Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2261 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 2261 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23412/2018 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
Comune RAGIONE_SOCIALE San Giorgio a Cremano , in persona del Sindaco pro tempore ,
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1685/2018 della Corte d’Appello di Napoli, depositata il 19.3.2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9.11.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente si rivolse al Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, per chiedere la condanna del Comune di San Giorgio a Cremano, presso il quale aveva lavorato come agente di polizia municipale, al pagamento del l’indennità sostitutiva per la mancata fornitura dei capi di vestiario da utilizzare in servizio, nonché al risarcimento dei conseguenti danni all’immagine e alla dignità personale e professionale.
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale rigettò le domande con sentenza che venne impugnata dal lavoratore davanti alla Corte d’Appello di Napoli . Quest ‘ultima rigettò a sua volta il gravame, rilevando che l’indennità sostitutiva non era prevista da alcuna legge, né da una norma della contrattazione collettiva, né da atti deliberativi del datore di lavoro, mentre, con riguardo alla domanda di condanna al risarcimento, ravvisò il difetto di allegazione e di prova del danno subito.
Contro la sentenza della Corte territoriale il lavoratore ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Il Comune si è difeso con controricorso. Entrambe le parti hanno inoltre depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia «nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, per violazione art. 112 c.p.c. ».
Si imputa alla Corte d’Appello di essersi pronunciata su una domanda («rimborso delle spese sostenute dal dipendente per l’acquisto della propria divisa ») diversa da quella proposta
dal ricorrente (« pagamento dell’indennità sostitutiva parametrata al valore d’acquisto dei capi d’abbigliamento non forniti»).
1.1. Il motivo è palesemente infondato, perché il giudice del merito ha esattamente individuato la domanda del lavoratore («pagamento dell’indennità sostitutiva stante la ‘omissione’ nell’adempimento alla fo rnitura delle uniformi»), salvo rilevare immediatamente un primo profilo di infondatezza nella pacifica circostanza che le divise erano state fornite, «sia pure … in ritardo» . La motivazione poi prosegue con l’essenziale constatazione dell’assenza di norme che prevedano un diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva , di cui si afferma, in aggiunta, la natura non retributiva, ma «di rimborso delle spese sostenute dal dipendente per l’acquisto della propria divisa».
Siffatta considerazione sul significato e sulla funzione dell ‘ indennità sostitutiva non sposta l’oggetto della decisione , che rimane esattamente corrispondente all’oggetto della domanda , ovverosia l’accertamento del diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva , diritto che la Corte territoriale ha negato, il che basta per escludere la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il giudicato di cui all’art. 112 c.p.c.
Il secondo motivo denuncia, «violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c., in particolare, degli artt. 1173, 1218 e 1223 c.c.».
Il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello avr ebbe errato nel non valorizzare adeguatamente l’obbligo del datore di lavoro di fornire le divise , in particolare negando l’esistenza di un danno risarcibile, che invece consisterebbe nella «effettiva
perdita subita … in conseguenza del fatto stesso, indipendentemente dal esborsi materialmente effettuati», da quantificare in misura pari al «valore economico del bene dovuto» oppure alle «spese sostenute dai lavoratori per fornirsi (in alternativa alle divise non fornite dall’amministrazione) di abiti civili». Inoltre, il ricorrente si lamenta che non gli sia stato riconosciuto «il pregiudizio arrecato alla propria immagine ed alla dignità personale e professionale atteso che lo svolgimento del servizio in abiti civili ha comportato evidenti difficoltà ed imbarazzo, trattandosi di attività che prevedono il continuativo contatto con il pubblico».
2.1. Questo motivo è inammissibile, in quanto censura l’accertamento del fatto che compete al giudice del merito e non è sindacabile in sede di controllo di legittimità.
Dopo avere constatato l’infondatezza della domanda di condanna al pagamento dell’indennità sostitutiva (per mancanza di una norma a fondamento del relativo diritto), la Corte di Napoli ha respinto anche la domanda di condanna al risarcimento del danno, per mancanza di prova -e, prima ancora, di allegazione -dei fatti necessari per dare sostegno all’ accertamento di un pregiudizio risarcibile.
Detto dell’insindacabilità dell’accertamento sul fatto, si deve osservare che il ricorrente nemmeno sostiene di avere allegato e chiesto di provare fatti specifici a dimostrazione di un effettivo pregiudizio subito, ma si limita a indicare possibili criteri per la liquidazione del danno (ossia per la determinazione del quantum debeatur , che però non può prescindere dall’accertamento dell’ an debeatur ) e a ipotizzare un danno in re ipsa che invece può essere riconosciuto solo nei casi di seria
lesione di interessi protetti di rilevanza costituzionale (v., ex multis , Cass. nn. 33276/2023, 21934/2023, 21586/2023, 21123/2023, 13073/2023, 6589/2023, per limitarsi alle più recenti).
Il terzo motivo è rubricato «violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c., in particolare, de ll’ art. 2697 c.c.».
Il motivo ripropone, questa volta in modo esplicito e con riferimento specifico ai «danni di natura non patrimoniale», la tesi della sussistenza del danno in re ipsa e contesta alla Corte d’Appello di avere onerato il ricorrente della prova del danno.
3.1. Il motivo è infondato, perché il giudice del merito ha fatto buon governo della norma generale in materia di ripartizione degli oneri probatori, ponendo a carico dell’attore l’onere della prova del fatto costitutivo della sua domanda, ovverosia la prova del danno di cui il ricorrente ha chiesto il risarcimento.
Infine, il quarto motivo denuncia «violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c., in particolare, de ll’ art. 91 c.p.c.».
Il ricorrente si lamenta che la Corte d’Appello abbia compensato le spese legali del grado di giudizio, ritenendo di avere diritto alla condanna del Comune di San Giorgio a Cremano alla rifusione delle spese.
4.1. Questo motivo è inammissibile, in quanto non ha una sua rilevanza autonoma, ma dà per presupposto l’accoglimento dei motivi precedenti. È chiaro che il ricorrente, soccombente in entrambi i gradi di merito, non ha interesse a lamentarsi della
compensazione delle spese, perché l’unica possibile decisione alternativa sarebbe stata la sua condanna alla rifusione delle spese in favore della controparte vincitrice. Pertanto, il rigetto dei primi tre motivi -con la conseguente conferma della decisione nel merito -priva il quarto motivo di qualsiasi contenuto di critica nei confronti della sentenza impugnata.
Respinto il ricorso, le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che , in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 3.500 per compensi, oltre alle spese generali al 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge ;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 9.11.2023.