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Indennità rischio radiologico: spetta agli infermieri?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11310/2025, ha stabilito che l’indennità rischio radiologico spetta anche al personale sanitario non tecnico, come gli infermieri di sala operatoria, che svolgono la loro attività in modo abituale in una ‘zona controllata’. La Corte ha chiarito che il parere negativo della commissione interna di valutazione del rischio non è vincolante per il giudice, il quale può accertare autonomamente i presupposti del diritto. È sufficiente che il lavoratore provi lo svolgimento abituale dell’attività in tale zona, senza dover dimostrare la specifica dose di radiazioni assorbita, poiché la legge equipara le due condizioni.

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Indennità Rischio Radiologico: Spetta agli Infermieri di Sala Operatoria?

L’indennità rischio radiologico rappresenta un importante riconoscimento per i lavoratori esposti a radiazioni ionizzanti. Ma cosa succede quando a richiederla non sono tecnici di radiologia, ma altre figure professionali sanitarie, come gli infermieri strumentisti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti decisivi, stabilendo che il diritto può sorgere anche per loro, a patto di dimostrare lo svolgimento abituale dell’attività in aree a rischio specifico.

I Fatti di Causa

Un gruppo di infermieri strumentisti impiegati presso la sala operatoria di un’azienda ospedaliera specialistica si era visto negare il diritto a percepire l’indennità radiologica e a fruire del relativo congedo speciale. La decisione dell’azienda si basava sul parere di una commissione interna per la valutazione del rischio, che aveva escluso la sussistenza delle condizioni per tali benefici.

In primo grado, il Tribunale aveva dato ragione all’azienda. La Corte d’Appello, tuttavia, ribaltava la decisione. Sulla base di una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), i giudici di secondo grado riconoscevano il diritto a una parte degli infermieri, avendo accertato che questi svolgevano la loro attività professionale in modo abituale all’interno di una ‘zona controllata’, ovvero un’area classificata a rischio radiologico. Per altri lavoratori, invece, l’appello veniva respinto poiché era emerso un loro ruolo solo preparatorio o una partecipazione limitata agli interventi.

L’azienda sanitaria, insoddisfatta della sentenza, proponeva quindi ricorso per Cassazione, contestando diversi aspetti della decisione, tra cui la presunta violazione delle norme sull’onere della prova e il ruolo della commissione interna.

L’Indennità Rischio Radiologico Secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando la decisione della Corte d’Appello e fornendo principi di diritto fondamentali in materia.

Il Ruolo Non Vincolante della Commissione Interna

Il primo punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda il valore del parere della commissione di valutazione del rischio. La Cassazione ha affermato che la decisione di questa commissione non ha natura ‘costitutiva’ del diritto. In altre parole, il diritto all’indennità non dipende dal suo parere positivo. Si tratta di un diritto soggettivo che sorge quando si verificano i presupposti di legge, ovvero l’effettiva esposizione al rischio. Di conseguenza, il lavoratore che si vede negare il beneficio può rivolgersi al giudice, il quale ha il potere di accertare autonomamente, anche tramite una CTU, la sussistenza delle condizioni di rischio, superando il giudizio negativo della commissione.

La Prova del Rischio: Zona Controllata e Presunzione

Un altro aspetto fondamentale riguarda l’onere della prova. L’azienda sosteneva che i lavoratori avrebbero dovuto dimostrare non solo la presenza in ‘zona controllata’, ma anche l’effettivo assorbimento di radiazioni in misura rilevante. La Corte ha respinto questa interpretazione. Ha chiarito che, al di fuori del personale medico e tecnico di radiologia (per cui opera una presunzione assoluta), per gli altri lavoratori il diritto all’indennità rischio radiologico sorge in presenza di un’esposizione non occasionale né temporanea, analoga a quella del personale di radiologia.

La normativa tecnica (in particolare il D.Lgs. 230/1995) ha posto una ‘sostanziale equiparazione’ tra lo svolgimento abituale dell’attività professionale in ‘zona controllata’ e l’assorbimento annuo di radiazioni che tale attività comporta. Pertanto, il lavoratore assolve il proprio onere probatorio dimostrando di operare abitualmente in tale zona. Non è necessario un’ulteriore prova sulla dose di radiazioni assorbita, poiché la classificazione dell’area già presuppone quel livello di rischio.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che i benefici in questione hanno una funzione indennitaria, volta a compensare il lavoratore per la nocività della prestazione svolta. Questi benefici costituiscono diritti soggettivi pieni, che non possono essere subordinati al potere discrezionale di un organo amministrativo interno come la commissione di rischio. L’azione giudiziale serve proprio a verificare, nel contraddittorio tra le parti, se i presupposti di fatto per il sorgere del diritto esistano concretamente.

Inoltre, la Corte ha ritenuto legittimo il ricorso alla CTU, definendola non ‘esplorativa’, ma necessaria per accertare fatti complessi (come il numero di operazioni, i ruoli degli addetti, la frequenza della presenza in zona controllata) che richiedono specifiche cognizioni tecniche. La CTU, nel processo del lavoro, può acquisire tutti i dati necessari per rispondere ai quesiti del giudice, inclusi quelli forniti dalla stessa parte datoriale, come la classificazione delle aree di rischio.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione rafforza la tutela dei lavoratori esposti a rischio radiologico, anche quando non appartengono strettamente al personale di radiologia. I punti salienti sono:

1. Autonomia del Giudice: Il giudice può accertare il diritto all’indennità anche in contrasto con il parere della commissione aziendale.
2. Onere della Prova Semplificato: Per ottenere l’indennità, è sufficiente provare di lavorare ‘abitualmente’ in una ‘zona controllata’, senza dover fornire la prova dosimetrica dell’esposizione.
3. Legittimità della CTU: La consulenza tecnica è uno strumento valido per ricostruire le condizioni di lavoro e l’abitualità dell’esposizione.

Questa decisione rappresenta un precedente importante per tutto il personale sanitario che, pur non essendo formalmente inquadrato nei servizi di radiologia, si trova a operare costantemente in ambienti dove l’uso di radiazioni ionizzanti è una prassi consolidata.

L’opinione della Commissione interna sul rischio radiologico è vincolante per il giudice?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il giudizio della Commissione interna non ha portata costitutiva del diritto all’indennità. Il giudice può accertare autonomamente la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del beneficio, anche se la Commissione ha dato parere negativo.

Cosa deve dimostrare un lavoratore (non radiologo) per ottenere l’indennità di rischio radiologico?
Il lavoratore deve dimostrare in giudizio lo svolgimento abituale della propria attività professionale all’interno di una ‘zona controllata’, ovvero un’area classificata a rischio radiologico. Non è necessario che provi anche la specifica dose di radiazioni assorbita, poiché la normativa equipara lo svolgimento abituale in tale zona al superamento della soglia di rischio.

Il giudice può utilizzare una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) per accertare l’esposizione al rischio?
Sì, la Corte ha confermato che il giudice può disporre una CTU per risolvere questioni che implicano specifiche cognizioni tecniche, come la valutazione dell’abitualità della presenza in zona controllata. La CTU non è considerata esplorativa quando serve a ricostruire fatti complessi (numero di operazioni, ruoli, frequenza) sulla base di elementi già allegati dalle parti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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