Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2831 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L   Num. 2831  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19591-2022 proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante  pro  tempore,  domiciliata  in  ROMA,  INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,  rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati  NOME COGNOME, COGNOME NOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME  NOME ,  domiciliato  in  ROMA,  INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
 avverso la sentenza n. 652/2022 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 31/05/2022 R.G.N. 299/2021;
Oggetto
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 29/11/2023
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/11/2023 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Lecce, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado resa all’esito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha annullato il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo a NOME COGNOME, in data 10 luglio 2017, e condannato la datrice di lavoro RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE alla reintegrazione nel posto di lavoro precedentemente occupato dal dipendente, operatore addetto all’assistenza (OSA), oltre alle p ronunce economiche conseguenziali previste dal comma 4 dell’art. 18 S.d.L. novellato, con accessori e spese del doppio grado di giudizio interamente a carico della soccombente;
la Corte, dopo avere escluso la ritorsività del licenziamento, per quanto ancora rileva, ha premesso che, secondo la lettera di recesso, lo stesso aveva ‘quali capisaldi l’avvenuta scadenza del contratto di appalto ( ndr. dei servizi di assistenza domiciliare sociale), la proroga della gestione del servizio di SAD ma con drastica riduzione del numero di ore di servizio richieste all’azienda, la conseguente riduzione dell’orario di lavoro del personale e l’accordo sindacale del 5.5.2017 di riduzione te mporanea dell’orario di lavoro dei 36 OSA’, e poiché il COGNOME aveva rifiutato la riduzione dell’orario di lavoro a 12 ore settimanali e non vi erano altre posizioni di lavoro in cui impiegarlo in regime di orario ordinario, la cooperativa lo aveva licenziato con effetto dalla data di avvio del procedimento del 19 giugno 2017; la Corte, poi, ha ritenuto che ‘le caratteristiche del licenziamento intimato per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa per loro natura non dovrebbero essere
temporanee o transuenti al punto da non conservare la loro
validità per il tempo del completamento della procedura di un licenziamento individuale’ e, quindi, ha considerato che, ‘nel caso in esame, non ci si trova in presenza di un reale riassetto organizzativo  ma  si  assiste  piuttosto,  alla  gestione  di  un momento di passaggio che avrebbe potuto concludersi con una nuova aggiudicazione dell’appalto ovvero con l’aggiudicazione  dell’appalto  ad  altra  impresa  e  il  possibile passaggio  dei lavoratori dall’impresa cessante a quella subentrante’;
secondo la Corte pugliese, ‘il rifiuto, opposto dal COGNOME, alla temporanea riduzione dell’orario di lavoro, connessa a motivi meramente contingenti come si evince dalla lettura dei due successivi accordi sindacali del 27.04.2017 (di sospensione dal servizio di 36 operatori OSA dal 3.05.2017 in mancanza di proroga del servizio SAD) e del 05.05.207 (di revoca della sospensione dal servizio dei 36 OSA e di assegnazione al servizio in proroga per 12 ore settimanali e di assegnazione di 44 OSS al servizio in proroga per 25 ore settimanali e decorrenza della rimodulazione dell’orario dal 10.05.2017) non può essere valutato alla stregua di un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, restando salva la prova, gravante sull’azienda, che le effettive (e non t ransuenti) esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro non consentano il mantenimento della prestazione ordinaria’;
invero, ‘l’aggiudicazione del nuovo appalto era intervenuta il 5.7.2017, anteriormente al provvedimento di licenziamento del 10.7.2017, ma subordinata alla verifica delle certificazioni oggetto delle autocertificazioni prodotte dalla RAGIONE_SOCIALE‘; ‘il nulla osta all’efficacia dell’aggiudicazione definitiva continua la Corte territoriale -era stato espresso con determina n. 308 del 5.7.2017 e che a quella data la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE potesse ritenersi certa dell’aggiudicazione è comprovato dal contenuto del contratto di appalto stipulato il 27.9.2017 ‘; in definitiva, sulla base della tempistica esaminata, la Corte ha ritenuto che ‘l’aggiudicazione del nuovo appalto ha fatto venir meno il nesso causale tra la riduzione dell’orario di
lavoro nei termini di cui all’accordo sindacale del 5.5.2017 ed il licenziamento intimato al reclamante’;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la soccombente RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE con sette motivi; ha resistito con controricorso l’intimato;
parte ricorrente ha comunicato memoria;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i  motivi  di  ricorso  possono  essere  come  di  seguito sintetizzati;
1.1. il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 della legge n. 604 del 1966, in combinato disposto con l’art. 18, commi 4 e 7, S.d.L., deducendo la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo in quanto alla data della sua intimazione (10.7.2017) il nuovo contratto di appalto considerato dalla Corte territoriale non era stato ancora sottoscritto, atteso che il documento sub 25 richiamato nella motivazione della sentenza impugnata ‘non è altro che il verbale contenente l’apertura delle buste relative alla procedura di affidamento con la redazione di una graduatoria provvisoria’ e ‘l’aggiudicazione provvisoria non equivale alla sottoscrizione del contratto di appalto’; si eccepisce poi che anche l’aggiudicazione in via definitiva dell’appalto, avvenuta il 27 settembre 2017, prevedeva un numero di ore per ciascun operatore inferiore a quello già rifiutato dal COGNOME;
1.2. il  secondo  motivo  denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 3, S.d.L., per avere la Corte territoriale disposto la reintegrazione del COGNOME, nonostante questi, sin dall’atto introduttivo del giudizio, avesse richiesto il pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegrazione; 1.3. col terzo  mezzo  si  lamenta  la  violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016,
deducendo che, in base a detta disposizione, l’aggiudicazione dell’appalto diviene definitiva solo dopo  la verifica del possesso  dei  prescritti  requisiti,  decorsi  i  termini  di  legge, sicché  la  determinazione  del  5.7.2017,  considerata  dalla Corte territoriale, non poteva essere assolutamente considerata come ‘aggiudicazione dell’appalto’;
1.4. il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 41, comma 3, Cost., in quanto la Corte territoriale avrebbe ‘sindacato’ le scelte imprenditoriali della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE,  peraltro  volte  alla  salvaguardia  dei  posti  di lavoro di tutti gli o peratori assegnati all’appalto scaduto; ci si duole pure che la Corte abbia considerato anche fatti avvenuti a distanza di anni dal licenziamento;
1.5. il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 8, della legge n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 1, comma 40, l. n. 92 del 2012, in combinato disposto con l’art. 18, commi 4 e 7, S.d.L., e con gli artt. 91 e 92 c.p.c.; si lamenta che la Corte di Appello non abbia tenuto conto della mancata comparizione del COGNOME alla riunione del 5 luglio 2017 dinanzi alla ITL di Lecce, sia ai fini della determinazione della indennità risarcitoria di cui all’art. 18, comma 4, l. n. 300 del 1970, sia con riferimento alla compensazione delle spese di lite;
1.6. la medesima circostanza viene posta a fondamento del sesto motivo, con cui si denuncia la ‘omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. in ordine alla dedotta richiesta di valutazione del comportamento del lavoratore’;
1.7.  con il settimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c. per avere la Corte di Appello irritualmente acquisito all’udienza dell’11.2.2022 documenti nuovi, nonostante l’opposizione della reclamata, che avrebbero documentato -secondo la sentenza impugnata come  la  RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE  avesse  continuato  ‘ad  operare  con successo nell’ambito del servizio delle cure domiciliari, tanto
da essersi aggiudicata un nuovo appalto della durata di 12 mesi rinnovabili presso il Comune di Lecce nell’anno 2021′;
il primo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente  per  reciproca  connessione,  non  possono trovare accoglimento;
le  censure  ivi  contenute,  tutte  prospettate  denunciando  il vizio  di  cui  al  n.  3  dell’art.  360  c.p.c.,  in  realtà  transitano attraverso una diversa valutazione della vicenda storica, che ha  dato  luogo  al  contenzioso,  rispetto  alla  ricostruzione operata  dalla  Corte  territoriale,  come  è  reso  palese  dal riferimento ai materiali istruttori che vengono letti da parte ricorrente in modo difforme da quanto ritenuto dai giudici del merito;
come noto, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione, per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma, della cui esatta interpretazione non si controverte (in caso positivo vertendosi in controversia sulla ‘lettura’ della norma stessa), non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata ‘male’ applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007); sicché il processo di sussunzione, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata; al contrario del sindacato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. che invece postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti e non può dubitarsi che, nella specie, la parte ricorrente contesta prima di tutto l’accertamento dei fatti così come effettuato dalla Corte pugliese;
in diritto, la sentenza impugnata – dato atto del consolidato orientamento di legittimità secondo cui, in caso di
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è sufficiente, per la legittimità del recesso, che le addotte ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, causalmente determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa, non essendo la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell’art. 41 Cost. ( ab imo , Cass. n. 25201 del 2016; da ultimo, Cass. n. 752 del 2023) -ha poi proceduto, sulla scorta della medesima giurisprudenza, a verificare l’effettività e non pretestuosità della ragione concretamente addotta dall’imprenditore a giustificazione del recesso;
invero, se la ragione indicata nel licenziamento non sussiste o è pretestuosa, ‘il recesso può essere dichiarato illegittimo dal giudice del merito non per un sindacato su di un presupposto in astratto estraneo alla fattispecie del giustificato motivo oggettivo, bensì per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità o sulla pretestuosità della ragione addotta dall’imprenditore ovverosia l’inesistenza del fatto posto a fondamento del licenziamento così come giudizialmente verificata rende in concreto il recesso privo di effettiva giustificazione’; così come ‘deve sempre essere verificato il nesso causale tra l’accertata ragione inerente l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro come dichiarata dall’imprenditore e l’intimato licenziamento in termini di riferibilità e di coerenza rispetto all’operata ristrutturazione ove il nesso manchi, anche al fine di individuare il lavoratore colpito dal recesso, si disvela l’uso distorto del potere datoriale, emergendo una dissonanza che smentisce l’effettività della ragione addotta a fondamento del licenziamento’ (in termini Cass. n. 25201/2016 cit.); tali accertamenti in concreto, nella loro verifica storica, investono
‘pienamente la quaestio facti , rispetto al quale il sindacato di legittimità si arresta entro il confine segnato dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato da  Cass.  SS.UU.  nn.  8053  e  8054  del  2014’  (v.  Cass.  n. 10699 del 2017);
orbene,  la Corte territoriale, sulla base  degli elementi acquisiti  al  giudizio,  ha  ritenuto  che  la  ragione  addotta  a fondamento del licenziamento e il suo nesso causale con il recesso fossero venuti sostanzialmente meno in ragione della procedura  di  aggiudicazione  di  un  nuovo  appalto,  con  un apprezzamento di merito che, per quanto detto, si sottrae al controllo di legittimità;
la Corte argomenta, inoltre, in conformità con un precedente il quale, pur ribadendo che la sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento deve essere accertata sulla base degli elementi di fatto sussistenti alla data della comunicazione del recesso, tuttavia occorre che siano ‘valutate anche le emergenze processuali relative a circostanze sopravvenute, qualora esse valgano a chiarire la situazione complessiva che sussisteva in quel momento, nonché quale ne fosse il presumibile sviluppo futu ro’ (Cass. n. 21875 del 2015, in motivazione, che evidenzia pure come il rifiuto del lavoratore di riduzione dell’orario di lavoro non costituisca giustificato motivo oggettivo di licenziamento; sul tema, v., da ultimo, Cass. n. 30093 del 2023); così come, sempre in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, al fine di valutare la violazione dell’obbligo di repechage incombente sul datore di lavoro, possono assumere rilievo le nuove assunzioni dell’impresa effettuate in un certo arco temporale successivo al licenziamento impugnato non sono avvenute nuove assunzioni oppure sono state effettuate per mansioni richiedenti una professionalità non posseduta dal prestatore (v. Cass. n. 6497 del 2021, con la giurisprudenza ivi citata al punto 6);
in  tale  prospettiva  temporale  diacronica  perde  di  rilievo decisivo la censura secondo cui, al momento del
licenziamento,  non  si  era  compiuta  tutta  la  procedura  di aggiudicazione del nuovo appalto, comunque poi assegnato alla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE nel settembre del 2017;
parimenti, nella motivazione della sentenza impugnata, la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE si sarebbe aggiudicata un nuovo appalto nel 2021 viene introdotta dalla Corte territoriale al fine di concedere la tutela reintegratoria ed essa è, quindi, priva di valore decisivo in ragione dell’attuale assetto normativo delineato dall’art. 18, S.d.L., quale definito dalle sentenze della Corte costituzionale n. 59 del 2021 e n. 125 del 2022 (cfr., da ultimo, Cass. n. 31561 del 2023, con la giurisprudenza ivi citata);
per  la  ragione  da  ultimo  richiamata  deve  essere  anche disatteso  il  settimo  motivo  di  ricorso,  in  quanto  l’ error  in procedendo in  cui  sarebbe  incorsa  la  Corte  di  Appello nell’acquisire documenti che comprovavano tale appalto del 2021 sarebbe, in ogni caso, privo di valore decisivo e non determinerebbe  la  nullità  della  sentenza  ai  sensi  del  n.  4 dell’art. 360 c.p.c.;
infondati sono anche il quinto e il sesto motivo di gravame, da  valutarsi  unitariamente  perché  vertono  sulla  mancata comparizione del COGNOME innanzi all’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE per la procedura conciliativa;
tale assenza non è in alcun modo idonea ad incidere sulla determinazione della indennità prevista dal comma 4 dell’art. 18 S.d.L., richiamata anche dal comma 7, atteso che, secondo tale disposizione, il datore di lavoro, annullato il licenziamento e disposta la reintegra, deve essere condannato ‘al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della effettiva reintegrazione’, con il solo limite massimo delle dodici mensilità, ma senza alcuna graduazione intermedia in ragione del comportamento delle parti;
così  pure  detta  condotta  del  lavoratore  non  imponeva  la compensazione delle spese giudiziali, trattandosi di esercizio
di un potere discrezionale del giudice del merito, né, tanto meno, è configurabile una omessa pronuncia sul punto, atteso che la violazione dell’art. 112 c.p.c. può realizzarsi nella sola ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito (per tutte v. Cass. n. 22592 del 2015 con la giurisprudenza ivi richiamata; più di recente, Cass. ord. n. 321 del 2016; conf. Cass. n. 25154 del 2018) e non per il mancato esame, da parte del giudice di merito, di una questione puramente processuale e, comunque, non è configurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa ad una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o sollevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise implicitamente (ex plurimis, Cass. n. 7404 del 2014);
5. è fondato, invece, il secondo motivo di ricorso;
invero, ai sensi del comma 3 dell’art. 18 novellato dalla legge n. 92 del 2012: “Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al comma 2, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell’indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione”;
le  Sezioni  Unite  di  questa  Corte  (n.  18353  del  2014), interpretando questa disposizione  come  confermativa  e chiarificatrice dell’assetto precedente,  hanno  avallato  la giurisprudenza secondo cui ‘è possibile domandare l’indennità sostitutiva, in luogo della reintegrazione, già con il  ricorso  introduttivo  del  giudizio’:  ‘In  questo  caso,  se  il giudice ritiene illegittimo il licenziamento, condanna il datore di lavoro direttamente al pagamento dell’indennità sostitutiva
e non già alla reintegrazione. Non c’è alcuna obbligazione con facoltà alternativa e non si può ritenere che il rapporto sarà risolto solo quando l’indennità sarà pagata; ma al contrario il rapporto  è  da  intendersi risolto  già  al  momento  della comunicazione dell’opzione del lavoratore, che in tal modo rende  partecipe  il  datore  di  lavoro  del  suo  disinteresse  a proseguire  il  rapporto  ove  il  licenziamento  sia  ritenuto illegittimo dai giudice’;
il diritto riconosciuto al lavoratore dall’art. 18 novellato di optare fra la reintegrazione nel posto di lavoro e l’indennità sostitutiva è stato configurato come ‘atto negoziale autonomo nell’esercizio di un diritto potestativo’ (Cass. n. n. 5759 del 201 9), affermandosi poi che ‘l’opzione per il conseguimento dell’indennità sostitutiva della reintegra nel posto di lavoro, una volta esercitata, anche in via stragiudiziale, diviene irreversibile, consumando in via definitiva il diritto alla ricostituzione d el rapporto’ (Cass. n. 1599 del 2023);
la sentenza impugnata non si è attenuta a tali principi, affermando -senz’altra precisazione che ‘non può affermarsi che parte reclamante abbia mai optato per l’indennità sostitutiva della reintegra nel posto di lavoro’ quando, invece, dalle conclusioni del ricorso introduttivo della fase sommaria, trascritte nel ricorso per cassazione, si evince che il COGNOME aveva richiesto non la reintegrazione, bensì la condanna della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALEal risarcimento dei danni mediante pagamento di un’indennità commis urata alla retribuzione globale di fatto dal giorno dell’illegittimo licenziamento sino a quello della sentenza (oltre al versamento dei contributi assistenziali dal giorno del licenziamento sino a quello della sentenza) o, comunque, non inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto (art. 18 , comma 4°, L. 300/70, art. 1 Legge 11 maggio 1990, n. 108)’ e ‘al pagamento di un’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro, prevista dall’art. 18, comma 5° della L. 300/1970 (come modificato dalla L.
108/19900) pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto’;
in  conclusione, accolto  il  secondo  motivo  di  ricorso  e respinti  tutti  gli  altri,  la  sentenza  impugnata  deve  essere cassata in relazione alla censura ritenuta fondata, con rinvio alla Corte indicata in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, regolando anche le spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La  Corte  accoglie  il  secondo  motivo  di  ricorso  e  rigetta  gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte  e  rinvia  alla  Corte  di  Appello  di  Lecce,  in  diversa composizione, anche per le spese.
Così  deciso  in  Roma  nella  camera  di  consiglio  del  29