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Indennità sostitutiva: quando spetta al lavoratore?

Un lavoratore, dopo aver ottenuto una sentenza che ordinava la sua reintegrazione, ha optato per l’indennità sostitutiva della reintegrazione. Di fronte al mancato pagamento da parte dell’azienda, ha avviato una nuova causa. La Corte di Cassazione ha confermato il suo diritto, respingendo le eccezioni dell’azienda relative all’abusivo frazionamento del credito e alla carenza di interesse ad agire. La Corte ha chiarito che il diritto all’indennità sorge solo dopo la prima sentenza ed è distinto dal risarcimento iniziale, legittimando un’azione giudiziaria separata per ottenerla.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità Sostitutiva della Reintegrazione: Quando e Come Chiederla

L’indennità sostitutiva reintegrazione è uno strumento cruciale per il lavoratore che, pur avendo vinto una causa per licenziamento illegittimo, non desidera tornare a lavorare nella stessa azienda. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti sulle modalità per ottenerla, specificando che il diritto a tale indennità è autonomo e può essere richiesto anche con un’azione legale separata. Analizziamo la vicenda e la decisione dei giudici.

I Fatti del Caso: Dalla Reintegrazione alla Richiesta di Indennità

La vicenda ha origine da un licenziamento ritenuto inefficace da una prima sentenza. Il tribunale aveva ordinato la reintegrazione del lavoratore e condannato l’azienda al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a cinque mensilità. Successivamente a questa pronuncia, il lavoratore ha esercitato il suo diritto di opzione, scegliendo di non rientrare al lavoro e richiedendo, in cambio, l’indennità sostitutiva reintegrazione pari a quindici mensilità di retribuzione.

L’azienda, tuttavia, non ha provveduto al pagamento. Il lavoratore si è quindi visto costretto a iniziare un nuovo giudizio per ottenere la condanna della società al versamento della somma dovuta. Mentre il tribunale di primo grado aveva respinto la sua domanda, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, condannando l’azienda. Contro questa seconda sentenza, la società ha proposto ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso Aziendale

L’azienda ha basato il suo ricorso su quattro argomenti principali:
1. Carenza di interesse ad agire: Sosteneva che il lavoratore possedesse già un titolo esecutivo (la prima sentenza) per agire forzatamente.
2. Abusivo frazionamento del credito: Accusava il lavoratore di aver diviso impropriamente le sue pretese economiche in due cause distinte.
3. Violazione del giudicato: Contestava l’estensione degli effetti della prima sentenza, non ancora definitiva, al secondo giudizio.
4. Errato esercizio del diritto di opzione: Evidenziava che il lavoratore aveva citato una norma di legge errata nella sua richiesta.

La Decisione della Corte: Chiarimenti sull’Indennità Sostitutiva Reintegrazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda, fornendo chiarimenti fondamentali.

L’Indennità Sostitutiva è un Diritto Autonomo

I giudici hanno spiegato che la prima sentenza, pur essendo un titolo esecutivo, lo era solo per l’indennità risarcitoria di cinque mensilità. Il diritto all’indennità sostitutiva reintegrazione sorge in un momento successivo, cioè solo quando il lavoratore, dopo la sentenza, esercita la sua opzione. Di conseguenza, la prima sentenza non poteva costituire un titolo per richiedere il pagamento di una somma che non era ancora dovuta al momento della sua emissione. Questo legittima pienamente l’interesse del lavoratore ad avviare un nuovo giudizio.

Nessun Abuso nel Frazionamento del Credito

La Corte ha escluso l’ipotesi di un abusivo frazionamento del credito. Tale principio si applica quando più diritti di credito derivano dallo stesso rapporto e potevano essere fatti valere nello stesso processo. In questo caso, i due diritti (indennità risarcitoria e indennità sostitutiva) hanno presupposti diversi e nascono in momenti differenti. Il secondo diritto è sorto solo dopo la conclusione del primo giudizio, rendendo impossibile una richiesta congiunta.

Irrilevanza dell’Errore Normativo e della Sentenza non Definitiva

La Cassazione ha ritenuto irrilevante che il lavoratore avesse citato una norma di legge errata nell’esercitare l’opzione. Ciò che conta è la chiara e inequivocabile manifestazione di volontà di ottenere l’indennità al posto della reintegra. Spetta poi al giudice qualificare giuridicamente tale volontà.

Inoltre, è stato chiarito che non è necessario attendere il passaggio in giudicato della sentenza sul licenziamento per esercitare l’opzione o per agire per il pagamento. La prima sentenza, essendo provvisoriamente esecutiva, produce i suoi effetti immediatamente, consentendo al lavoratore di avvalersene.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla distinzione netta tra l’indennità risarcitoria, che ristora il danno subito per il periodo dal licenziamento alla sentenza, e l’indennità sostitutiva reintegrazione, che rappresenta una scelta alternativa e successiva alla reintegrazione stessa. Quest’ultima non è una componente del risarcimento, ma una prestazione autonoma che il lavoratore può richiedere. L’esercizio di tale opzione crea un nuovo diritto di credito, distinto e separato da quello accertato nella prima sentenza. Pertanto, l’azione per ottenerne il pagamento non costituisce un abuso processuale, ma il legittimo esercizio di un diritto sorto in un momento successivo.

Conclusioni: Cosa Insegna Questa Sentenza

Questa ordinanza consolida un importante principio a tutela del lavoratore: il diritto all’indennità sostitutiva reintegrazione è autonomo e può essere tutelato con un’azione giudiziaria specifica se il datore di lavoro non adempie spontaneamente. La sentenza chiarisce che il lavoratore non deve attendere che la decisione sul licenziamento diventi definitiva e che un mero errore formale, come la citazione di una norma sbagliata, non può pregiudicare un diritto sostanziale quando la volontà è chiara. Si tratta di una decisione che rafforza le garanzie procedurali e sostanziali a favore dei lavoratori illegittimamente licenziati.

Il lavoratore può chiedere l’indennità sostitutiva della reintegrazione con una causa separata dopo la sentenza che ordina la reintegra?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto all’indennità sostitutiva sorge solo dopo la sentenza di reintegra, quando il lavoratore esercita la sua opzione. Pertanto, se il datore di lavoro non paga, il lavoratore ha pieno diritto di avviare un nuovo e separato giudizio per ottenere la condanna al pagamento.

Indicare una norma di legge sbagliata nella richiesta di opzione per l’indennità fa perdere il diritto a riceverla?
No. Secondo la Corte, ciò che rileva è la manifestazione di volontà chiara e inequivocabile del lavoratore di optare per l’indennità. L’errata indicazione della norma di riferimento è un errore formale che non invalida la richiesta, poiché spetta al giudice interpretare la volontà della parte e applicare la legge corretta.

È necessario attendere che la sentenza sul licenziamento diventi definitiva (passata in giudicato) per chiedere il pagamento dell’indennità sostitutiva?
No. La sentenza che ordina la reintegrazione è provvisoriamente esecutiva. Ciò significa che il lavoratore può esercitare subito l’opzione per l’indennità e, in caso di mancato pagamento, agire in giudizio per ottenerla, senza dover attendere che la sentenza diventi inappellabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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