Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29816 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 29816 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17422-2024 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrenti –
sul ricorso 24148-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli
Oggetto
Dirigente -rapporto privato
R.G.N. 17422/2024 R.G.N. 24148/2024
COGNOME.
Rep.
Ud. 22/10/2025
CC
avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 905/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/03/2024 R.G.N. 3/2021;
avverso la sentenza n. 2825/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/09/2024 R.G.N. 3097/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Fatti di causa
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 8231/2020, ha respinto l’opposizione proposta, ex lege n. 92/2012, da NOME COGNOME (dipendente dall’1.7.2012 di RAGIONE_SOCIALE, d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE, con qualifica di dirigente e con mansioni di ‘Chairman Corporate RAGIONE_SOCIALE) avverso l’ordinanza che aveva definito la fase sommaria del giudizio di impugnazione del licenziamento rigettando le domande proposte nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE).
Il primo giudice, in sintesi, ha rilevato che: a) non vi era prova della codatorialità del rapporto di lavoro, in capo alle due società; b) non sussisteva un fenomeno di interposizione fittizia di manodopera; c) il licenziamento del 12.12.2018 non era quindi nullo per non essere stato intimato dai due
datori di lavoro; d) il recesso era stato legittimamente adottato essendo stata provata la soppressione della funzione e della posizione lavorativa del COGNOME; e) non era stato dimostrato il patto di stabilità volto alla prosecuzione del rapporto fino al 31.12.2020; f) l’art. 39 co. 6 del CCNL era pienamente legittimo, frutto di ampie trattative intervenute tra le parti stipulanti; g) non sussistevano gli elementi della dedotta ingiuriosità del licenziamento né le pretese differenze sul TFR, atteso che le competenze erano state correttamente calcolate sulla data di risoluzione del rapporto al 31.12.2018.
La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 905/2024, ha respinto il reclamo proposto da COGNOME NOME, confermando l’impostazione decisoria del Tribunale in ordine alla assenza di codatorialità, alla legittimità e giustificatezza del licenziamento nonché sulla data dello stesso, alla insussistenza di un patto di stabilità e al mancato riconoscimento delle differenze retributive anche per il periodo 13.12/31.12.2008, ai sensi dell’interpretazione dell’art. 39 co. 8 del CCNL del 2016.
Avverso la decisione di secondo grado NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui hanno resistito, con un unico controricorso, la VGI e la RAGIONE_SOCIALE che hanno eccepito, in primo luogo, la tardività del ricorso e, nel merito, la sua infondatezza.
Il ricorrente ha depositato memoria.
In altro giudizio, tra le stesse parti, introdotto con ricorso ex art. 414 cpc, il Tribunale di Roma, con sentenza n. 3491/2021, ha rigettato le domande proposte da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE) mentre ha accertato e dichiarato il diritto
del ricorrente (dipendente dall’1.7.2012 di RAGIONE_SOCIALE, d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE, con qualifica di dirigente e con mansioni di ‘Chairman Corporate RAGIONE_SOCIALE, licenziato il 12.12.2018) al pagamento, dal parte di RAGIONE_SOCIALE, dell’incidenza del valore dell’alloggio e dell’assicurazione sul calcolo del TFR e, per l’effetto, ha condannato la stessa al pagamento delle somme liquidate in euro 13.846,70 lordi oltre accessori; ha accertato e dichiarato il diritto, di parte ricorrente, al pagamento della retribuzione relativa al periodo compreso tra il 13 ed il 31 dicembre 2018, con le relative incidenza, e, per l’effetto, ha condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle somme liquidate in euro 53.092,52 lori, di cui euro 5.083,28 lordi, per incidenza sul TFR, oltre accessori; ha, infine, condannato il COGNOME al pagamento, in ripetizione, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, della somma netta corrispondente al lordo di euro 210.432,37, oltre accessori, rigettando nel resto la domanda principale nonché quella riconvenzionale spiegata dalla società.
La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 2825/2024, in parziale riforma della gravata pronuncia, confermata nel resto, previo accertamento del diritto di COGNOME NOME al pagamento della incidenza dei Bonus variabili percepiti negli ultimi dodici mesi sulla 13^, 14^, ferie ed ex festività, ha condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore dello stesso, della somma di euro 701.646,81, oltre alle relative incidenze sul TFR e accessori; sempre previo accertamento del diritto del COGNOME al la quantificazione dell’indennità sostitutiva del preavviso, tenendo conto dei Bonus Variabili degli ultimi tre anni, ha condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore dello stesso, della somma di euro
38.138,58, oltre interessi; ha, infine, rigettato la domanda riconvenzionale proposta in primo grado avente ad oggetto la richiesta di restituzione del maggior importo erogato a NOME COGNOME quale TFR, conseguente alla inclusione dei Bonus aggiuntivi nella base di calcolo di tali emolumenti.
I giudici di seconde cure, ritenuto ammissibile l’appello e rinunciato il motivo di gravame sulla dedotta codatorialità, hanno rilevato che: a) il Bonus aggiuntivo (qualificato dal COGNOME come variabile) relativo all’anno 2018 non era una voce stipendiale fissa, bensì di natura discrezionale e rimessa alla valutazione dei vertici aziendali, per cui non incideva in ordine alle rivendicate pretese; b) sussisteva il diritto del COGNOME alla erogazione delle incidenze di tutti i Bonus Variabili percepiti durante il rapporto di lavoro su 13^, 14^, ferie ed ex festività, in virtù di quanto previsto dagli artt. 8 co. 4 e 13 co. 4 e 5, del CCNL applicato, per un importo di euro 701.646,81, oltre a relative incidenze sul TFR; c) sussisteva, altresì, il diritto del COGNOME, ai sensi dell’art. 39 co. 12 del CCNL Dirigenti Terziario e dell’art. 2112 cod. civ., alla quantificazione dell’indennità sostitutiva del preavviso tenendo conto anche della media dei Bonus Variabili erogati negli ultimi tre anni, con un importo pari ad euro 38.138,58 (comprensiva dell’incidenza sul TFR); d) la società non aveva titolo a richiedere la somma di euro 210.432,37, quale maggior importo erogato al COGNOME a titolo di TFR (derivante dalla incidenza dei Bonus Variabili percepiti in costanza dir apporto).
Avverso la sentenza di secondo grado la RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) ha proposto ricorso per cassazione affidato a otto motivi cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME.
A ll’odierna udienza camerale i due ricorsi per cassazione sono stati riuniti per connessione soggettiva e oggettiva.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi del ricorso proposto da NOME COGNOME (rg. n. 17422/2024) possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, e specificamente dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 112 cpc, per non avere la Corte territoriale tenuto conto del giudicato esterno formatosi in forza della sentenza del Tribunale di Roma (Sez. III lavoro) n. 3491/2021 del 14.4.2021, oggetto di eccezione prospettata con nota depositata telematicamente il 23.1.2024, e riguardante il riconoscimento delle differenze sulla retribuzione di dicembre 2018 e sulle relative incidenze. Si rappresenta che tale questione era stata sottoposta con un giudizio di revocazione della pronuncia oggi gravata, il cui ricorso era stato dichiarato inammissibile con provvedimento del 2.7.2024, pubblicato il 5.7.2024.
Con il secondo motivo si eccepisce, in via subordinata, la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per omessa pronuncia sull’eccezione di giudicato di cui sopra.
Con il terzo motivo si deduce, in subordine al primo e secondo motivo, la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per mancata motivazione in ordine alla eccezione di giudicato esterno qualora la stessa dovesse ritenersi implicitamente decisa.
Con il quarto motivo, in via ulteriormente subordinata, si censura la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto
e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc e specificamente dell’art. 39 co. 8 CCNL Dirigenti Commercio e relativi rinnovi, in quanto, da una chiara interpretazione della disposizione si ricavava che la retribuzione del mese di dicembre andasse calcolata non fino al 12.12.2018 (data del licenziamento) ma per l’intero mese.
Con il quinto motivo si obietta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, con riferimento all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc e specificamente dell’art. 39 commi 12 e 13 CCNL Dirigenti Commercio e relativi rinnovi, per non essere stata calcolata l’indennità sostitutiva di preavviso avendo riguardo, quale base di conteggio, alla retribuzione globale di fatto mensile, ivi inclusa la retribuzione in natura e l’incidenza mensile del bonus variabile, oltre che dei ratei di 13^, 14^ e ferie e dell’incidenza di tali somme sul TFR.
Con il sesto motivo, in via concorrente e/o alternativa, si eccepisce la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc, in combinato disposto con l’art. 118 co. 1 disp. att. cpc, con l’art. 111 co. 6 Cost e con l’art. 156 co. 2 cpc, per non avere la Corte distrettuale motivato sul dedotto riconoscimento delle differenze di TFR in relazione all’indennità di preavviso, con il richiamo alle argomentazioni spese relativamente alle differenze di TFR sulle mensilità di dicembre 2018; inoltre, si precisa che, in ogni caso, i conteggi di esso ricorrente non erano stati contestati in modo specifico.
I motivi del ricorso per cassazione proposto da RAGIONE_SOCIALE (rg. n. 24148/2024) possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8 comma 4 e 5 del CCNL Dirigenti Commercio del 27.5.2004, del 23.1.2008, del 31.7.2013 e dell’Accordo di rinnovo del 21.7.2016 nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’Appello di Roma considerato nel computo della 13 esima, della 14 esima, delle ferie e delle ex festività i bonus aggiuntivi erogati al dottor COGNOME e per avere conseguentemente condannato la ricorrente al pagamento della somma di euro 701.646,81.
Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché dell’art. 2697 comma 1 c.c., per avere la Corte d’Appello di Roma ritenuto che i conteggi indicati dal dottor COGNOME degli importi richiesti a titolo di incidenze sulla 13 esima, sulla 14 esima, sulle ferie e sulle ex festività non erano stati contestati dalla ricorrente e per avere pronunciato nel merito in difetto di prova del quantum debeatur .
Con il terzo motivo si eccepisce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 161 c.p.c., per avere la Corte d’Appello di Roma ignorato l’eccezione di prescrizione tempestivamente sollevata dalla ricorrente.
Con il quarto motivo si obietta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2907 c.c. nonché omesso esame dell’eccezione tempestivamente sollevata dalla ricorrente di inammissibilità ed improcedibilità della domanda di pagamento della somma di euro 38.138,58 a titolo di integrazione dell’indennità sostitutiva del preavviso formulata sub 4 dall’appellante e del passaggio in giudicato di un capo della sentenza n. 8231/2020 del Tribunale di Roma.
Con il quinto motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2121 c.c. e dell’art. 39 comma 12 del CCNL Dirigenti Commercio, per avere la Corte d’Appello di Roma conteggiato ai fini della determinazione dell’indennità sostitutiva del preavviso la media degli ultimi tre anni dei bonus aggiuntivi erogati al dottor COGNOME.
Con il sesto motivo parte ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte d’Appello di Roma ritenuto che i conteggi indicati dal dottor COGNOME degli importi richiesti a titolo di indennità sostitutiva del preavviso non erano stati contestati dalla ricorrente e per avere pronunciato nel merito in difetto di prova del quantum debeatur .
Con il settimo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. per avere la Corte d’Appello di Roma ritenuto ammissibile la domanda formulata dalla appellante per la prima volta in appello di rigetto della domanda riconvenzionale spiegata dalla ricorrente in primo grado di condanna del dottor COGNOME al pagamento della somma di euro 210.432,37.
Con l’ottavo motivo si sostiene la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2120, comma 2 c.c., per avere la Corte d’Appello di Roma considerato ai fini del conteggio del TFR i bonus aggiuntivi erogati al dottor COGNOME.
Preliminarmente deve darsi atto della riunione dei due ricorsi per connessione oggettiva e soggettiva.
Sempre in via preliminare, va respinta l’eccezione di decadenza, sollevata dalle controricorrenti del ricorso proposto da NOME COGNOME, relativa al mancato rispetto del termine di sessanta giorni per proporre reclamo
ex art. 1 co. 58 legge n. 92 del 2012. Essa è basata sulle seguenti circostanze: a) la comunicazione della sentenza, oggi gravata, fu effettuata il 4.3.2024 (dato pacifico tra le parti); b) con provvedimento della Corte di appello di Roma, investita della domanda di revocazione, in data 23.4.2024 il termine per proporre ricorso per cassazione fu sospeso; c) dal 4.3.2024 al 23.4.2024 erano decorsi 50 giorni; d) il dispositivo della sentenza che ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione era stato pubblicato e comunicato il 2.7.2024 per cui, allorquando è stato notificato il ricorso per cassazione (15.7.2024), il termine per proporlo era già scaduto, essendo decorsi, dal 3.7.2024 al 215.7.2024, più di dieci giorni da aggiungere ai cinquanta già trascorsi.
Il ricorrente ha, però, evidenziato che la data di pubblicazione nonché di comunicazione del dispositivo e della sentenza di revocazione (cui si deve tenere conto, cfr. Cass. n. 3680/2016) è del 5.7.2024, come si evince dal documento n. 29 già prodotto in atti, per cui, rileva questo Collegio, che il termine di 60 giorni (50 + 10) è stato osservato ai fini della rituale e tempestiva notifica del ricorso di talché l’eccezione di decadenza dall’impugnazione va respinta.
Ciò premesso, i primi quattro motivi del ricorso presentato da NOME COGNOME, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro interferenza, sono fondati per le ragioni di seguito indicate.
La questione ad essi sottesa riguarda il riconoscimento delle differenze retributive sulla mensilità di dicembre 2008 (in particolare per i giorni dal 13 al 31 dicembre 2018).
La pretesa del COGNOME era stata respinta con la sentenza della Corte di appello di Roma n. 905/2024, oggetto di impugnazione con il ricorso per cassazione del lavoratore.
La medesima pretesa era stata, però, azionata anche con il procedimento instaurato ex art. 414 cpc e, in quel giudizio, il Tribunale di Roma, in primo grado, con statuizione non impugnata, come si evince dalla sentenza della Corte di appello di Roma n. 2825/2024, ha, invece, accertato e dichiarato il diritto del COGNOME al pagamento della retribuzione relativa al periodo compreso tra il 13 ed il 31 dicembre 2018, con le relative incidenze, condannando la società al pagamento dell’importo di euro 53.092, 52 lordi, di cui euro 5.083,28 lordi per incidenza sul TFR, oltre accessori.
Questo Collegio rileva, quindi, l’intervenuto passaggio in giudicato della statuizione e, pertanto, la fondatezza delle censure di cui ai motivi sia pure per le argomentazioni sopra esposte, con la conseguenza che la relativa causa, sul punto, non poteva proseguire.
Il quinto ed il sesto motivo del ricorso di NOME COGNOME, riguardanti il calcolo della indennità sostitutiva del preavviso, con riguardo, quale base di conteggio, alla retribuzione di fatto mensile, ivi inclusa la retribuzione in natura e l’inciden za mensile del bonus variabile, oltre che dei ratei di 13^ e 14^ nonché delle ferie, con conseguenza incidenza sul TFR, devono essere valutati congiuntamente ai motivi (il quarto, il quinto ed il sesto motivo) del ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE concernenti la medesima questione.
Anche in questo caso le pronunce della Corte di appello di Roma, oggetto dei due ricorsi per cassazione in questa sede riuniti, sono contrastanti perché la pretesa del COGNOME è stata respinta con la sentenza n. 905/2024 mentre è stata accolta con quella n. 2825/2024.
Da qui le relative impugnazioni delle parti nei confronti delle statuizioni cui sono risultate rispettivamente soccombenti nei due diversi giudizi.
Preliminarmente va specificato che, sulle questioni di cui alla applicazione dell’art. 39 co. 12 e 13 del CCNL Dirigenti Commercio (e relativi rinnovi sulla indennità sostitutiva del preavviso) non si è formato alcun giudicato atteso che i motivi di impugnazione di reclamo del COGNOME riguardavano proprio la interpretazione dei criteri di calcolo della disposizione contrattuale collettiva e dal contesto dell’atto di impugnazione di secondo grado si evinceva che non vi era stata acquiescenza alla problematica delle differenze retributive sul TFR con riguardo alle vantate differenze sull’indennità sostitutiva del preavviso, decisa in senso negativo dal Tribunale.
Orbene, con riferimento alla tematica di cui ai motivi, hic et inde proposti, le statuizioni della Corte territoriale, adottate con la sentenza n. 2825/2024, relativamente alla interpretazione dell’art. 39 co. 12 CCNL Dirigenti Terziario, sono corrette.
La disposizione contrattuale collettiva prevede testualmente che l’indennità sostitutiva va computata sulla retribuzione di fatto, comprensiva di tutti gli elementi fissi e della media degli ultimi tre anni (o del minore tempo di servizio prestato9 per gli elementi variabili.
Tale disposizione è in linea con l’art. 2121 cod. civ. che pure prevede che l’indennità sostitutiva del preavviso debba calcolarsi computando qualsivoglia compenso di carattere continuativo che sia stato corrisposto al dipendente, con la sola esclusione di quanto erogato a titolo di rimborso spese, con la specificazione che se il lavoratore è retribuito con
premi di produzione o di provvigioni, l’indennità suddetta è determinata sulla media degli emolumenti degli ultimi re anni di servizio.
In sede di legittimità (Cass. n. 14559/2017, richiamata dalla stessa Corte di appello) si è affermato che l’indennità per mancato preavviso rappresenta, quindi, un risarcimento corrispondente al “lucro cessante” preveduto o prevedibile per l’ulteriore periodo in cui il rapporto avrebbe seguitato a svolgersi qualora il preavviso avesse avuto il suo corso regolare.
La Corte territoriale, ben individuando la ratio dell’istituto, ha applicato il disposto della normativa contrattuale, computando nel calcolo della indennità di cui si discute i Bonus variabili, come erogati nell’ultimo triennio, nonché considerando i ratei della 13^ e 14^ e le ferie, con la loro conseguente incidenza sul TFR, determinando, quindi, l’importo complessivo dovuto in euro 38.138,58.
Quanto alle doglianze sui conteggi, la Corte distrettuale li ha ritenuti correttamente redatti e non oggetto di specifica contestazione: si verte, in un accertamento di merito, adeguatamente motivato e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità.
Al riguardo è opportuno precisare, in relazione alle dedotte violazioni di legge, che in tema di ricorso per cassazione una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente
apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione: ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame (Cass. n. 20867/2020; Cass. n. 29867/2020; Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014).
Deve, poi, rilevarsi che è anche infondata la asserita violazione dell’art 2697 cod. civ. che si ha, tecnicamente, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cpc (Cass. n. 17313/2020) non sussistente nel caso de quo .
Continuando, poi, nello scrutinio dei motivi del ricorso della società, deve rilevarsi che il primo ed il secondo motivo sono infondati.
Essi riguardano l’incidenza di tutti i Bonus Variabili percepiti, nel calcolo, però, della 13^, 14^ mensilità, ferie ed ex festività, ai sensi di quanto previsto dagli artt. 8 co. 4 e 5 CCNL Dirigenti (in precedenza si è esaminata la loro incidenza sul calcolo della indennità sostitutiva del preavviso).
Anche in questo caso vi è stata una corretta interpretazione ed applicazione del citato art. 8 co. 4 CCNL che prevede che: ‘ 4. Per coloro che sono retribuiti in tutto o in parte con provvigioni o altri elementi variabili, il calcolo delle mensilità supplementari sarà effettuato, per la
parte variabile, sulla media degli emolumenti corrisposti nei dodici mesi precedenti o comunque nel minor periodo di servizio’ ; l’art. 13 comma 4 e comma 5 statuisce che: ‘ 4. Durante il periodo di ferie decorre la retribuzione di fatto. 5. Per coloro che sono retribuiti n tutto o in parte con provvigioni o altri elementi variabili, la retribuzione sarà computata, per la parte variabile, sulla media degli emolumenti corrisposti nei dodici mesi precedenti o comunque nel periodo minor periodo di serviz io ‘ .
E’ opportuno precisare che, in tema di interpretazione della contrattazione collettiva trovano applicazione i criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e ss. cod. civ., sicché, seguendo un percorso circolare, occorrerà tener conto, in modo equiordinato, di tutti i canoni previsti dal legislatore, sia di quelli tradizionalmente definiti soggettivi che di quelli oggettivi, confrontando il significato desumibile dall’utilizzo del criterio letterale con quello promanante dall’intero atto negoziale e dal comportamento complessivo delle parti, coordinando tra loro le singole clausole alla ricerca di un significato coerente con tutte le regole interpretative innanzi dette (Cass. n. 30141/2022).
Nel caso de quo , osserva il Collegio che, oltre all’evidente senso letterale delle locuzioni, va aggiunto anche l’aspetto logico-sistematico di tutto il contratto collettivo relativamente al fatto che le parti sociali, così come per l’indennità sostitutiva del preavviso, hanno considerato allo stesso mo do l’incidenza dei Bonus Variabili per il calcolo sia della retribuzione valevole per 13^, 14^, per le ferie ed ex festività che della indennità sostitutiva del preavviso.
Anche relativamente alla questione di cui al primo motivo, le censure articolate sui conteggi (secondo motivo), ex art.
115 e 116 cpc nonché ex art. 2697 cod. civ., sono inammissibili coinvolgendo un accertamento di merito della Corte distrettuale, insindacabile in sede di legittimità.
Il terzo motivo del ricorso della società è infondato dovendosi ritenere, dalla Corte territoriale, implicitamente respinta l’eccezione di prescrizione essendo stato considerato unico il rapporto lavorativo dal 2007 al 2018.
Il vizio di omessa pronuncia, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., ricorre, infatti, solo ove il giudice ometta completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, anche solo implicito di accoglimento o di rigetto ma comunque indispensabile per la soluzione del caso concreto, sulla domanda o sull’eccezione sottoposta al suo esame (Cass. n. 27551/2024).
Anche il settimo motivo non è meritevole di accoglimento.
La Corte territoriale ha svolto un complessivo esame degli atti processuali (ricorso introduttivo, memorie e note) ritenendo che la richiesta di rigetto dell’avversa domanda riconvenzionale fosse implicita nelle stesse conclusioni rassegnate nelle note di trattazione scritta ove si ribadiva il riconoscimento del diritto al pagamento dell’incidenza dei Bonus Variabili erogati nel corso del rapporto di lavoro su una serie di emolumenti percepiti, oltre naturalmente alla incidenza sul TFR.
A fronte di tale statuizione, con le doglianze di cui al motivo la società si è limitata a contrapporre una diversa lettura degli atti processuali ma senza idoneamente criticare l’assunto della Corte territoriale circa l’implicita reiterazione della richiesta di rigetto della domanda riconvenzionale perché il suo asserito abbandono era incompatibile con le richieste articolate dal COGNOME in tema di Bonus Variabili.
L’ottavo motivo, infine, è anche esso infondato.
La Corte territoriale ha considerato correttamente l’incidenza dei Bonus Variabili sul calcolo del TFR, in quanto ritenuti compensi a carattere continuativo, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (per tutte Cass. n. 14242/2024) secondo cui, nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto, possono essere ricompresi gli emolumenti incentivanti che, pur presentando in astratto il carattere dell’incertezza, sono erogati ai dipendenti con carattere di corrispettività rispetto alle prestazioni rese e per i quali risulta, in base ad una verifica da eseguire necessariamente ex post , l’avvenuta corresponsione per un tempo significativo tale da escluderne il carattere occasionale, senza che rilevi il fatto che l’ammissione al sistema incentivante dipende da una decisione datoriale.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso di NOME COGNOME va accolto, con cassazione della gravata sentenza senza rinvio perché l’azione non poteva essere proseguita ex art. 382 u.c. cpc in relazione a tutti i motivi, oggetto anche della sentenza della Corte di appello di Roma n. 2825/2024.
Il ricorso della RAGIONE_SOCIALE va, invece, rigettato.
Quanto alle spese, quelle dei giudizi di merito, relative al giudizio di cui al ricorso rg. n. 17422/2024, vanno compensate tra le parti, ravvisandosi una situazione di soccombenza reciproca in ordine alle rispettive pretese delle parti. Quelle dell’intero giudizio di legittimità, come riunito, seguono la soccombenza e, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico della società, con distrazione in favore dei Difensori del COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte, dato atto della riunione al giudizio rg. n. 17422/2024 di quello recante il n. r.g. 24148/2024, accoglie il ricorso di NOME COGNOME e, per l’effetto, cassa senza rinvio, in relazione al ricorso proposto, la sentenza n. 905/2024 della Corte di appello di Roma; rigetta il ricorso della RAGIONE_SOCIALE confermando la sentenza della Corte di appello di Roma n. 2825/2024.
Compensa tra le parti le spese dei giudizi di merito relative al ricorso n. rg. 17422/2024; condanna la RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come riunito, che liquida in complessivi euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori del contro ricorrente, dichiaratisi antistatari.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente RAGIONE_SOCIALE, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22.10.2025
Il Presidente
AVV_NOTAIO NOME COGNOME