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Indennità sostitutiva: quando spetta al lavoratore?

Un agente di polizia municipale ha richiesto un’indennità sostitutiva e un risarcimento per la mancata fornitura della divisa da parte del Comune. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che per ottenere l’indennità sostitutiva è necessaria una specifica previsione di legge o contrattuale. Inoltre, ha chiarito che qualsiasi danno, incluso quello all’immagine, non è mai presunto ma deve essere sempre allegato e provato in modo specifico dal lavoratore.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità sostitutiva per divise non fornite: la Cassazione fa chiarezza

L’obbligo del datore di lavoro di fornire gli indumenti necessari per lo svolgimento della prestazione lavorativa è un tema ricorrente nel diritto del lavoro. Ma cosa succede se questa fornitura manca o avviene in ritardo? Il lavoratore ha automaticamente diritto a una compensazione economica? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 2261/2024, offre chiarimenti fondamentali, precisando che il diritto a un’indennità sostitutiva non è automatico e che il danno all’immagine va sempre provato.

I fatti del caso

Un agente di polizia municipale citava in giudizio il proprio Comune datore di lavoro. Le sue richieste erano duplici: in primo luogo, il pagamento di un’indennità sostitutiva per la mancata fornitura dei capi di vestiario di servizio; in secondo luogo, il risarcimento dei danni all’immagine e alla dignità personale e professionale, derivanti dall’aver dovuto svolgere le proprie mansioni a contatto con il pubblico indossando abiti civili.

Tanto il Tribunale in primo grado quanto la Corte d’Appello rigettavano le domande del lavoratore. I giudici di merito sottolineavano che nessuna norma di legge o di contratto collettivo prevedeva un’indennità di questo tipo. Riguardo al risarcimento, la Corte d’Appello evidenziava la totale assenza di allegazione e prova di un danno concreto subito dal dipendente. Contro questa decisione, l’agente proponeva ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte e l’indennità sostitutiva

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti. Gli Ermellini hanno smontato uno per uno i motivi di ricorso del lavoratore, delineando principi di diritto molto chiari.

Innanzitutto, la Corte ha stabilito che la richiesta di indennità sostitutiva era infondata. I giudici hanno chiarito che un diritto a una prestazione economica sostitutiva di un bene (in questo caso, la divisa) deve avere un fondamento specifico. Deve essere previsto o dalla legge o dalla contrattazione collettiva, o ancora da un atto deliberativo del datore di lavoro. In assenza di una tale previsione, il lavoratore non può pretendere automaticamente una somma di denaro.

La prova del danno: un onere imprescindibile

Il punto più significativo della pronuncia riguarda la questione del risarcimento del danno. Il ricorrente sosteneva che il danno alla sua immagine e dignità fosse in re ipsa, cioè implicito nel fatto stesso di aver dovuto lavorare senza divisa. Secondo questa tesi, il disagio e l’imbarazzo non avrebbero avuto bisogno di una prova specifica.

La Cassazione ha respinto con forza questa argomentazione. Ha ribadito un principio consolidato: il danno non patrimoniale non può essere mai presunto. Spetta sempre a chi lo lamenta allegare e provare i fatti specifici da cui il pregiudizio è derivato. Il lavoratore avrebbe dovuto dimostrare concretamente quali difficoltà, quale imbarazzo o quale lesione alla sua professionalità avesse subito a causa dell’assenza della divisa. Limitarsi a lamentare un generico disagio non è sufficiente.

le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base di principi cardine del nostro ordinamento. Sul primo punto, ha affermato che la Corte d’Appello aveva correttamente interpretato la domanda del lavoratore, negando il diritto all’indennità per mancanza di una fonte normativa o contrattuale che lo prevedesse. Non si è quindi verificata alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.).

Sul tema del danno, la Cassazione ha richiamato l’art. 2697 del Codice Civile, che disciplina l’onere della prova. Chi agisce in giudizio per ottenere un risarcimento deve provare i fatti costitutivi della sua pretesa: l’inadempimento del datore di lavoro, il danno subito e il nesso di causalità tra i due. La Corte ha precisato che la teoria del danno in re ipsa è applicabile solo in casi eccezionali di lesione di interessi protetti a livello costituzionale, e non può essere invocata per un disagio lavorativo di questo tipo. Di conseguenza, il giudice di merito aveva correttamente posto a carico del lavoratore l’onere di provare il danno effettivo, onere che non era stato assolto.

le conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce due concetti fondamentali per i lavoratori. Primo: il diritto a un’indennità sostitutiva per beni o servizi non forniti dal datore di lavoro non è un automatismo, ma deve trovare fondamento in una norma di legge o in un accordo contrattuale. Secondo, e ancora più importante: il risarcimento del danno, sia esso patrimoniale o non patrimoniale (come quello all’immagine o alla dignità), richiede sempre una prova specifica e concreta. Il lavoratore non può limitarsi a lamentare un pregiudizio, ma deve dimostrare in giudizio, attraverso fatti e circostanze precise, in cosa sia consistito il danno e quali conseguenze negative abbia prodotto nella sua sfera personale e professionale.

Quando un lavoratore ha diritto a un’indennità sostitutiva per la mancata fornitura della divisa?
Secondo la Corte, il diritto a un’indennità sostitutiva sorge solo se è espressamente previsto da una legge, da una norma della contrattazione collettiva o da un atto specifico del datore di lavoro. In assenza di tali previsioni, il diritto non esiste.

Il danno all’immagine per aver lavorato in abiti civili è automatico e presunto?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito chiaramente che il danno, incluso quello non patrimoniale all’immagine e alla dignità, non è mai presunto (in re ipsa). Deve essere sempre allegato e provato in modo specifico da chi chiede il risarcimento.

Chi deve provare il danno subito in un caso come questo?
L’onere della prova grava interamente sul lavoratore. È lui che deve dimostrare in giudizio non solo l’inadempimento del datore di lavoro, ma anche l’esistenza di un danno concreto e il nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno stesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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