Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21640 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 21640 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 2063-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE DI AGRIGENTO, in persona del Commissario Straordinario legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
SCHEMBRI NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 838/2022 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 22/07/2022 R.G.N. 975/2020; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME;
Oggetto
Impiego pubblico Indennità sostitutiva reintegrazione Pensionamento
R.G.N. 2063/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 17/06/2025
PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME per delega avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale di Agrigento che aveva rigettato il ricorso, ha accolto la domanda proposta da NOME COGNOME e ha condannato l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento, convenuta in giud izio, al pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegrazione prevista dall’art. 18 della legge n. 300/1970, nel testo applicabile ratione temporis , quantificandola in 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
La Corte territoriale ha premesso che con sentenza del Tribunale di Agrigento n. 881/2013, passata in giudicato, il licenziamento, intimato dall’Azienda all’appellante il 27 gennaio 2010, era stato dichiarato illegittimo e, conseguentemente, era stata ordinata la reintegrazione del dirigente medico nel posto di lavoro in precedenza occupato.
Lo COGNOME, ottenuta la pronuncia favorevole, aveva tempestivamente esercitato il diritto d’opzione, rinunciando alla reintegrazione e chiedendo la corresponsione dell’indennità prevista dal comma 5 della disposizione citata, che l’Azienda non aveva corrisposto, facendo leva sulla circostanza che alla data della pronuncia giudiziale, il rapporto doveva ritenersi ormai risolto per altra causa, avendo il dirigente presentato domanda di pensionamento il 27 settembre 2010.
Il giudice d’appello, pervenendo a conclusioni diverse rispetto a quelle del Tribunale, ha richiamato giurisprudenza di questa Corte sulla natura della indennità rivendicata e ha rilevato che il diritto alla stessa, una volta ordinata dal giudice la reintegrazione nel posto di lavoro, non può subire compressioni o limitazioni per cause preesistenti, che il datore di lavoro avrebbe potuto e dovuto dedurre nel giudizio sull’impugnativa del licenziamento. Ha aggiunto che le considerazioni svolte dalla difes a dell’appellata in relazione alla natura indebita della prestazione pensionistica non avevano incidenza sul diritto fatto valere in giudizio dallo Schembri, in ragione dell’autonomia del rapporto previdenziale rispetto a quello lavorativo.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento, sulla base di due motivi, ai quali ha opposto difese NOME COGNOME con controricorso.
L’Ufficio della Procura Generale ha depositato conclusioni scritte, ulteriormente illustrate nel corso della discussione pubblica, ed ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l’Azienda ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e deduce che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto preclusa dal precedente giudicato ogni questione inerente al diritto alla reintegrazione e, conseguentemente, all’indennità sostitutiva della stessa.
Assume che il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile opera limitatamente alle questioni che
costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia e, quindi, non si estende a quei temi che non sono stati oggetto di valutazione alcuna e che non erano oggetto di discussione tra le parti. Aggiunge che nella specie il Tribunale con la pronuncia passata in giudicato si era limitato a statuire sulla illegittimità del licenziamento e richiama, poi, l’orientamento espresso da questa Corte alla stregua del quale per il periodo successivo al recesso datoriale l’ordine di reintegrazione e la condanna di pagamento delle retribuzioni restano condizionati alla permanenza del rapporto dopo il licenziamento e alla possibile incidenza di successivi fatti o atti idonei a determinare la risoluzione del rapporto. L’avvenuto pensionamento dello Schembri poteva, quindi, essere dedotto anche successivamente alla formazione del giudicato e costituiva elemento idoneo a impedire la ricostituzione del rapporto di impiego, con la conseguenza che non poteva il dirigente pretendere l’indennità sostitutiva.
La seconda critica, egualmente ricondotta al vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto, addebita alla Corte territoriale di avere violato l’art. 18 della legge n. 300/1970 e, riprendendo argomentazioni già sviluppate nel primo motivo, insiste nel sostenere che la questione non era preclusa dal precedente giudicato e che l’indennità sostitutiva della reintegrazione presuppone la giuridica possibilità di realizzazione di quest’ultima, nella specie impedita dall’avvenuto pensionamento.
Il ricorso non può trovare accoglimento, perché è assorbente, rispetto ad ogni altra considerazione, il rilievo, al quale pure fa riferimento la sentenza impugnata (pag. 5 della motivazione), dell’autonomia del rapporto previdenziale rispetto a quello di impiego, autonomia sulla quale, da tempo,
questa Corte ha fatto leva per escludere che il conseguimento della pensione di anzianità, quale è pacificamente quella erogata in favore dello Schembri ( che, nato il 20 marzo 1950, non aveva raggiunto il 1° gennaio 2011 il limite massimo di età previsto per il collocamento a riposo d’ufficio dall’art. 19 nonies del d.lgs. n. 502/1992), possa impedire la reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente illegittimamente licenziato.
Si tratta di un orientamento ribadito anche in recenti decisioni (cfr. fra le tante Cass. n. 19520/2018; Cass. n. 16136/2018; Cass. n. 30094/2023, quest’ultima in tema di ordine di reintegrazione pronunciato a seguito di ritenuta illegittimità di cessione di azienda) con le quali si è sottolineato che la disciplina legale dell’incompatibilità, totale o parziale, tra trattamento pensionistico e percezione del reddito da lavoro dipendente si colloca sul diverso piano del rapporto previdenziale sicché, anche nei casi in cui il legislatore preveda l’alternatività fra le due prestazioni, è la fruizione del trattamento previdenziale a doversi considerare indebita, qualora, per effetto dell’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, ne vengano meno le condizioni.
I richiamati principi, sui quali riposa anche quello secondo cui il trattamento pensionistico non integra aliunde perceptum detraibile dal risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente licenziato (cfr. fra le tante Cass. n. 32130/2022 che, in motivazione, ha ribadito che la domanda di pensionamento «non si pone di per sé come causa di risoluzione del rapporto di lavoro»), affermati in relazione al rapporto di lavoro alle dipendenze di privati, sono stati estesi, all’esito della contrattualizz azione, anche ai rapporti disciplinati dal d.lgs. n. 165/2001, in ordine ai quali si è precisato che prima del collocamento a riposo per raggiunti limiti di età (che
determina la risoluzione ex lege del rapporto, principio, questo, risalente già a Cass. n. 26377/2008), solo la rinuncia espressa alla reintegrazione può impedire che quest’ultima venga disposta e limita il diritto al risarcimento del danno (Cass. n. 19520/2018), con la precisazione che tale rinuncia a far valere i diritti derivanti dal rapporto di lavoro non è ravvisabile in presenza della mera presentazione della domanda di pensionamento per anzianità.
3.1. Non si pone in contrasto con i principi richiamati nel punto che precede la recente pronuncia n. 9284/2025, che l’Azienda ricorrente invoca nelle memoria ex art. 378 c.p.c., poiché l’ordinanza citata si riferisce ad una fattispecie nella quale il dipendente licenziato aveva domandato ed ottenuto la pensione di vecchiaia e ribadisce, in motivazione ( punti 3 e 5), l’orientamento secondo cui la reintegrazione non è impedita dalla domanda e dal conseguimento del trattamento pensionistico di anzianità, che è quello qui in discussione.
3.2. Le considerazioni che precedono hanno carattere assorbente ed esimono, quindi, dal pronunciare funditus sull’altra questione devoluta inerente alla possibilità di far valere, successivamente alla formazione del giudicato sul diritto alla reintegrazione, un fatto impeditivo della stessa già verificatosi in epoca antecedente.
Tale questione, infatti, viene dedotta sempre con riferimento al pensionamento e non ad altri fatti impeditivi allegati dal datore di lavoro (cui, ad esempio, si riferisce Cass. n.27787/2021, che quindi qui non rileva), sicché finisce per essere priva di rilevanza, dal momento che il ricorso non sviluppa argomenti idonei a contrastare il suindicato e consolidato principio secondo cui è da escludere che il conseguimento della pensione di anzianità (quale è pacificamente quella erogata in favore
dello Schembri) possa impedire la reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente illegittimamente licenziato.
In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dell’Azienda Sanitaria Provinciale al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, il 17 giugno 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME