specifici ricadono interamente sull’azienda. Per i datori di lavoro, emerge l’importanza di una documentazione precisa e completa che attesti ogni pagamento effettuato, per evitare di soccombere in giudizio. Per i lavoratori, questa sentenza è una conferma che i loro diritti possono essere tutelati efficacemente quando la controparte non è in grado di fornire le prove a proprio discarico.

A chi spetta dimostrare che le indennità per i turni extra sono state pagate?
Secondo la Corte, l’onere della prova spetta integralmente al datore di lavoro. È l’azienda che deve dimostrare, con prove chiare come cedolini paga dettagliati o accordi scritti, di aver già corrisposto le somme richieste dal lavoratore.

Un documento non proveniente dal legale rappresentante dell’azienda può essere usato in un processo?
Sì. Nel caso di specie, una nota del Primario del reparto è stata considerata un valido elemento di prova. I giudici possono utilizzare i poteri istruttori previsti dal codice di procedura per acquisire documenti ritenuti necessari alla decisione, e la loro provenienza viene valutata nel contesto generale delle prove disponibili.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove come i cedolini paga?
No. La Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono riesaminare i fatti e le prove. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici di merito. Un ricorso che mira a una ‘rivalutazione dei fatti’ è, come in questo caso, destinato a essere dichiarato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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