Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29742 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 29742 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15663-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME , rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 796/2022 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 01/02/2023 R.G.N. 51/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 10/09/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Oggetto
Indennità sostitutiva della reintegrazione
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 10/09/2025
CC
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Firenze, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato il diritto di NOME COGNOME all’indennità sostitutiva della reintegrazione pari a quindici mensilità di retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR e, per l’effetto, ha condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma pari ad euro 97.500,00, oltre accessori e spese.
La Corte territoriale ha premesso che, con sentenza n. 475/2021, aveva dichiarato l’inefficacia del licenziamento intimato al COGNOME in data 12 maggio 2018, ordinando la sua reintegra nel posto di lavoro e condannando RAGIONE_SOCIALE al pagamento di una inde nnità pari a cinque mensilità dell’ultima retribuzione (pari a 6.500,00 lordi mensili), oltre accessori e contributi previdenziali e assistenziali; successivamente il COGNOME, in data 15.6.2021, aveva esercitato l’opzione per il pagamento dell’indennità in sostituzione della reintegrazione, pari a quindici mensilità di retribuzione, per l’importo di euro 97.500,00, oltre interessi; vanamente richiesta alla società la corresponsione di detta somma, dopo l’intimazione di un precetto poi rinunciato, era stato proposto il giudizio per la condanna al pagamento.
2.1. La Corte ha innanzitutto escluso che la prima sentenza emessa potesse costituire titolo esecutivo per il pagamento dell’indennità sostitutiva perché ‘tale pronuncia non comprendeva e non poteva comprendere alcuna statuizione in punto di indennità sostitutiva, la cui opzione era stata legittimamente esercitata dal COGNOME soltanto dopo la pronuncia in questione’.
2.2. Ha ritenuto ‘infondata l’eccezione di frazionamento del credito, dal momento che l’indennità sostitutiva della reintegra
non poteva richiedersi facendo valere il titolo esecutivo ottenuto relativo alla indennità risarcitoria’.
2.3. La Corte ha quindi argomentato ‘che l’opzione per l’indennità fu esercitata correttamente da parte del COGNOME, non potendosi ritenere lo stesso decaduto per il fatto che questi aveva dichiarato di esercitare l’opzione ex art. 18 l. n. 300 del 1970 e non a norma del d. lgs. n. 23 del 2015; invero, tale errata indicazione investe la disciplina applicabile alla fattispecie, ma non toglie rilievo al tenore della volontà manifestata dall’appellante che era quella di optare per una prestazione che sostituisse la reintegra, dovendosi pertanto fare riferimento al contenuto sostanziale della dichiarazione che non lascia incertezze sugli intenti del lavoratore’.
2.4. Infine, la Corte ha escluso che per richiedere l’indennità sostitutiva della reintegrazione il COGNOME dovesse attendere il passaggio in giudicato dell’originaria sentenza che si era pronunciata sul licenziamento, in quanto il lavoratore si era avvalso degli effetti conseguenti ad una sentenza provvisoriamente esecutiva che accertava l’inefficacia del licenziamento, salva la possibilità, in caso di riforma della stessa, di caducazione delle statuizioni del successivo giudizio.
Per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso la soccombente con quattro motivi; ha resistito l’intimato con controricorso.
Entrambe le parti hanno comunicato memorie.
All’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso possono essere esposti secondo la sintesi offerta da parte ricorrente:
1.1. ‘violazione degli artt. 100, 431 e 474 c.p.c. per avere la Corte di Appello, in riforma della decisione di primo grado, ritenuto sussistente un interesse ad agire in capo all’AVV_NOTAIO nel presente giudizio, pur essendo lo stesso già in possesso di un titolo esecutivo funzionale all’esecuzione forzata’ (primo motivo);
1.2. ‘violazione degli artt. 2 e 111 Cost. nonché 1175 e 1375 c.c. per avere la Corte di Appello rigettato l’eccezione di abusivo frazionamento del credito compiuto dall’AVV_NOTAIO COGNOME‘ (secondo motivo);
1.3. ‘violazione degli art. 2909 c.c. e 282 e 431 c.p.c. per avere la Corte di Appello esteso gli effetti della sentenza della stessa Corte di Appello di Firenze n. 475/2021 al presente giudizio pur non essendo passata in giudicato’ (terzo motivo);
1.4. ‘violazione dell’art. 2, comma 3, D.lgs. 23/2015 per avere la Corte di Appello accertato il diritto dell’AVV_NOTAIO COGNOME all’indennità sostitutiva della reintegrazione, pur in assenza dell’esercizio, nel termine di legge, del diritto di opzione’ (quarto motivo).
Il ricorso è privo di fondamento.
2.1. Il primo motivo non individua quale sia la statuizione, contenuta nella prima sentenza della Corte di Appello di Firenze, che avrebbe condannato la società al pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegrazione, come tale idonea a costituire titolo esecutivo, risultando l’indennità risarcitoria pari a cinque mensilità di retribuzione ivi stabilita, conseguente alla declaratoria di invalidità del licenziamento, ben diversa dall’indennità sostitutiva della reintegrazione, conseguente
all’opzione del lavoratore esercitata dopo la pronuncia di quella prima sentenza.
2.2. Anche il secondo motivo non merita accoglimento.
Le Sezioni unite hanno recentemente chiarito che di abusivo frazionamento del credito può parlarsi solo nel caso in cui i diritti di credito, oltre a fare capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche in proiezione iscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato oppure fondati sul medesimo o su analoghi fatti costitutivi il cui accertamento separato si traduca in un inutile e ingiustificato dispendio dell’attività processuale (Cass. Sez. Un. n. 7299 del 2025).
Nella specie è invece la stessa parte ricorrente ad ammettere che prima dell’introduzione del secondo giudizio asseritamente vietato il lavoratore aveva già rinunciato in data 7 luglio 2021 al precetto con cui si intimava il pagamento della somma poi oggetto del giudizio a cognizione ordinaria e rispetto a quest’ultimo, quindi, non è configurabile alcun abuso nell’utilizzo dello strumento processuale.
2.3. Il terzo mezzo è infondato.
Così come non era ovviamente necessario – per esercitare il diritto di opzione – attendere il passaggio in giudicato della sentenza che, con efficacia provvisoriamente esecutiva, ordinava la reintegrazione, evidentemente non era neanche necessario quel giudicato per ottenere il pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegrazione non corrisposta da datore di lavoro, benché richiesta.
La contemporanea pendenza del giudizio sul licenziamento e del giudizio sull’indennità sostitutiva della reintegrazione è già ammessa dalla giurisprudenza di questa Corte e non è neanche regolata dall’istituto della sospensione, bensì dall’art. 336,
coma 2, c.p.c., il quale comporta che la riforma o la cassazione della sentenza concernente l’accertamento del diritto pone nel nulla la sentenza che abbia deciso sul ” quantum ” (cfr. Cass. n. 23483 del 2007).
2.4. Privo di pregio è anche l’ultimo mezzo di gravame.
Ai fini del corretto esercizio del diritto di opzione in seguito all’invito del datore di lavoro a riprendere il lavoro ciò che rileva è la manifestazione di volontà espressa dal lavoratore, la quale deve essere accertata in fatto dal giudice al quale compete il merito; come nella specie ha fatto la Corte territoriale che ha correttamente escluso rilievo dirimente all’errato riferimento operato dal lavoratore – della fonte normativa applicabile, atteso che l’individuazione della disposizione normativa appartiene alla sfera della qualificazione giuridica dei fatti, mentre altro è l’accertamento della volontà della parte e degli effetti che ne derivano.
Pertanto, il ricorso deve essere respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 6.000,00 per compensi
professionali, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 10 settembre 2025.
La Presidente AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME