Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27496 Anno 2024
AULA B
Civile Ord. Sez. L Num. 27496 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22862/2023 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende
Oggetto: Lavoro pubblico contrattualizzato – Dirigenti medici – Ferie non godute – Indennità sostitutiva – Presupposti
R.G.N. 22862/2023
Ud. 09/10/2024 CC
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO ROMA n. 1770/2023 depositata il 17/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 09/10/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1770/2023, depositata in data 17 maggio 2023, la Corte d’appello di Roma, nella regolare costituzione dell’appellato NOME COGNOME, ha respinto l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Civitavecchia n. 343/2021, pubblicata in data 3 giugno 2021.
Quest’ultima aveva accolto la domanda di NOME COGNOME – ex medico anestesista dipendente dalla RAGIONE_SOCIALE presso l’Ospedale di Tarquinia -il quale aveva adito il Tribunale, esponendo che al momento della cessazione del suo rapporto di lavoro -31 ottobre 2016 risultavano non fruiti 39 giorni di ferie del periodo 2015-2016, nonostante egli avesse chiesto in precedenza di poter usufruire delle ferie maturate e non godute.
Il Tribunale, ritenuto pacifico il mancato godimento dei 39 giorni di ferie, ed osservato che non era stato dimostrato che il lavoratore avrebbe potuto fruire delle medesime in modo autonomo, essendo dirigente di primo livello e quindi privo del potere di programmarsi le ferie e autoattribuirsene il godimento, aveva condannato RAGIONE_SOCIALE alla corresponsione dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute per un importo capitale di € 9.994,83.
La Corte d’appello di Roma ha disatteso il gravame di RAGIONE_SOCIALE, ritenendo in primo luogo provato il fatto che l’appellato non
avesse la possibilità di fruire in autonomia decisionale le ferie a disposizione -risultando invece sottoposto ai vertici aziendali in quanto dirigente di primo livello -nonché l’ulteriore circostanza che solo tardivamente -e cioè in prossimità del pensionamento di NOME COGNOME -l’appellante si era attivata per cercare di far recuperare all’appellato il maggior numero di ferie possibile.
Richiamati, poi, precedenti di questa Corte, la Corte d’appello ha affermato il principio per cui la perdita del diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva avrebbe postulato la prova del fatto che il datore avesse adeguatamente sollecitato il lavoratore in tempo utile a godere delle ferie medesme, laddove nella specie tale prova era mancata, avendo invece l’appellante erroneamente ritenuto che la prova medesima incombesse sul lavoratore.
La Corte territoriale, infine, ha escluso che assumesse rilevanza la circostanza della presenza contestuale di 81 giorni di assenza dal servizio privi di giustificazione dell’appellato, rilevando che l’appellante avrebbe potuto imputare in corso di rapporto, a giorni di ferie tali assenze, mentre non lo aveva fatto.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre ora RAGIONE_SOCIALE.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 15, D.
Lgs. n. 502/1992, come modificato dall’art. 13, D. Lgs. n. 229/1999; 10, D. Lgs. n. 66/2003; 5, comma 8, D.L. n. 95/2012 (conv. con Legge n. 135/2012); 18 CCNL 1995,
La ricorrente – peraltro sollecitando, ove ritenuto, la rimessione della questione alle Sezioni Unite -censura la decisione impugnata in quanto la stessa avrebbe riconosciuto al controricorrente il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute, ‘in spregio alla normativa e al divieto di monetizzazione sancito nel pubblico impiego, specie quando trattasi di personale dirigente’ .
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 414 e 116 c.p.c.
La ricorrente – sempre sollecitando, ove ritenuto, la rimessione della questione alle Sezioni Unite -impugna la decisione della Corte capitolina in quanto la stessa avrebbe erroneamente attribuito alla stessa ricorrente l’onere della prova del fatto di av ere formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie e di avere assicurato che l’organizzazione del lavoro fosse tale da non impedire al lavoratore di fruire delle ferie, in quanto tale ragionamento si tradurrebbe in un illegittimo rovesciamento degli oneri probatori.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 116 c.p.c.
Il motivo censura la valutazione della documentazione in atti da parte della Corte d’appello, alla quale attribuisce l’erronea conclusione per cui il controricorrente avrebbe dimostrato di non avere il potere di attribuirsi da sé le ferie e di non avere potuto fruire delle ferie per esigenze di servizio.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 116 c.p.c.
Il ricorso censura la decisione impugnata ‘per avere ritenuto irrilevante, sotto il profilo probatorio, il dato offerto dall’RAGIONE_SOCIALE relativamente all’assenza del dipendente dal servizio, senza giustificazione, per ben 81 giorni nell’arco del periodo in contestazione’ .
I primi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, dovendosene dichiarare la inammissibilità ex art. 360bis , n. 1), c.p.c., avendo la decisione impugnata deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte mentre l’esame dei due motivi di ricorso non offre elementi per confermarne o mutarne l’orientamento
Questa Corte, invero, ha reiteratamente affermato il principio per cui, poiché le ferie annuali retribuite costituiscono un diritto fondamentale ed irrinunciabile del lavoratore – a cui è intrinsecamente collegato il diritto alla indennità finanziaria sostitutiva delle ferie non godute al termine del rapporto di lavoro – e, correlativamente, un obbligo del datore di lavoro, grava su quest’ultimo l’onere di provare di avere adempiuto al proprio obbligo di concedere le ferie medesime, mentre la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie – se necessario formalmente – e di averlo nel contempo avvisato – in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire – che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di
riferimento o di un periodo di riporto autorizzato (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 9993 del 2024; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 9982 del 12/04/2024; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 17643 del 2023; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 29844 del 12/10/2022; Cass. Sez. L – Sentenza n. 21780 del 08/07/2022; Cass. Sez. L – Sentenza n. 18140 del 06/06/2022; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 13613 del 02/07/2020), secondo un meccanismo che questa Corte ha ricondotto all’istituto della mora credendi del lavoratore (Cass. Sez. L – Sentenza n. 2496 del 01/02/2018).
Come ricordato sempre da questa Corte, infatti, la normativa nazionale deve essere interpretata in senso conforme all’art. 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE, che, secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia, Grande Sezione (con sentenze del 6 novembre 2018 in cause riunite C-569/16 e C-570/16, e in cause C-619/16 e C-684/16), non consente la perdita automatica del diritto alle ferie retribuite e dell’indennità sostitutiva, senza la previa verifica che il lavoratore, mediante una informazione adeguata, sia stato posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare effettivamente il proprio diritto alle ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro (Cass. Sez. L Ordinanza n. 14268 del 05/05/2022).
Si può rammentare, ulteriormente, che, se l’indennità sostitutiva non spetta al lavoratore che, avendo il potere di autodeterminare le proprie ferie, non ne abbia fatto richiesta (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 6262 del 24/02/2022) -trovando comunque questo principio un limite nell’ipotesi in cui le esigenze di servizio e la sussistenza di notevoli scoperture d’organico nella struttura precludano la possibilità per il responsabile di fruire delle ferie (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 13613 del 02/07/2020) – per contro, il dirigente, che non abbia il potere di autodeterminazione incondizionata del proprio periodo di ferie, qualora
non usufruisca del periodo di riposo annuale, ha diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute, senza essere tenuto a provare la ricorrenza di necessità aziendali assolutamente eccezionali ed obiettive ostative alla suddetta fruizione (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 31175 del 02/11/2021)
Di questo orientamento ormai consolidato la ricorrente mostra di essere consapevole, al punto da sollecitare un rinvio della questione alle Sezioni Unite ma tale sollecitazione non può trovare riscontro, sol che si consideri che l’approdo nomofilattico cui questa Corte è pervenuta scaturisce dalle chiare indicazioni della Corte di Giustizia U.E. poc’anzi richiamate, con le quali invece il ricorso omette sistematicamente di confrontarsi, limitandosi a riproporre un’interpretazione avulsa dai principi eurounitari, già valutata e superata da questa Corte.
Il terzo motivo è, parimenti, inammissibile.
Lo stesso, infatti, viene a sollecitare un inammissibile sindacato in ordine alla valutazione delle prove operata dal giudice di merito ed a quest’ultimo riservata (Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 13918 del 03/05/2022; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004), dovendosi ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione
non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
Inammissibile, infine, è il quarto ed ultimo motivo, il quale, ancora una volta, viene a riproporre un inammissibile sindacato sulla valutazione delle prove, in relazione al quale possono richiamarsi i principi appena enunciati, nonché quello per cui la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U – Sentenza n. 20867 del 30/09/2020).
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
6. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 4.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione