Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27775 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 27775 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 19478-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’RAGIONE_SOCIALE;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 572/2024 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 17/07/2024 R.G.N. 1227/2022 più 1; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Oggetto
PUBBLICO IMPIEGO
CESSAZIONE RAPPORTO
ANZIANITA’ CONTRIBUTIVA
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud 21/05/2025
CC
Con ricorso al Tribunale di Palermo l’odierno ricorrente, consigliere parlamentare dell’RAGIONE_SOCIALE, in quiescenza a seguito di recesso anticipato (in applicazione della delibera che stabiliva di risolvere a decorrere dal 1° Aprile 2009 il rapporto di lavoro del personale dipendente della carriera dei consiglieri parlamentari che alla data del 31/12/2008 avesse raggiunto un’anzianità contributiva di anni 40 maturata in servizio), chiedeva la reintegrazione in servizio oltre al risarcimento dei danni ex art. 18 Statuto del Lavoratori e di quelli derivanti dalla perdita della chance di conseguire una progressione di carriera e da lesione dell’immagine.
Il Tribunale dichiarava nulli i recessi intimati dall’RAGIONE_SOCIALE nei confronti dei propri dipendenti (compreso l’odierno ricorrente) e condannava l’ARS alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento dei danni.
La Corte di Appello di Palermo rigettava il gravame proposto dall’ RAGIONE_SOCIALE, la quale ricorreva in Cassazione.
La Suprema Corte, in accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, cassava -con rinvio -la sentenza della Corte distrettuale, nella parte in cui dichiarava l’inammissibilità dell’eccezione di compensazione tra le somme dovute ai ricorrenti a cagione del recesso da parte dell’ARS (dichiarato nullo) e quelle frattanto percepite da costoro a titolo di trattamento di quiescenza.
Il giudizio veniva riassunto in appello e, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, la Corte di Appello condannava l’ARS a corrispondere al ricorrente una complessiva somma di denaro a titolo di indennità risarcitoria, quale retribuzione che av rebbe percepito dal licenziamento all’opzione risarcitoria rispetto alla reintegrazione nel posto di lavoro.
L’RAGIONE_SOCIALE. ricorreva in Cassazione con un motivo di ricorso cui resisteva con controricorso il dipendente. Entrambe le parti depositavano memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo ed unico motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 18, comma 5, della l. n. 300 del 1970, nella formulazione vigente ratione temporis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 c.p.c..
La ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 5 della L. n. 300/1978: detta norma sancisce nella versione applicabile ratione temporis una forma di tutela reale del lavoratore illegittimamente licenziato che, nel caso in cui non ritenesse sussistere le condizioni per ritornare nel posto di lavoro da cui era stato ingiustamente allontanato, può optare per il riconoscimento di un’indennità monetaria forfettariamente commisurata in 15 mensilità di retribuzione globale di fatto.
Tale facoltà di opzione presuppone, ad avviso della ricorrente, che la reintegrazione sia ancora possibile come riconosciuto da questa Corte di Cassazione che ha affermato il principio secondo cui: ‘l’obbligazione del datore di lavoro all’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione si qualifica come obbligazione con facoltà alternativa oggetto della quale è la reintegra nel posto di lavoro la cui attualità è presupposto necessario della facoltà di scelta del lavoratore; ne consegue che in tutti i casi in cui l’obbligazione reintegratoria sia divenuta impossibile per causa non imputabile al datore di lavoro non è dovuta neanche l’indennità sostitutiva. Né può ritenersi che la sentenza di reintegra possa aver travolto nonostante la sua natura dichiarativa con effetto ex tunc fatti estranei al rapporto di
lavoro quale il pensionamento del dipendente’. (Cass. n. 10721/2019).
Pertanto, nulla era dovuto, considerato che alla data in cui è stata esercitata l’opzione per l’indennità sostitutiva, ossia il 5 Febbraio 2015 data di ricezione della nota raccomandata n. 149991512204-5 del dottor COGNOME e non il 1° gennaio 2015 come erroneamente indicato in sentenza il medesimo lavoratore si trovava nell’impossibilità giuridica di rientrare nell’organico dell’RAGIONE_SOCIALE dal momento che dal 1° gennaio 2015 aveva maturato i requisiti per il collocamento a riposo d’ufficio per vecchiaia.
In altri termini, nel caso in cui la reintegrazione risulta impossibile già nello stesso momento in cui è stata riconosciuta l’illegittimità del licenziamento per causa non imputabile al datore di lavoro qual è il collocamento a riposo d’ufficio, il lavoratore non ha diritto all’indennità sostitutiva.
2. Il motivo è inammissibile.
Va al riguardo premesso che qualora una questione giuridica implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa. (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 3473 del 11/02/2025).
Orbene, la sollevata questione della legittimità dell’opzione, implicante degli specifici accertamenti in fatto, non risulta nella
motivazione della sentenza impugnata. La sentenza, infatti, presuppone la pacifica sussistenza del diritto all’indennità sostitutiva ai fini della compensazione, non occupandosi della questione afferente alla data in cui è stata esercitata l’opzione per l’indennità sostitutiva e conseguentemente della questione relativa alla dedotta impossibilità giuridica di rientrare nell’organico dell’RAGIONE_SOCIALE da parte del COGNOME (dal momento che dal 1° gennaio 2015 aveva maturato i requisiti per il collocamento a riposo d’ufficio per vecchiaia).
Nel motivo di censura nulla è allegato al fine di indicare specificamente l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto.
In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Le spese di lite vanno liquidate secondo il principio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna la ricorrente al rimborso di € 4.500,00, a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 21 maggio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME